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20 Gennaio 2010

Scultura

RICHARD SERRA:
Paesaggi di pietra

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Richard Serra, Open Field Vertical Elevations, 1982, Fattoria di Celle, Santomato di Pistoia

«La scelta dei materiali determina le possibilità e le limitazioni estetiche. Quando si lavora con l’acciaio, bisogna accettare i suoi riferimenti tecnologici sia direttamente, nei termini di assemblaggio e costruzione, sia indirettamente, in riferimento alle sue possibili allusioni.
L’uso della pietra non permette questo tipo di associazioni […] La pietra, diversamente dai materiali prodotti dall’uomo, è un elemento primario; per questa ragione non sembra esistere in una temporalità interrotta ma in una dimensione infinita».

È con queste parole che l’artista americano Richard Serra, celebre per le sue monumentali sculture d’acciaio, esprime – in un’intervista rilasciata nel 1978 – le sue idee circa la materia litica.1
Lo scultore si avvale per la prima volta della pietra in un’installazione realizzata nel 1982 in occasione del progetto “Spazi d’arte” per la Fattoria di Celle, a Santomato di Pistoia.2
L’intervento paesaggistico di Serra è tra le quindici opere concepite da artisti contemporanei di diverse nazionalità (Dennis Oppenheim, Alice Aycock, Anne e Patrick Poirier, Mauro Staccioli, Dani Karavan, Robert Morris …) invitati dal collezionista Giuliano Gori, industriale pratese e proprietario della stessa tenuta. I lavori presentati costituiscono il primo nucleo di una collezione d’arte, di alto valore internazionale, che negli anni si arricchirà notevolmente di artefatti artistici collocati sia negli spazi esterni che interni del complesso residenziale.
Caratteristica fondante degli “Spazi d’arte” è la creazione di opere ideate appositamente per un luogo specifico. Gli artisti sono così invitati a scegliere e studiare lo spazio per il loro lavoro, che può essere realizzato sia all’interno della villa che in una porzione del vasto parco che circonda la tenuta agricola.
Il sito individuato in quest’occasione da Serra consiste in un declivio erboso dalla forma quasi rettangolare (53×80 m), circondato da alberi sempreverdi e arbusti.
Amnon Baezel – curatore del progetto di Celle – ricorda quella che egli stesso definisce “l’energia quasi aggressiva” con cui Serra cercava di appropriarsi del luogo prescelto, fotografandolo senza mai fermarsi con una Polaroid, guardando ogni immagine per un secondo per poi buttarla via. La prassi adottata a Celle dall’artista si riconnette indubbiamente alla riflessione che lega tutte le sue opere realizzate in contesti naturali: «In tutti i miei lavori nel paesaggio – afferma Serra – voglio stabilire una dialettica tra la percezione che si ha di un luogo nella sua totalità e quella che si ha in relazione al campo dove si cammina. Il risultato è una maniera di misurarsi in relazione all’indeterminatezza del paesaggio. Indifferentemente dagli elementi che uso – blocchi o lastre – essi si relazionano sempre con un cambiamento continuo degli orizzonti nella topologia del territorio».3

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Richard Serra, Open Field Vertical Elevations, 1982, Fattoria di Celle, Santomato di Pistoia

Il passo successivo alla selezione e “presa di possesso” del luogo ha riguardato la scelta del materiale. In quest’occasione l’artista per la prima volta decide di non avvalersi dell’acciaio – come in tutte le sue precedenti opere monumentali installate in contesti paesaggistici – ma di optare per una materia litica locale, la pietra serena, che caratterizza puntualmente, con i suoi strati grigi, il territorio toscano. Nelle cave di Firenzuola, tra Firenze e Bologna, Serra riuscì a rintracciare un numero cospicuo di blocchi (otto in totale) che presentassero determinate caratteristiche morfologiche.
Il lavoro di Celle – che prende il nome di Open Field Vertical Elevations – è costituito da otto blocchi litici dalla sommità naturalmente inclinata, disposti sul declivio secondo una precisa logica. L’artista, con un approccio simile a quello di un geografo, ha studiato il posizionamento degli artefatti scultorei basandosi su una precisa mappa topografica – da lui stesso realizzata – dove le curve di livello sono segnalate ogni due metri. Osservando tale cartina si deduce che tutti i blocchi di pietra sono stati collocati lungo le curve di livello del declivio; le loro sommità risultano così parallele alla collina sulla quale insistono e assumo la funzione di aste – vertical elevations appunto – per la misurazione altimetrica del terreno. Dunque l’approccio paesaggistico che emerge da quest’opera non è di tipo simbolico (Serra non prende minimamente in considerazione i risvolti storici o letterari del luogo) bensì analitico, basato su un attento studio dei vari elementi paesistici e delle dinamiche che li legano: «Per essere efficace il mio lavoro – afferma Serra nel testo di accompagnamento all’opera – si deve svincolare dal contenuto preesistente del luogo. Un metodo per giungere al contesto esistente, e quindi di cambiare il contenuto, è passare attraverso l’analisi e l’assimilazione di componenti specifiche: limiti, bordi, edifici, sentieri, strade, l’intera fisionomia del luogo. L’ambiente è così ulteriormente definito, non ripresentato».4

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Richard Serra, Afangar (Stations, Stops on the Road, To Stop and Look: Foward and Back, To Take it All In), 1990, Videy Island, Reykjavik

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A distanza di otto anni dall’installazione di Celle, Richard Serra ritornerà ad impiegare la materia litica per realizzare un suggestivo intervento paesaggistico nell’isola di Videy, una riserva naturale nei pressi di Reykjavik.
Risale al 1988 la prima visita dell’area da parte dell’artista, durante la quale viene profondamente colpito dalle caratteristiche geologiche di questo paesaggio scenograficamente circondato da una catena montuosa che si specchia nelle gelide acque del nord. A fronte di queste forti suggestioni, Serra comprende che qualsiasi intervento artistico, per dialogare con questo silenzioso ed incontaminato contesto naturale, non dovrà essere invasivo, bensì perfettamente integrato nel genius loci. Per queste ragioni l’artista opterà per l’uso di un materiale locale, il basalto, che non ha precedenti nel suo lavoro. La scelta di questa pietra è avvalorata dalla sua condizione giacimentologica originaria che la consegna in “sembianze architettoniche” (sottoforma di sedimentazioni litiche “colonnari”); di conseguenza essa non ha bisogno di essere scavata o incisa ma semplicemente selezionata e tagliata per raggiungere l’altezza desiderata.

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Richard Serra, Afangar (Stations, Stops on the Road, To Stop and Look: Foward and Back, To Take it All In), 1990, Videy Island, Reykjavik

L’opera, il cui nome deriva da un celebre poema islandese – Afangar (Stations, Stops on the Road, To Stop and Look: Foward and Back, To Take it All In) – è composta da nove coppie di colonne basaltiche (alte circa tre metri), disposte a grande distanza le une dalle altre in modo tale da abbracciare l’intera costa.
Nonostante l’artista non abbia mai citato tra le sue fonti d’ispirazione i circoli litici preistorici, numerose appaiono le analogie tra i contemporanei monoliti di Videy e i blocchi di pietra che caratterizzano numerosi complessi monumentali del neolitico: la massività, la regolarità modulare, la spiccata verticalità ed infine il fissaggio a diretto contatto col terreno.

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Richard Serra, Afangar (Stations, Stops on the Road, To Stop and Look: Foward and Back, To Take it All In), 1990, Videy Island, Reykjavik

Al di là di questi richiami formali, si possono scorgere delle motivazioni profonde che hanno portato l’artista a creare un rimando – seppur non dichiarato – con un tempo a noi remoto. Le nove coppie di elementi litici sembrano rispondere al ruolo di “diaframmi visuali” attraverso cui il fruitore percepisce il paesaggio circostante. Un paesaggio in cui convivono due scenari di visione, che a loro volta alludono a differenti dimensioni temporali: da un lato il panorama urbano, connesso alla nostra storia presente e dall’altro le montagne innevate, le quali rimandano al tempo geologico dell’isola, un tempo così dilatato da sembrare quasi infinito.

di Alessandra Acocella

Note
1 La citazione di Serra è stata tratta da Lynne Cooke, “Thinking on Your Feet: Richard Serra’s Sculptures in Landscape”, p. 98 in Kynaston Mc Shine e Lynne Cooke (a cura di), Richard Serra Sculpture: Forty Years (catalogo dell’esposizione, New York, MoMA, 3 giugno – 10 settembre 2007), New York, MoMA Publications, 2007, pp. 420
2 Richard Serra, “Questioni, contraddizioni, soluzioni”, p. 57 in Eduardo Cicelyn, Mario Codognato (a cura di), Richard Serra (catalogo dell’esposizione, Napoli, MADRE, 22 febbraio – 10 maggio 2004), Napoli, Electa, 2004, pp. 241
3 Per ulteriori approfondimenti sulla collezione Gori cfr. A. A. V. V., Arte Ambientale. Fattoria di Celle. Collezione Gori, Pistoia, Gli Ori, 2009, pp. 456.
4 Richard Serra, “Open Field Vertical Elevations”, p. 360 in A. A. V. V. Arte Ambientale. Fattoria di Celle. Collezione Gori, Pistoia, Gli Ori, 2009, pp. 456

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