31 Gennaio 2011
Pietre d`Italia
LA PIETRA SERENA COME MATERIA DA SCOLPIRE
Donatello, Desiderio e Geri da Settignano
Donatello, particolare dell’Annunciazione Cavalcanti
L’arenaria grigia osservata fino ad ora in forma di elementi architettonici, di colonne monolitiche, paraste, modanature, cornici e conci possenti talvolta, nella Firenze quattrocentesca, viene scelta come materia da plasmare nelle forme sinuose della scultura.
La sua compattezza e omogeneità materica, insieme al caratteristico cromatismo contribuiscono a renderne l’effetto scultoreo particolarmente elegante e delicato, tanto da prestarsi a interessanti sperimentazioni compositive nelle mani esperte di scultori come Donatello, Geri e Desiderio da Settignano. Passando attraverso il tutto tondo, l’alto rilievo e lo “stiacciato”, sono loro a mostrare alla città che sta conoscendo la pietra serena attraverso le rivoluzionarie architetture di Filippo Brunelleschi, come questa possa contenere in sé anche vigorose forme animali, tableau vivant di figure a grandezza naturale, dolci profili di donne e bambini.
In un’epoca artistica dove il marmo e il bronzo possono essere considerati i protagonisti di una scultura capace, ancor prima della pittura, dello stravolgimento artistico rinascimentale, le opere in pietra serena appaiono quasi come esercizi di stile di maestri desiderosi di plasmare anche la materia litica più rappresentativa della propria identità territoriale.
Il Marzocco e l’Annunciazione Cavalcanti di Donatello
Donatello, il Marzocco
L’eccezionale versatilità di Donatello nello sperimentare materiali e tecniche scultoree diversi fa sì che il suo amplissimo repertorio artistico contenga anche due importanti opere in arenaria grigia di Fiesole. Si tratta del Marzocco e dell’Annunciazione Cavalcanti, il primo realizzato tra il 1418 e il 1420 su commissione della Repubblica fiorentina in occasione della visita a Firenze di Papa Martino V, la seconda portata a compimento presumibilmente alla metà degli anni Trenta per l’altare di famiglia che ancora oggi si trova nella Basilica di Santa Croce1.
Nelle mani di Donatello la pietra serena viene quindi lavorata sia a tutto tondo che ad alto, basso e bassissimo rilievo.
Una copia del Marzocco troneggia ancora oggi in Piazza della Signoria; la statua, un leone araldico, seduto, che poggia una zampa su uno scudo con il giglio fiorentino, doveva essere posizionata originariamente sullo scalone del Convento di Santa Maria Novella che collegava il Chiostro Grande agli appartamenti papali. Nel corso dei secoli successivi venne trasferita agli Uffizi, in Piazza della Signoria e al Museo del Bargello, dove si trova tutt’oggi.
Da un blocco di pietra serena Donatello estrae una scultura capace di rinnovare la figura del “marzocco”, il tradizionale animale totemico medievale simbolo del potere popolare che a Firenze prende la forma di leone. L’arenaria grigia dona all’animale una nuova maestosità, vitalità e solenne eleganza attraverso l’espressività del volto e il gesto della zampa rafforzati da un’accentuazione chiaroscurale dovuta a una ancor rara tridimensionalità che trova modo di esprimersi nel movimento diversificato della morbida criniera.
È la pietra serena, al contempo compatta, forte, omogenea e facilmente lavorabile, che permette a Donatello di esprimere le proprie capacità scultoree attraverso il tutto tondo di una forma animale, alla quale riesce a donare un’espressività simile ad alcune delle sue sculture di figure umane2.
Donatello, Annunciazione Cavalcanti
Al tutto tondo Donatello spesso preferisce il rilievo; quello altissimo, affiancato a superfici lavorate in maniera più o meno aggettante, diventa elemento preponderante della gerarchia compositiva che caratterizza l’Annunciazione Cavalcanti di Santa Croce, realizzata in arenaria di Fiesole3.
L’Angelo e la Vergine sono i protagonisti di una scena inserita all’interno di un’edicola classica sorretta da una base poggiata su due mensole e decorata da due stemmi di famiglia accompagnati da una ghirlanda centrale. La cornice è delimitata lateralmente da due pilastri decorati a motivi naturali e coronati da capitelli con mascheroni, ed è chiusa superiormente da una trabeazione modanata e riccamente decorata su cui poggia un timpano curvilineo adornato da quattro putti in terracotta4. L’edicola o, se vogliamo, il tabernacolo, assume la doppia valenza di cornice e palcoscenico per la scena che si svolge al suo interno.
Le due figure, scolpite a grandezza naturale, sembrano quasi fuoriuscire dalla cornice e riescono, attraverso una rappresentazione reale ed espressiva quanto pacata, a dare il senso dell’apparizione angelica e del messaggio sublime in procinto di essere annunciato. La Vergine sembra sorpresa e quasi sul punto di arretrare, l’Angelo la osserva timidamente con la bocca leggermente dischiusa quasi a voler avviare un dialogo reale.
Alle spalle delle due figure, uno sfondo simile a un portale serrato mostra la sua ricca ornamentazione dorata mossa da cornici e girali e modellata, posteriormente alla Vergine, in un trono a forma di lira. Il rilievo dello sfondo è minimo, quasi bidimensionale e per questo capace di far risaltare i protagonisti, in bilico tra la dimensione narrativa dell’opera e quella reale dello spazio al di fuori di essa tanto da riuscire a coinvolgere nella scena lo stesso osservatore.
La semplicità del materiale prescelto, la pietra serena, si contrappone alla ricchezza ornamentale con la quale viene lavorato: il caratteristico colore grigio dell’arenaria si affianca all’oro delle incisioni che ne decorano la superficie. Una ricchezza decorativa sommata all’eleganza del macigno fiesolano che contribuisce a distanziare quest’opera dalla peculiare dinamicità donatelliana per infonderle, invece, una delicata e raffinata dolcezza.
La grazia nella scultura lapidea di Desiderio e Geri da Settignano
Desiderio da Settignano, San Giovannino5
La dolcezza e la grazia della scultura in pietra serena son ancora più apprezzabili nelle opere di altri due importanti lapicidi rinascimentali della cerchia donatelliana: i fratelli Desiderio e Geri da Settignano che, intorno alla metà del Quattrocento, portano a termine una serie di rilievi nell’arenaria del proprio paese d’origine.
Sono Firenze e Settignano i luoghi che danno vita all’esperienza professionale di questi due maestri scalpellini; quel Desiderio che il Cicognara ci dice aver raggiunto la perfezione con lo scalpello e suo fratello Geri, cresciuti in uno dei paesi a ridosso delle cave di pietra serena e tradizionalmente più vicini all’arte del lavorare il macigno fiesolano6. Figli e fratelli rispettivamente degli scalpellini Francesco di Bartolo detto Meo di Ferro e Francesco da Settignano, intorno alla metà del secolo s’iscrivono all’Arte dei Maestri di Pietra e Legname avviando una bottega artigiana a Firenze, nei pressi di Ponte Santa Trinita, che nel 1458, a detta del catasto, pare già ben avviata7. La conduzione della bottega, polivalente e conosciuta nella cerchia medicea, come racconta Giorgio Vasari, è nelle mani di Desiderio seppur più giovane del fratello Geri. Quest’ultimo sembra infatti avere un ruolo subordinato al primo, partecipando solo alla realizzazione dei manufatti lapidei e dei lavori di ornato, forse con l’aiuto del padre e del secondo fratello forti della lunga esperienza di scalpellini presso le cave del loro paese. Tuttavia, la definizione di Desiderio da parte di Filarete, che nel suo Trattato di Architettura lo descrive “intagliatore di marmi e di pietre”8, fa supporre che la distribuzione dei lavori in bottega non sia troppo rigida e che quindi anche nelle opere lapidee si possano riconoscere più mani.
Bottega conosciuta per la realizzazione di sculture, rilievi e decorazioni architettoniche in materiali diversi, quella dei due fratelli diventa famosa soprattutto per la lavorazione del marmo e della pietra serena attraverso i quali Geri e Desiderio, allievo e talvolta collaboratore di Donatello, riprendono in maniera magistrale la tecnica dello “stiacciato” riuscendo, rispetto al maestro, a lavorare la pietra con ancor più minuzia e politezza. Se la pietra serena non riesce a riproporre alcuni effetti scultorei del marmo, l’accurata levigatura della sua superficie a scapito della mancanza di rifinitura cui si era soliti lasciarla, contribuiscono al raggiungimento di un dettaglio e di un effetto di luminosità inconsueto.
Leggerezza, delicatezza ed espressività, conferite alla pietra attraverso un uso eccellente e fino ad ora inedito della luce, sono infatti gli elementi che più di tutti caratterizzano le opere di questi due artisti. Un’arte dello scolpire estremamente raffinata, la loro, grazie anche alla scelta dei soggetti che spesso si concentra su bambini, giovani e figure femminili, attraverso i quali delle semplici lastre di arenaria grigia vengono trasformate in capolavori di rara finezza.
Il tema del fanciullo si ripete molte volte e permette a Desiderio di rappresentare un’ampia gamma di espressioni facciali. Ne è un esempio mirabile il San Giovannino che, attribuito inizialmente a Donatello, all’inizio del Novecento si è compreso essere realizzato dallo scultore settignanese probabilmente tra il 1450 e il 14539. L’opera, rappresentante il busto del Santo visto di tre quarti con il volto di profilo circondato da una grande aureola, mostra l’eredità donatelliana sia nella tecnica del rilievo sia nella naturalezza espressiva della figura. Seppure minuscole tracce di colore presenti nei sottosquadra facciano ipotizzare una sua originale policromia, la sensibilità materica e scultorea di Desiderio permette di ammirare la finezza esecutiva e la bellezza della pietra serena nuda. La figura del fanciullo è il risultato di una composizione di piani ad aggetti diversi che vanno dall’alto rilievo – nel busto e nella testa – allo “stiacciato” – nei capelli, nelle sopracciglia e nella pelle di cammello – creando una ricca gradazione chiaroscurale sottolineata dall’accurata definizione dei contorni e degli elementi lineari. Il volto, leggermente rivolto verso il basso, con la bocca socchiusa e gli occhi aperti sembra quasi essere rappresentato in un’espressione di sogno sublime, capace di alleggerire la materia della sua caratteristica pesantezza.
Desiderio da Settignano, Donatello, Luca della Robbia, Portico della Cappella Pazzi, Firenze (foto: Sara Benzi)
L’elemento della leggerezza, affiancato a quello della luminosità avvicinano l’arte di Desiderio e Geri a quella di Luca della Robbia, conosciuto per le sue inconfondibili ceramiche invetriate. Insieme a lui e a Donatello Desiderio, probabilmente tra il 1459 e il 146110, scolpisce i cinquanta medaglioni del fregio lapideo del portico della Cappella Pazzi. Venticinque coppie di teste di fanciulli angelici, in parte policrome e disposte l’una verso l’altra con espressioni gioiose fortemente accentuate e variegate che, anche nella limitatezza delle loro dimensioni, partecipano con grande vivacità alla decorazione del portico.
Ancora una volta il tema del fanciullo, probabilmente incentivato dal fatto che Desiderio ha ben quattro figli, permette all’artista di esercitarsi nella rappresentazione della dolcezza e dell’intensità espressiva e fortemente reale. Un esercizio che i due fratelli eseguono anche nella realizzazione di una serie di rilievi rappresentanti “Madonne col Bambino” due delle quali, riferibili a Geri, risalenti al 1450-1453. La prima è quella conservata presso il Victoria & Albert Museum di Londra, la seconda quella, purtroppo frammentaria, del Museo di Lione.
In entrambe troviamo una tenerezza materna e una delicatezza infantile raramente individuabili nella scultura dell’epoca; i gesti della madre e la naturalezza del Bambino Gesù, allegro e spensierato nella prima opera, addormentato nella seconda, insieme alla sapiente imitazione delle capigliature e dei panneggi sono finemente rappresentati con uno “stiacciato” che muove la superficie lapidea in maniera appena accennata e che possiamo ritrovare anche in altri due rilievi in arenaria grigia con profili di donna: il Ritratto di giovinetta detta Dama Valori, oggi conservata presso l’Institut of Art di Detroit e la Sant’Elena imperatrice conosciuta anche come Santa Cecilia del Toledo Museum of Art, in Ohio.
Geri da Settignano, Madonna di Lione11
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Se la pietra serena viene utilizzata da Desiderio e Geri da Settignano anche in altre tipologie di opere come quella degli emblemi araldici fra i quali l’esempio più conosciuto è senza dubbio lo Stemma Martelli, eseguito dalla bottega dei due fratelli nel 1455 circa su disegno di Donatello, la rappresentazione a rilievo di figure umane rimane il modello più affine a questa materia.
L’utilizzo raffinato della luce da parte dei due scultori riesce a esaltarne le caratteristiche, l’omogeneità estrema, il colore unico, la compattezza, tanto da renderla valida alternativa al candido splendore del marmo.
di Sara Benzi
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Note
1 Per un approfondimento sul tema, tra le innumerevoli opere dedicate a Donatello si veda: R. C. Wirtz, Donatello: 1386-1466, Colonia, Könemann, 2000; C. Avery, Donatello, catalogo completo, Cantini, Firenze, 1991.
2 All’interno del repertorio donatelliano queste possono essere individuate nel San Marco di Orsanmichele o nei Profeti, “pensieroso” e “imberbe”, del Campanile di Giotto.
3 L’opera è collocata nella navata destra della Basilica di Santa Croce, dove si trovava la tomba della famiglia Cavalcanti e rappresenta, oggi, una delle poche opere di Donatello ad avere mantenuto la sua collocazione originaria.
4 Questi, ritrovati alla fine dell’Ottocento da Luigi del Moro, architetto di Santa Croce, sono stati restaurati, reintegrati e riposizionati sopra il timpano all’inizio del Novecento.
5 Immagine tratta da: M. Bormand, B. Paolozzi Strozzi, N. Penny, a cura di, op. cit., 2007, p. 185.
6 Da Settignano provengono anche Bernardo e Antonio Rossellino, Luca Fancelli e l’intagliatore Giovanni di Bertino, esecutore del portale marmoreo di Santa Maria Novella.
6 Geri s’iscrive all’Arte nel 1447, Francesco nel 1451, Desiderio nel 1457.
7 Cfr. M. Bormand, B. Paolozzi Strozzi, N. Penny, a cura di, Desiderio da Settignano: la scoperta della grazia nella scultura del Rinascimento, Milano, 5 Continents; Parigi, Musee du Louvre Editions, 2007. Catalogo della Mostra tenuta a Parigi, Firenze e Washington nel 2006-2007, p. 29.
8 L’opera, collocata originariamente nella Badia a Settimo, nel 1783 viene spostata all’Ospedale degli Innocenti e solo sei anni dopo alla Galleria degli Uffizi per poi, nel 1873, essere trasferita al Museo del 9 Bargello dove si trova tutt’oggi. L’attuale cornice in legno dorato ha sostituito la più semplice cornice ottocentesca documentata in una foto del 1920 (Archivio Fotografico del Museo del Bargello).
Nel 2006 è stata soggetta ad un accurato restauro.
Per un approfondimento sull’opera si veda: M. Bormand, B. Paolozzi Strozzi, N. Penny, a cura di, op. cit., 2007, pp. 184-187.
10 Questa data è stata individuata recentemente sulla cupoletta del portico; cfr. M. Bormand, B. Paolozzi Strozzi, N. Penny, a cura di, op. cit., 2007, p. 33.
11 Immagine tratta da: M. Bormand, B. Paolozzi Strozzi, N. Penny, a cura di, op. cit., 2007, p. 208.