22 Ottobre 2010
Eventi
Progettare la cava. Recupero delle cave di pietra e costruzione del paesaggio.
Marmomacc, 1 ottobre 2010
Quest’anno Marmomacc ha riservato ai convegni ed ai momenti di studio uno spazio importante dentro al cuore della fiera.
Quello delle cave è per la pietra il tema del rapporto fra la materia prima e la natura che la genera, è invece per l’uomo il tema della volontà di disporre d’entrambi nella consapevolezza dell’irreversibilità dell’azione di scavo. Le sfaccettature al riguardo sono davvero molteplici. Marmomacc ha dedicato a questo tema nell’edizione di quest’anno, con il coordinamento di Vincenzo Pavan, un’intera giornata di studi rivolti a tre principali filoni d’indagine: le scelte di gestione del territorio naturale operate dalle regioni, le possibilità di riuso degli ambiti di cava, gli indirizzi di ricerca seguiti dalle principali università italiane.
Dopo i saluti del dott. Giovanni Sacripante responsabile della Direzione Mercato di Veronafiere, Calogero Montalbano della Facoltà di Architettura di Bari ha guidato la prima sessione dei lavori, dal titolo La cava sostenibile: l’esperienza italiana.
La scissione fra politica, normativa ed operatività nel campo delle cave giunge ad un significativo momento nodale quando la coltivazione di cava perviene al termine del suo ciclo vitale. Le Regioni italiane propongono approcci assai differenti, pur entro alcune linee guida comuni.
Il dott. Erardo Garro, esperto di Geologia ed Attività Estrattive della Regione Veneto ha richiamato le proprie direttive regionali, che prevedono veri ripristini sui siti estrattivi, armonici e coerenti con i caratteri ambientali, tali da permettere il riuso delle aree e da garantire la riacquisizione dei terreni da parte della natura, senza segni in alcun modo visibili della mano dell’uomo. Sono pertanto interventi che, come ci ricorda: “se sono fatti bene non si vedono”.
L’ing. Francesco Sciannameo, Direttore alle Politiche per l’Ambiente della Regione Puglia, ha segnalato il problema dei lasciti normativi del passato, che ha principalmente regolamentato l’estrazione, ma non altrettanto bene il ripristino.
In Puglia vi sono oltre 460 cave in esercizio e circa 2000 abbandonate. Di concerto con il Politecnico di Bari sono stati condotti vari studi su come poter riutilizzare le aree dismesse, auspicando fattivamente soluzioni capaci di far convergere pubblico e privato in società miste finalizzate ai risultati comuni di soddisfazione d’entrambi. Gli studi condotti hanno portato all’individuazione di modelli-guida per il ripristino delle cave esistenti. È stato pure istituito un osservatorio economico, con lo scopo di indagare e determinare equilibri fra il numero di cave necessarie ed il numero di quelle esistenti ed attive. Propositivamente l’ing. Sciannameo ha avanzato l’ipotesi di una “tariffa sullo scavato” da ridestinare ai cavatori ed ai Comuni con l’obbligo della finalizzazione alle opere di ripristino, di adeguamento a norma, di messa in sicurezza dei luoghi.
Un momento dell’apertura dei lavori del convegno.
L’arch. Alessandro Rafanelli, Funzionario del Settore Infrastrutture di Trasporto e Cave della Regione Toscana ha presentato la situazione della sua regione, imperniata su un assetto normativo specifico del 1998. In Toscana sono attualmente attive circa 400 cave, tra cui anche alcune importanti cave di prestito, cave temporanee necessarie per la realizzazione di opere pubbliche, ed in questo caso relative principalmente alla costruzione di grandi infrastrutture viarie. A differenza del caso della regione Veneto, l’orientamento volge ai recuperi ambientali delle cave dismesse, ammettendone anche la trasformazione alla volta di una nuova destinazione d’uso, anziché ai ripristini. In chiusura d’intervento l’arch. Rafanelli ha avanzato due interessanti proposte: quella dell’istituzione di organi di coordinamento nazionale per le attività di cava, così da non ammettere troppo grandi diversità d’approccio da parte dei decisori pubblici, e l’estensione del marchio doc ai prodotti di cava, così da regolamentarne la qualità elevandola a standard minimi condivisi.
La dott.ssa Paola Botta, Direttore del Servizio Attività Estrattive della Regione Sardegna ha presentato lo stato dell’arte nell’isola, in cui è a tutt’oggi in vigore una legge del 1989. Il Servizio delle attività estrattive è un organo regionale specifico articolato in 4 settori a seconda dei tipi di cava e miniera. Anche in Sardegna si prevedono ripristini ambientali. Le cave attualmente attive sono 384, i ripristini eseguiti 246, ma esistono 350 cave abbandonate risalenti ad attività precedenti il 1989 e dunque estranee agli obblighi di recupero, per le quali non esistono indirizzi specifici. La regione ha stanziato e sta ancora stanziando molti fondi a sostegno delle riqualificazioni possibili. Nell’ambito dei ripristini vengono mostrati alcuni casi emblematici. Un primo esempio si trova nei pressi di Luras, nel nord Sardegna: si è proceduto ad un ricoprimento delle aree cavate, poi a piantumazione e perfino acidazione delle superfici lapidee di spacco per accelerare l’ossidazione dei massi ad ottenere un colore della pietra più scuro e rassomigliante ai materiali non cavati. Il secondo esempio si colloca a ridosso della monumentale basilica di Saccargia: si tratta di una cava con fronte di 50 m, davanti alla quale è stato eseguito un imponente terrazzamento per circa 30 m d’altezza e sono stati infine collocati alberi ad alto fusto.
Il dott. Alessandro Tomasi, Dirigente del Servizio Minerario della Provincia Autonoma di Trento ha delineato i contorni della vigente legge provinciale in materia, risalente agli anni ’80 e particolarmente concentrata sulle realtà estrattive del porfido. La norma prevede soli piani di ripristino, da delinearsi già nel progetto di cava. Esistono comunque sul territorio anche casi di riuso mediante trasformazione delle aree: la differenza è data principalmente dal fatto che gli interventi di ripristino possano o meno realizzarsi contestualmente all’attività di cava. In questo secondo caso infatti le risorse relative al ripristino accantonate mediante le polizze fidejussorie di legge, vengono orientate su altre aree: si parla dunque di ripristini contestuali nel primo caso od in alternativa di ripristini compensativi.
Nella Golanda ha presentato il proprio lavoro nelle cave di Dionyssos.
È intervenuta infine Raffaella Grassi, Presidente dell’Albo Cavatori Veneto, portando anche il punto di vista degli operatori privati del settore. Riconosciuto come indubbio l’impatto visivo molto evidente dell’attività di cava, è pur vera l’esistenza anche di altri impatti molto forti in altri settori, pur meno visivamente evidenti e di conseguenza normalmente taciuti. L’Associazione ha dunque organizzato un press tour, un percorso di visita nelle molte aree di cava recuperate dedicato specificamente ai giornalisti, con la finalità della divulgazione e della riabilitazione dell’operato dei cavatori agli occhi della comunità.
Un vivo dibattito si è quindi particolarmente soffermato sul tema del reimpiego dei limi e dei fanghi di scarto, poi sulla congruità degli accantonamenti economici finalizzati ai ripristini rispetto ai costi effettivi dei ripristini stessi.
Vincenzo Pavan, della Facoltà di Architettura di Ferrara, ha condotto la seconda sessione del convegno: La reinvenzione del paesaggio – Architetture di cava in Europa. Sono intervenuti: la scultrice francese Laetitia Sauleau Lara a presentare quanto realizzato nelle Cave di S’Hostal a Minorca in Spagna, la progettista greca Nella Golanda per presentare il lavoro condotto nelle Cave di Dionyssos presso il Monte Pentelicon in Grecia, quindi gli architetti spagnoli Eduardo De Miguel Arbonés e José Marìa Urzelai Fernàndez a mostrare l’integrazione paesaggistica della linea del tram ad Alicante presso la zona di cava della Serra Grossa in Spagna.
Demandiamo ad una imminente recensione i contenuti di questi e di altri progetti esemplari contenuti in una pubblicazione specifica curata dallo stesso Vincenzo Pavan e presentata in occasione dell’omonima mostra Architetture di cava.
Con soddisfazione ritroviamo all’interno della pubblicazione un progetto di cui ci siamo occupati per Architetturadipietra.it alcuni anni fa: il progetto per la trasformazione ed il recupero delle cave di Fantiano in Puglia. Nella stessa regione avevamo indagato anche il progetto per la realizzazione di un parco sportivo all’interno delle cave del Faraone a Massafra. In Sardegna abbiamo invece mostrato l’eccellente intervento Il parco dei suoni a Riola Sardo ed il progetto per il piazzale Rocce Rosse ad Arbatax. Abbiamo infine proposto la presentazione del progetto vincitore del concorso per una cittadella dell’ecologia entro le cave di Santomera nella Murcia spagnola.
L’accesso dell’area dedicata alle fasi di studio: il “Forum del marmo”.
Massimiliano Caviasca del Politecnico di Milano ha guidato la terza ed ultima sessione del convegno incentrata sul mondo universitario, La ricerca di nuovi percorsi, nella convinzione che una progettazione specifica possa portare anche per i temi dei recuperi di cava a risultati specifici e migliori.
La prof.ssa Marina Molon ha illustrato i corsi dedicati dal Politecnico di Milano al mondo lapideo: il Master biennale di II livello incentrato sulla progettazione in pietra ed il corso di Progettazione architettonica 4 rivolto al progetto di spazi pubblici ed orientato quest’anno al progetto entro un’area di cava. Ha infine mostrato una tesi di laurea svolta su un’area di cava a Rezzato.
Il prof. Claudio Lamanna dell’Università degli Studi di Trento si è occupato e si occupa di progetto del paesaggio per i luoghi rifiutati, come si sono chiamate le aree di cava inattive. L’indagine ha ancor più portato all’evidenza la diversità fra le molteplici realtà di cava e la loro ricchezza in termini paesaggistici.
La prof.ssa Battaino ha spiegato come all’Università di Udine ci si stia occupando della rigenerazione dello spazio cavato: nel friulano esiste infatti un’attenzione molto marcata anche da parte dei cavatori particolarmente per le cave di ghiaia. Con attenzione specifica a queste si sta allora conducendo una ricerca sulle possibilità che il gradone di scavo possa risultare idoneo ad applicazioni agricole, alla volta di “nuove ecologie” da esperire.
Il prof. Domenico Potenza ha mostrato una tesi di laurea condotta all’Università di Pescara; il progetto ha portato un centro culturale all’interno di un’area di cava. Poi con gli stessi studenti ha affrontato una recente esperienza di concorso sulle aree estrattive della provincia di Modena.
Il prof. Claudio D’Amato del Politecnico di Bari ha concluso i lavori indicando nell’architettura del paesaggio la strada maestra per la riqualificazione delle aree di cava e nello studio delle tecniche storiche della progettazione lapidea la base solida per la formazione di nuovi progettisti.
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