29 Marzo 2005
Interviste
Intervista a Boris Podrecca
Boris Podrecca Architetto e Direttore dell’Istituto di Progettazione Architettonica del Politecnico di Stoccarda
Davide Turrini: negli ultimi tempi l’architettura delle cantine vinicole è oggetto degli interessi di numerosi progettisti, come lei chiamati a rispondere alle istanze di una committenza che in questo "tempio del vino" concentra risorse e aspettative, sia sul versante della razionalizzazione del processo di vinificazione di qualità, che su quello del rilancio dell’immagine aziendale, e più in generale dell’identità di un prodotto di punta della tradizione italiana.
Quali sono state le linee guida con cui ha affrontato questo tema progettuale?
Boris Podrecca: la cantina di Bric, che presento a questo convegno, sorge in un territorio di confine tra Slovenia, Croazia e Italia, tra culture molto diverse. Dagli spazi aperti che circondano l’edificio si possono scorgere in lontananza i campanili di Grado, il porto di Trieste, Piancavallo, la costa slovena e dalmata. Così questa cantina è per me una sorta di autoritratto e non rappresenta semplicemente un’opera di architettura ma assume il valore di una importante opera di archi-cultura.
Mi spiego meglio: si tratta di un progetto con una forte valenza ripropositiva di una cultura architettonica che si rischia di perdere, cioè quella basata sul concetto archetipico, fondativo, della costruzione muraria a secco. In questo edificio, in polemica con l’abbandono dell’idea della muralità classica, io propongo murature massive in pietra, accostate a quelle pannellature leggere in legno che Otto Wagner ha già proposto più di un secolo fa.
Ed è proprio riallacciandomi a concetti espressi da Wagner che voglio sottolineare che per parlare oggi di "nuovo rinascimento" bisogna riflettere sul concetto di nascita, di origine, della identità di un luogo, di una tradizione architettonica: nel mio intervento per il convegno di oggi, che ho voluto intitolare Il consolidamento della Storia attraverso la Contemporaneità, cercherò di affrontare questa riflessione.
D.T.: che tipo di rapporto ha avuto con il committente della cantina di Bric?
B.P.: si è trattato di un committente che non faceva una cantina per puro piacere, ma ha da subito affrontato il problema del rilancio di un intero comprensorio, attraverso un progetto complesso e di vasta portata. Tutto un territorio ed un sistema produttivo si sono andati a ricostituire attorno alla cantina vera e propria dove si produce e si commercializza il vino, ma anche attorno ad un albergo per i visitatori, alla residenza dei proprietari dell’azienda e a numerosi altri servizi.
Ecco allora che si è trattato di un committente-mecenate che crede nei valori antichi della terra, della riconoscenza del lavoro altrui, ed è consapevole sì del suo interesse aziendale, ma anche della qualità della vita complessiva dell’ambiente e del tessuto sociale in cui vive ed opera. Si tratta di una nuova-antica sensibilità senza la quale non sarebbe potuta nascere una architettura di qualità.
15 Maggio 2005, 15:12
Pamela Focante
Mi ha interessato molto leggere l’articolo dell’Architetto Marco Casamonti quando parla del suo arrivato successso professionale restando fedele a se stesso compresi pregi e difetti e soprattutto limiti personali.
Credo che ogni architetto dovrebbe prima di progettare conoscere i propri limiti poichè nella “carta” tutto è possibile (oggi nella grafica computerizzata) ma nella realtà penso che sia percepibile se un’opera architettonica sia capace di reggere se stessa. I miei migliori Saluti.
Sto anch’io per terminare la Facoltà di architettura, ho 32 anni ma devo dire che ho fatto delle scelte che hanno rallentato il mio percorso di studi ma in compenso mi hanno fatto crescere come persona e forse chissà finiti gli studi magari mi ritrovo anch’io con un pò di fortuna a far vivere ciò che oggi ho dentro me stessa nei miei progetti ascoltando sempre la “natura” padrona del nostro mondo. Pamela Focante