17 Dicembre 2010
Pietre d`Italia
Chiostri e loggiati rinascimentali in pietra serena
Secondo Chiostro del complesso di Santa Croce, Firenze
Tornando alla città di Firenze e all’utilizzo della pietra serena nella composizione di determinate tipologie architettoniche, sviluppatesi nel corso dell’epoca rinascimentale e perpetuate fino almeno al tardo Rinascimento, sembra interessante soffermare l’attenzione su alcuni di quei chiostri, logge e portici che tanto fascino ancora effondono nell’agglomerato urbano contemporaneo.
Accomunati dall’essere il risultato dell’accostamento di volte sostenute da colonne o pilastri, questi spazi aperti verso l’esterno hanno derivazione antica.
Il chiostro può essere inteso come la riproposizione dell’atrium delle ville romane e compare inizialmente come luogo deputato alla meditazione in edifici utilizzati dai monaci benedettini, precedenti quindi all’anno Mille. La loggia all’aperto, rielaborazione di un settore del chiostro in forma di unico portico sviluppato in lunghezza, è invece una delle rappresentazioni tangibili del cambiamento socio-politico che coinvolge Firenze a partire dall’inizio del Trecento. Deambulatorio centrale al monastero, quindi, sul quale si affacciano gli ambienti più importanti del complesso come la chiesa, la sala capitolare, il dormitorio e il refettorio, o spazio urbano di aggregazione, luogo deputato a feste e ricevimenti mondani, se non a funerali, proposto alla cittadinanza da parte del nuovo regime comunale.
Il sistema urbano caratterizzato da strade strette e case-torri pressoché prive di finestre, tipico delle consorterie medievali, a partire dal Trecento comincia ad aprirsi verso il mondo esterno. Piazze e vie di comunicazione si allargano e diventano luogo d’incontro e di vita all’aperto; in particolare, la loggia intesa come nuovo spazio della socializzazione – isolato e, soprattutto dal Quattrocento, appendice esterna dell’edificio in forma di portico – va a compensare la mancanza di sale di adunanza nei palazzi pubblici e l’utilizzo di chiese per le riunioni comunitarie1.
Chiostro Verde, complesso di Santa Maria Novella, Firenze
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Dal chiostro conventuale al cortile di palazzo
L’utilizzo di pilastri o colonne sorreggenti archi e volte fa sì che in queste tipologie architettoniche la presenza della pietra, affiancata dal laterizio e dalla muratura intonacata, sia particolarmente consistente.
Nei chiostri medievali la pietra forte risulta ancora preminente rispetto all’arenaria di Fiesole. Lo dimostrano i due chiostri del complesso di Santa Maria Novella: il Chiostro Verde, edificato tra il 1332 e il 1350, e il più tardo Chiostro Grande, risalente al periodo compreso tra il 1340 e il 1360. Tuttavia, se il primo è ritmato da una serie di archi a tutto sesto sorretti da possenti pilastri in pietra forte a sezione ottagonale2, il secondo è composto da cinquantasei arcate affiancate in due ordini sovrapposti che danno spazio, in quello superiore, alla pietra serena. Colonne di pietra serena affusolate e sviluppate in altezza – soprattutto in rapporto al piano inferiore – sorreggono infatti gli archi a tutto sesto direttamente tagliati nella superficie muraria, intonacata. Si comincia a intravedere quel rapporto tra il grigio-azzurro della pietra e il bianco dell’intonaco che sarà protagonista dell’architettura brunelleschiana di alcuni decenni dopo.
Chiostro degli Aranci, Badia Fiorentina, Firenze
I due ordini del Chiostro degli Aranci nella Badia Fiorentina, costruito tra il 1432 e il 1438 su progetto di Bernardo Rossellino3, prediligono l’utilizzo della pietra serena per entrambe le serie di colonne, a differenza di ciò che abbiamo osservato nel Chiostro Grande di Santa Maria Novella. Le quinte di questo spazio presentano un vero e proprio scheletro strutturale lapideo, forse in risposta alla lezione brunelleschiana: le colonne monolitiche ioniche, di altezza fortemente ridotta in corrispondenza del piano superiore poggiano, a piano terra, su una seduta in pietra e al primo piano su un davanzale dello stesso materiale. I due ordini di colonne e la cornice superiore del piano di copertura sono uniti virtualmente da paraste lisce, in pietra, applicate sulla muratura intonacata e attraversate perpendicolarmente da una cornice marcapiano aggettante. Ogni facciata è quindi tripartita da fasce verticali che dalla seduta, posta come base della struttura, arriva fino al limite superiore della quinta suddividendola in settori, aperti verso l’interno dell’edificio da ampie arcate ribassate prive di cornice.
Una serie di chiostri progettati e costruiti negli anni Cinquanta del Quattrocento presentano caratteristiche compositive simili. La pietra serena è ormai utilizzata in maniera univoca per la realizzazione di doppi ordini di colonne su cui poggiano archi a tutto sesto o architravi. È interessante osservare in maniera parallela il Secondo Chiostro del complesso di Santa Croce, il Chiostro dei Canonici della Chiesa di San Lorenzo, il primo e il secondo Chiostro del Convento del Carmine e quello del complesso delle Oblate, oggi divenuto ingresso al Museo di Firenze Com’Era.
Particolare del Chiostro del complesso delle Oblate, attuale ingresso del Museo di Firenze Com’era, Firenze
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In ognuno di questi le quinte che guardano verso la corte centrale sono divise in due piani sovrapposti scanditi da una cornice marcapiano in materiale litico: a piano terra solide colonne di pietra serena sorreggono archi a tutto sesto; al piano superiore sulle colonne, di dimensione ridotte rispetto a quelle sottostanti, poggiano architravi lignee4.
Lievi tratti ornamentali presenti nel mirabile Secondo Chiostro di Santa Croce ne distinguono il carattere rispetto alla rigorosa mancanza di decorazioni degli esempi proposti. Attribuito alternativamente a Filippo Brunelleschi o a Bernardo Rossellino, questo ambiente presenta una struttura simile a quella già descritta arricchita, tuttavia, dalle cornici lapidee degli archi e dai tondi in rilievo posizionati al centro dei pennacchi5.
A partire dal Quattrocento, e in particolar modo dai suoi decenni centrali, pensando al termine “chiostro” nella sua accezione più ampia di “cortile” – in riferimento quindi all’architettura civile – è possibile affermare che il valore compositivo e rappresentativo di questo spazio raggiunga un’importanza ancora maggiore rispetto agli esempi citati fino a questo momento6.
Tra gli innumerevoli modelli fiorentini che potremmo osservare, il cortile di Palazzo Medici-Riccardi e quello più tardo di Palazzo Strozzi risultano sufficienti a confermare questa ipotesi oltre che a dimostrare ancora una volta come la pietra forte venga, anche in questi ambienti, soppiantata dalla più tenera e omogenea pietra serena. La destinazione civile dei palazzi contribuisce alla diversificazione delle quinte del cortile rispetto a quelle dei chiostri conventuali; tuttavia l’apparente scheletro strutturale è ancora una volta formato da conci di pietra serena7 e segue le aperture attraverso una serie di cornici lapidee che evidenziano i diversi piani del palazzo, che si curvano lungo gli archi a tutto sesto sostenuti da colonne al piano terra, che circondano le finestre al piano nobile e che si modellano in architrave sostenuto da esili colonnine al piano secondo.
Cortile di Palazzo Strozzi, Firenze
Dal portico dell’Ospedale degli innocenti al loggiato della Galleria degli Uffizi
Dal Quattrocento, l’edificazione di chiostri conventuali e di cortili di palazzo riprende talvolta alcuni modelli legati a una tipologia di edificio pubblico introdotta a Firenze a partire dalla metà del secolo precedente, la loggia, un portico isolato o addossato a un edificio nato per ospitare cerimonie pubbliche o per riparare i bisognosi8.
L’architettura fiorentina del Quattrocento sviluppa questa tipologia architettonica in forma di estensione dell’edificio, di filtro verso il suo interno e di sua apertura verso l’esterno, utilizzando come materiale principale ancora una volta la pietra serena e la muratura intonacata9.
Il modello più importante di loggiato quattrocentesco costruito a Firenze attraverso la composizione di possenti conci di pietra serena e colonne monolitiche poggianti su un basamento lapideo è senza alcun dubbio quello che introduce all’Ospedale degli Innocenti. Filippo Brunelleschi, attraverso la realizzazione di quest’opera concretizza quei principi del Rinascimento dai quali, quasi centocinquant’anni dopo, Giorgio Vasari si discosterà per la progettazione del loggiato degli Uffizi.
Iniziato a costruire nel 1419, l’Ospedale degli Innocenti si affaccia su piazza Santissima Annunziata fiancheggiando la chiesa omonima e fronteggiando, a partire dal 1516, il Loggiato dei Serviti, realizzato su disegno di Antonio da Sangallo e Baccio d’Agnolo con l’intento di creare un edificio speculare rispetto al capolavoro brunelleschiano10.
Particolare del loggiato dell’Ospedale degli Innocenti, Firenze
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Il modulo utilizzato dall’architetto come base compositiva dei suoi progetti è proposto anche per la realizzazione di questo portico, formato dall’accostamento di nove campate quadrate per una lunghezza di circa settantun metri. Le campate sono coperte con volte a vela che poggiano su peducci in corrispondenza del muro perimetrale dell’edificio e su colonne corinzie sul lato prospiciente la piazza e si aprono verso l’esterno con una successione di archi a tutto sesto accompagnati da una serie di “occhi” in ceramica invetriata circondati da cornici in pietra serena. Agli archi si sovrappone un’architrave lapidea e una seconda cornice sulla quale poggia un ordine di finestre timpanate.
Anche in questo caso la pietra serena disegna l’intera struttura del loggiato, posta in dialogo con l’intonaco delle superfici murarie e con la pietra forte della sostruzione, che Brunelleschi sceglie per il rivestimento della scalinata di accesso al piano rialzato, come a voler differenziare il basamento dall’edificio che vi si appoggia. La pietra è accuratamente scelta dal maestro nella cava di Trassinaia, sulla collina di Vincigliata, la sua lavorazione curata da due scalpellini provenienti dal cantiere di Orsanmichele, Betto d’Antonio e Albizo di Piero, particolarmente esperti nell’esecuzione di nervature lapidee. I due artigiani sbozzano le colonne in cava per poi rifinirle in cantiere11; queste vengono sollevate verticalmente da un “chastello” di legno, una macchina “alzacolonne” dotata di un carrello per lo scorrimento del fusto e di un sistema a vite per il suo sollevamento12.
Colonne, archi, “occhi” e architrave dell’Ospedale definiscono un’ossatura essenziale e forte, costruita con pietra serena, in risalto cromatico e plastico sui settori murari intonacati a calce bianca, capace di esercitare un fascino duraturo su pittori e architetti delle generazioni successive che cercheranno di esaltarla al punto di immaginarla, come fa Domenico di Bartolo, liberata dai residuali settori murari13 nell’affresco La limosina della chorticiela, dell’Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, dipinto tra il 1440 e il 144414.
Particolare del loggiato dell’Ospedale degli Innocenti, Firenze
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Nel 1560, a distanza di più di un secolo, Firenze assiste alla costruzione di un nuovo grande loggiato di pietra serena che si avvia, anch’esso, a divenire uno dei simboli della città, è il portico della Galleria degli Uffizi.
Giorgio Vasari, incaricato da Cosimo I de’ Medici della costruzione di un edificio dedicato alle magistrature fiorentine, progetta un edificio ad U nell’area situata tra il Palazzo della Signoria e il fiume Arno. Al piano terra, i due lati lunghi si aprono verso la piazza centrale con un ampio loggiato formato dalla ripetizione di una campata di base delimitata da possenti pilastri con nicchie contenenti statue e suddivisa in tre intercolumni da due colonne monolitiche sormontate da un’architrave modanata. Le campate si susseguono senza soluzione di continuità per aprirsi in serliana in corrispondenza del lato corto; i piedritti poggiano su una base leggermente rialzata e sostengono una volta a botte cassettonata. Per la sua costruzione Vasari sceglie l’ordine dorico che modella in conci di arenaria di eccellente qualità proveniente dal Fossato del Mulinaccio, presso San Martino a Mensola15.
Vasari decide di discostarsi dal modello brunelleschiano che vede l’esclusivo utilizzo della campata quadrata e la presenza, al piano terra, di colonne in pietra serena sostenenti archi sottolineati da ghiere dello stesso materiale. Il loggiato diventa un’articolata successione di pilastri e colonne su cui poggia un architrave interrotto solo in corrispondenza del grande arco che si apre verso il fiume e la collina retrostante.
È la pietra serena, invece, a rimanere componente costante dell’architettura fiorentina, capace di modellarsi secondo i cambiamenti stilistici e compositivi delle diverse epoche. La sua bellezza, la sua eleganza, il suo colore rimangono a comporre la città in trasformazione e a caratterizzarne l’aspetto divenendo, attraverso i secoli, uno dei principali elementi identitari di Firenze che ancora oggi la rendono unica in tutto il mondo.
di Sara Benzi
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NOTE
1 Cfr. P. Bargellini, La Loggia dei Rucellai, Firenze, Giovacchini, 1964?
2 Progettato probabilmente da Jacopo Talenti e affrescato “a terra verde” – da cui il nome del chiostro – nel corso del Quattrocento da Paolo Uccello, presenta gli archi e i costoloni delle volte dipinti in bicromia in occasione del restauro del 1859. A imitazione dei motivi presenti all’interno della chiesa.
3 Il chiostro viene restaurato nel 1921 da Giuseppe Castellucci.
4 Gli intercolumni sono tamponati nel primo chiostro del Convento del Carmine.
5 Un’altra serie di chiostri fiorentini che suscitano un certo interesse sono i tre del complesso di Santa Maria degli Angeli: il Chiostro Grande, il Chiostro dei Morti e quello degli Angeli. L’ultimo citato, risalente alla fine del Duecento e fortemente rimaneggiato tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, è costituito da cinque arcate nei lati lunghi e tre nei lati corti, cui si sovrappone una loggia architravata.
Cfr. Divo Savelli, Rita Nencioni, Il chiostro degli Angeli – Storia dell’antico monastero camaldolese di Santa Maria degli Angeli a Firenze, Polistampa, Firenze, 2008, pp. 58, 59
6 Cfr. G. C. Romby, Per costruire ai tempi di Brunelleschi – modi, norme e consuetudini del quattrocento fiorentino, CLUSF, Cooperativa Editrice Universitaria Firenze, 1979.
7 La pietra serena è affiancata a una superficie lavorata a sgraffito nel cortile di Palazzo Medici-Riccardi e ad una superficie bianca intonacata in Palazzo Strozzi.
8 La Loggia del Bigallo e la Loggia dei Lanzi, costruite nel corso della seconda metà del secolo, rappresentano in parte il momento di passaggio dall’architettura medievale a quella rinascimentale; vi è infatti, nella loro composizione, un’originale commistione di decorazioni goticheggianti, archi a sesto acuto e archi a tutto sesto in marmo o pietra forte.
9 In alcuni casi viene ancora utilizzata la pietra forte; lo possiamo constatare nell’attuale sala d’angolo terrena di Palazzo Medici Riccardi (1450ca.-1517), nata originariamente come loggia e ricavata dal suo tamponamento avvenuto nel secondo decennio del Cinquecento, e nella Loggia Rucellai (1463-1466).
Gli esempi di loggia isolata risalgono alla seconda metà del Trecento e al periodo successivo alla metà del Cinquecento. Nel secondo caso, come dimostrano la Loggia del Mercato Nuovo e la Loggia del Pesce, le logge vengono tuttavia costruite per scopi commerciali e non più socio-politici. A partire dal Cinquecento, infatti, molte logge fiorentine vengono distrutte o murate dato che tutti i palazzi signorili sono ormai provvisti di ampi saloni interni dove la nobiltà sorta con il Granducato tende a raccogliersi. Le logge, un tempo gremite di cittadinanza, rimangono gradualmente inutilizzate; alcune come quella dei Lanzi divengono quindi luogo per l’esposizione di statue (cfr. P. Bargellini, op. cit., 1964?).
10 Brunelleschi è in cantiere fino al 1427 circa quando subentra Francesco della Luna, che sembra si occupi del secondo piano, eseguito dopo il 1435.
11 Cfr. R. Gargiani, Princìpi e costruzione nell’architettura italiana del Quattrocento, Laterza, Bari, 2003, p. 23-25.
Le colonne monolitiche arrivano in cantiere già sbozzate, a p. 34 dello stesso libro Gargiani scrive: “Nel 1420 Betto d’Antonio è pagato per “disgrossare” la prima “cholonna e basa e capitello alla chava”; la colonna viene quindi “tondata” dallo stesso Betto servendosi di un traguardo di legno: “uno chastagnuolo per la tondezza della cholonna”. Le colonne vengono modellate sulla base di “II modani di noce et d’albero” eseguiti da Brunelleschi (cfr. in Gargiani, op. cit., nota 44, p. 620).
12 L’”alzacolonne” è una delle macchine più innovative del cantiere edile quattrocentesco. Per un approfondimento sul tema si veda: R. Gargiani, op. cit., nota 62, p. 621)
13 R. Gargiani, op. cit., 2003, p. 25.
14 Dopo la partenza dal cantiere di Brunelleschi, avvenuta nel 1427, questo viene affidato a Francesco della Luna, accusato più volte di alcuni errori nella prosecuzione dell’opera, nella quale coinvolge, nel 1430 circa, gli scalpellini Lorenzo di Matteo, detto Marocho, e Nanni di Donato.
15 La cava è di proprietà di Maddalena Gaddi degli Alessandri.