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5 Settembre 2010

Pietre d`Italia

Le cave di Fantiscritti


Il bassorilievo cosiddetto dei “Fantiscritti”, III secolo d.C. (Accademia di Belle Arti, Carrara)

Le cave di marmo bianco di Fantiscritti si trovano sulle Apuane, in provincia di Carrara. Il loro nome deriva dall’appellativo dato ad un’edicola scolpita su una parete di una delle cave, datata 203-212 d.C. e custodita dal 1864 all’Accademia di Belle Arti di Carrara, ma fino a quella data ben visibile sulla parete rocciosa e tanto celebre da essere conosciuta anche da Giambologna e Canova, come testimoniano le ‘firme’ dei due artisti, poste ai fianchi delle colonnette scolpite insieme a quelle di altre decine di meno noti visitatori.
Proprio la quantità di ‘firme’ (“scritti”), assieme all’erronea identificazione dei personaggi scolpiti (vi sono raffigurati Ercole, Bacco e Giove come rappresentazione divina di Settimio Severo e dei suoi figli Caracalla e Geta, che furono tuttavia scambiati per dei fanciulli, dei “fanti”) ha portato, nei secoli, al toponimo dell’intera cava.


L’esterno delle cave: si intravede, sulla sinistra, la cava ‘a gradoni’ a cielo aperto

Le cave, a 450 mt sul livello del mare, si raggiungono seguendo il corso del torrente Carrione fino ai ponti di Vara, solcati un tempo dalla ferrovia utilizzata per il trasporto del marmo (la cosiddetta “Marmifera Privata”), in attività dal 1876 al 1964 e oggi riconvertita ad una duplice funzione, dopo che il trasporto su gomma ha causato il generale declino di quello su ferro: la ferrovia è diventata una strada molto suggestiva che attraversa la Galleria Vara e collega con Tarnone, mentre il tunnel che attraversava la montagna si è rivelato un utile (e unico) ingresso per sfruttare un filone marmifero situato nel cuore della montagna, a 400 metri dalla cima. Questa cava ‘interna’, del tutto differente dalle cave a gradoni e a cielo aperto disseminate lungo tutto l’arco delle Apuane, è unica al mondo; è articolata in una serie di enormi ‘ambienti’ suddivisi da giganteschi pilastri di circa 10-15 metri di lato, poiché il ‘soffitto’ marmoreo non può superare i 25-30 metri di luce libera (è facile immaginare il valore originariamente empirico di tali misure, ricavate, si ha il sospetto, dopo vari incidenti sul lavoro; oggi un’equipe di ingegneri e geologi ne garantisce con verifiche regolari la stabilità). Ha una temperatura di 16 gradi centigradi costanti e al lavoro quotidiano dei “marmorari” si accompagna da qualche anno la possibilità di visite guidate, che la rendono finalmente
fruibile ad un vasto pubblico di curiosi e non solamente agli addetti ai lavori.


La cava di Fantiscritti, interno quasi ‘lunare’: siamo completamente circondati da marmo.

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In una cava interna come quella di Fantiscritti il metodo di taglio ed estrazione del marmo può procedere rigorosamente solo in senso laterale e verso il basso, per non interferire con le escavazioni della cava a cielo aperto soprastante: si devono mantenere infatti circa 250 metri di materiale verticale tra la cava interna e quella esterna, per non comprometterne il delicato equilibrio statico.

La cava ospita tutti i moderni strumenti di escavazione, tra cui il più importante – per la sua rilevanzastorica – è senz’altro il filo elicoidale, rivoluzionaria tecnica ottocentesca consistente nella torsione adelica di tre fili di acciaio fino a produrre un cavo di 4–6 mm di diametro, le cui scanalature trasportano e distribuiscono, lungo il taglio eseguito dal cavo, l’acqua e la sabbia silicea, (in origine proveniente dal lago di Massaciuccoli e principale responsabile delle gravi complicazioni polmonari cui gli operai erano soggetti) che servono come abrasivi. Il filo elicoidale, lungo in genere alcune centinaia di metri, si muove ad una
velocità di 5–6 m/s, mentre incide il marmo ad un ritmo di 20 cm l’ora. Il suo funzionamento è strettamente legato a quello della puleggia penetrante, ovvero un’enorme ‘sega’ d’acciaio (lunga fino a tre metri) che presenta, sulla circonferenza, una scanalatura e piccoli denti diamantati. La puleggia scorre su una macchinetta, uno strumento a cremagliera che ne provoca il regolare e continuo abbassamento, e assolve così a due funzioni: scava nel marmo e vi introduce, attraverso la scanalatura, il filo elicoidale che taglia definitivamente il blocco. Attualmente, l’uso del filo diamantato (un cavo d’acciaio intervallato da pezzi di diamante sintetico) ha soppiantato il filo elicoidale, anche se l’iniziale facilità di sganciamento del cavo ha causato non pochi disagi per la sicurezza sul lavoro. Una volta ‘tagliato’ il blocco, questo viene per così dire ribaltato su un letto di detriti e fango appositamente sistemato alla sua base per evitare la violenta caduta del marmo sul marmo, che ne provocherebbe la rottura; da qui, il blocco viene trasportato su gomma all’esterno della cava per mezzo della galleria di cui già si è parlato.


Antichi strumenti esposti al museo delle cave

All’esterno della cava, i proprietari (si tratta infatti di una cava privata) hanno allestito un piccolo ma interessante museo, dove possiamo prendere visione degli antichi utensili e strumenti usati per l’estrazione e la lavorazione del marmo. Una curiosità: con grande orgoglio, i carraresi ci ricordano, attraverso fotografie e iscrizioni celebrative, che il taglio delle pietre del grande tempio di Abu Simbel (Egitto), dovuto alla costruzione della diga di Assuan e di un bacino artificiale, e dunque alla conseguente necessità di ‘traslare’ l’intero tempio che altrimenti sarebbe rimasto sommerso, fu effettuato da maestranze guidate da abili cavatori di Carrara, tra il 1964 e il 1968.

di Eugenia Valacchi


Una foto d’epoca a ricordo della grande impresa compiuta ad Abu Simbel tra il 1964 e il 1968

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