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1 Marzo 2010

Appunti di viaggio

Algeria

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Magici equilibri lapidei

I suoi occhi mi fissarono e si fecero come una lama sottile appena mi sedetti sul fuoristrada: “ un sasso e tu sei fuori!” Eh vita dura per chi colleziona sassi ed ama viaggiare! Questo infatti è stato il modo in cui Giorgio, il mio compagno di viaggio, mi ha accolto appena arrivata in Algeria.
Loro, con molte più ferie di me, erano già partiti da una settimana con i mezzi e ci stavano aspettando a Tamang rasset, in attesa di addentrarci assieme nel deserto a sud ovest dell’Algeria.
Algeria. Paese strano… poco “leggibile” se posso usare questo termine, tra tutti quelli visti forse il meno appetibile. Non per bellezza di paesaggi, anzi, ma per qualcosa di sottile, poco identificabile. Se poi si pensa di essere in viaggio con un branco di “cinghialoni” (i motociclisti) che hanno nel cuore e nella mente sabbia, sabbia, sabbia e dune, ecco che affiora un impercettibile…. mah… Intanto in Algeria gli erg più grandi sono chiusi al turismo (poco presente ed ancora in fase di rodaggio) per problemi di sicurezza (predoni) e quindi le tanto agognate dune sono piccole e generalmente basse. Ma anche le guide medesime, così abili e ben predisposte al “gioco” in Libia, qui sono molto timorose e poco attrezzate, con scarso senso delle pause o del paesaggio, oserei quasi non in sintonia con questi diavoli di turisti che non si capisce che diavolo ci vadano a fare in mezzo alle dune quando ci sono piste che ci girano attorno e ben al largo!!!

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Dromedari tra le dune

[photogallery]algeria_album_1[/photogallery]

Algeria. Grandi piattoni sassosi che ti costringono a trasferimenti lenti (i 40 km/h sono un successo), mentre attorno si dipana un’enciclopedia di monti, pinnacoli ed affioramenti rocciosi, compendio geologico di una situazione sempre in divenire e mai in maniera tranquilla.
Tin Rerhoch, ad esempio, laguna tidale di intensa bellezza che mostra la ferita di una colata magmatica sovrimposta. Touak, pinnacoli di arenaria in rapido disfacimento come un castello di carte in balia di forze incomparabili. Calcari fossili ed una sabbia comunque onnipresente che si infila ovunque, specie nell’auto, regalando un brilluccichio di infantile memoria sotto i raggi di un sole caldo che alla fine di ottobre fa registrare ancora i 52 gradi pomeridiani.
Ma non è tanto o solo questo che colpisce dell’Algeria.
Innanzi tutto il vento. Un vento così forte e continuo nella sua irregolarità da far entrare la sabbia anche nelle tende meglio sigillate: quanta ne abbiamo mangiata, durante quelle notti impietose! E che incredibili paesaggi ovattati, quasi avvolti in una foschia in grado di nascondere montagne e luoghi tanto da renderli così simili ad evanescenti acquerelli del Turner. Senza parlare poi delle corse dietro a sacchetti, tende (!) beffardamente pronti ad improvvisarsi una vita propria ben lontana da chi se ne crede proprietario…Ma l’Algeria è anche “animali”: tanti! Quanti!!generalmente assai poco rassicuranti, fatta eccezione per qualche velocissima gazzella (oltre i 70 km orari!), tanti scorpioni bianchicci, grandi, e curiosi fino a insediarsi quasi di regola sotto le tende, e ad arrivare a pungere una guida locale, messa a KO per qualche giorno (era già la nona volta. Ma si può dico io?). E vipere del deserto: beige con esili macchioline brune su tutto il dorso. Mortale. Per fortuna ugualmente spaventata da me quanto io da lei tanto da scappare entrambe per la propria strada in un battibaleno. E ancora ragni, lucertoloni giganti, dromedari, volpi del deserto…. E acqua.

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In punta di masso

[photogallery]algeria_album_2[/photogallery]

Sì, pare proprio strano parlare di acqua nei deserti ma in Algeria, forse a causa di un periodo eccezionalmente piovoso si trovavano laghetti d’acqua tra le dune e improbabili distese di piante di un colore verde smeraldo lungo i piattoni aridi e sassosi con un effetto strano ed imprevedibile.
Ma la cosa più forte ed intensa è l’energia di questi ambienti, assolutamente profonda, quasi dolorosa. E mai come in questa terra, come è accaduto ad altri compagni di viaggio, ho sognato. Sogni vividi, spesso dolorosi di persone ormai irrimediabilmente perse che mai nella tranquilla quotidianità avevo evocato. Algeria, terra irrequieta.

di Anna Maria Ferrari

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