3 Febbraio 2011
Appunti di viaggio
Il tesoro di San Lorenzo
Silenzio, solo il ronzio di una lampadina e i nostri passi.
La luce fioca si rifletteva sui metalli,
facendo emergere dalla penombra quegli oggetti scintillanti.
La serie di reliquie sacre sospese su piedistalli d’acciaio,
sembrava potesse prender vita nel piccolo spazio ipogeo
e ricominciare la danza secolare.
Bloccate esattamente nel punto più congeniale per farsi osservare,
aspettano mestamente l’inesorabile scorrer del tempo sopra di loro,
e rimangono immobili e si lasciano, nude, guardare.
Lo spazio si comprime, si dilata, si stratifica intorno a loro,
gli osservatori diversi della scena, lo gonfiano di aria di vita.
Luogo senza tempo, centrifugo e centripeto,
vestito di grigia pietra, assorbente di luce e di tempo.
La funzione svanisce come la calda penombra che ci avvolge,
rimane il piacere di una logica libertà
e chi lo vuole non vedrà più uguale.
Pensavamo di essere in orario e invece mancava ancora mezz’ora all’apertura pomeridiana. Era il giorno 23 novembre dell’anno passato in un imprevedibile clima primaverile, raro ma non inusuale a Genova, soprattutto inaspettato venendo da una Lombardia già fredda e umida.
Dopo una mattinata trascorsa ad ambientarci nella città, tra albergo, puntatina all’università di architettura e immancabile giro al porto, una piccola pausa rilassatrice per arti inferiori non faceva di certo male, nonostante anelassimo per ammirare la prima opera di Franco Albini che avessimo mai visto.
La sosta avvenne nella piazzetta antistante alla cattedrale di San Lorenzo, che si sviluppa in leggera pendenza verso una ripida scalinata di marmo consumata dalla folle secolari di fedeli, sulla quale si assesta la facciata gotica della chiesa, accentuando la sensazione di imponenza. Alle ore 15.00, dischiuse le porte di uno dei tre portali a sesto acuto con profondi sguanci di fattura francese, percorsimo la profonda navata centrale alla ricerca dell’ingresso al Tesoro di San Lorenzo. Nonostante la ceca bramosia che ci guidava verso l’opera di Albini, come fossimo un branco di lupi affamati a caccia della preda da azzannare per farla nostra fino all’ultimo brandello, ci meravigliammo tutto a un tratto della bellezza che ci circondava. Probabilmente ciò accadde per acuire l’intensità dell’attesa e ritardare un po’ la scoperta del tesoro ipogeo ma la sensazione che provammo non era la solita percepita nelle cattedrali di altre città, cioè imponenza, freddezza e grandiosità, piuttosto di ammirazione verso lo spazio. Quest’ultimo nonostante fosse chiaramente a tre navate, contraddistinte da due massicci colonnati sostenenti l’enorme volta a botte centrale, era difficile considerarlo come tale. Sembrava un’unica entità, dove la serie di colonne diventava esile diaframma coinvolto nella fluidità dello spazio, finemente lambito dalla luce zenitale.
La mappa del museo di San Lorenzo
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All’interno del museo del tesoro il concetto sembra capovolto: piccolo, scavato, buio, illuminato dall’alto artificialmente, ma ugualmente fluido, sotteso alla geometria principale di un esagono. Elementi cilindrici cavi lo comprimo e lo dilatano in un gioco di visuali sempre mutevoli.
Le superfici sono contraddistinte da lastre di pietra di promontorio lavorate a scalpello piatto, d’una tonalità di grigio caldo, che emergono dall’ombra scivolando sotto i deboli proiettori, a volte in forme spigolose altre morbide. Anche sotto i piedi corrono corsi di questa grigia pietra, creando una tessitura isodoma convergente in tre fuochi, coincidenti con il centro delle quattro sale cilindriche. Lo stesso meccanismo si riflette sulla copertura in calcestruzzo armato, dove esili travetti dalla sezione rastremata mai combacianti tra loro ma trattati come mensole a sbalzo dalle pareti, conferiscono al solaio un effetto di sospensione.
Lo spazio e l’ombra, la pietra e il calcestruzzo, gli oggetti e le teche di vetro, conferisco al tutto una dimensione atemporale. (…) uno spazio sacro, “moderno” perché inattuale, smemorato perché attraversato da innumerevoli ricordi *
Emmanuele Visieri
Nota
* Si veda il saggio di Marco Mulazzani, «Un’architettura scavata, tutta di dentro» Il museo del tesoro di San Lorenzo, in I musei e gli allestimenti di Franco Albini, a cura di Federico Bucci e Augusto Rossari, Venezia 2005, pp.73
3 Febbraio 2011, 22:47
Alfonso Acocella
Ci sono luoghi ancestrali sprofondati nelle viscere della terra, chiusi, ipogei a tratti clautrofobi ma che ti staccano dal mondo della leggerezza e della vita.
L’ipogeo di San Lorenzo appartiene a questo mondo in cui l’ombra prevarica la luce, imbrigliandola, indirizzandola nello spazio, sugli oggetti facendolo brillare ed imporre come gioielli anche quando non lo sono.
Ad Emmanuele un grazie per averci riportato poeticamente nell’atmosfera cavernosa e brillante allo stesso tempo di un Albini non diafano e geometrizzante ma terroso, umido, viscerale …eternamente litico.