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18 Dicembre 2009

Opere di Architettura

Piazza San Fermo ad Almè, Bergamo
Attilio Stocchi e Dimitri Chatzipetros

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Uno scatto fotografico ravvicinato del Serpentino della Val Malenco.

Un’idea romantica guida in modo subliminale il pensiero sotteso al progetto di questa piazza italiana, Piazza San Fermo ad Almé in provincia di Bergamo, romantica nei sensi sia più emotivi ed epidermici, sia più storici e filosofici: vale a dire l’immagine inconsciamente diffusa che vuole l’architettura medievale ben accompagnata da una ricca presenza naturale, di vegetazione spontanea e rigogliosa. Sulla piazza spicca infatti la figura della torre medievale, addomesticata agli usi civili nel corso del tempo, i cui caratteri erano come trattenuti ed imbavagliati, quando accostati alle sole essenze arboree puntuali dei cortili limitrofi. L’architetto Attilio Stocchi, il progettista chiamato ad intervenire, in questo caso assieme a Dimitri Chatzipetros, pensa allora ad un prato verde antistante la torre, ma realizzato con un materiale tipico degli spazi pubblici italiani, quale quello lapideo. Questa pertanto la genesi più istintiva dell’intervento, chiamiamola appunto l’idea. Viene poi subito di seguito la traduzione dell’idea in progetto, secondo i dettami della buona tecnica e dell’arte del costruire.
Ci spiega Stocchi come, in massima sintesi, il suo approccio al progetto per lo spazio pubblico coincida con il rinvenimento di motivi storici attinenti lo spazio specifico – ciò che lui definisce il pretesto – ed in parallelo la percezione dei contenuti geografici, naturali ed ambientali rientranti invece nella sfera del contesto. In questo caso la presenza medievale è al contempo pretestuale e contestuale. Costituisce infatti pretesto per le sensazioni che evoca, mentre costituisce contesto per l’insieme di saperi costruttivi che rappresenta. Nella torre fanno ancora mostra di sé le originarie pietre angolari: poste alla base dei vertici dei muri correnti sulla base quadrilatera, portano simbolicamente con sé, tradotto in semplici gesti di lavorazione, il sapere stereotomico medievale, e con esso il sapere matematico applicato alla tecnica costruttiva.
Nella costruzione del prato lapideo i progettisti cercano inoltre la varietà come in natura, e come in natura la declinano secondo la regola scientifica. Scelgono il Serpentino della Val Malenco, per altro una pietra locale date le brevi distanze dalle cave ugualmente lombarde; lo scelgono nelle tre tipologie: Classico, Vittoria e Giada, a loro volta differentemente trattate secondo le lavorazioni superficiali di sabbiatura, bocciardatura e water-jet. Combinando tipologia e lavorazione contiamo così nove possibili varianti.

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La tabella guida alla comprensione delle logiche numeriche alla base del progetto.

Tali varianti sono poi moltiplicate incrociando questi due dati con quelli dimensionali delle singole lastre, facenti riferimento per i propri lati alle leggi dei numeri primi. Anche l’alternanza fra le lastre è guidata dalla regola semplice per cui dalla somma di due numeri primi e sottraendo un’unità, si ottiene un nuovo numero primo. Pure il giunto fra gli elementi di posa partecipa dell’insieme di rimandi numerici. Ne scaturiscono 125 lastre diverse, disposte a casellario su di una griglia per ascisse ed ordinate orientata secondo la giacitura dei lati principali della piazza. Le lastre di maggiore dimensione si concentrano al centro dello spazio pubblico; si raffittiscono invece sui lati, in corrispondenza dell’imboccatura dei percorsi – la piazza, per come disegnata planimetricamente, pare davvero ricalcare gli schemi di Camillo Sitte.
Le sedute sono realizzate su disegno, in legno di iroko e sostegni in bronzo. Completano la superficie pavimentale le caditoie ricavate nel medesimo materiale lapideo, l’illuminazione a raso, le presenze arboree, ed i vari inserti per le manutenzioni delle reti sottostanti.
Verde, nelle varie gradazioni, è sicuramente la connotazione di questo spazio a rimanere più impressa nella mente di chi l’attraversi e lo fruisca. Il termine viridis, nella lingua latina ancora in uso medievale, come preferiscono i progettisti, contestualizza ancor più l’intervento, storicizzando già nei termini le pietre di nuova posa. Non deve essere secondario, per il verde e per la lettura di quest’opera, il fatto di trovare nel magenta il proprio colore complementare: vale infatti, discendendo dalla teoria alla pratica, l’accostamento delle tonalità determinate dalla clorofilla, a quelle dal rosa al rosso mattone che ora siamo abituati visivamente e mentalmente ad attribuire al costruito pre-rinascimentale. La chimica degli elementi divenuti pietra nei millenni e racchiusi ora nelle lastre pavimentali, li porta variamente a risplendere in combinazione ai riflessi del sole e dell’acqua cadente, con i modi delle gemme vulcaniche e degli smeraldi, toccando quindi anche le corde del magico e degli elementi fantastici di letteratura medievale. È come fatta propria l’idea romantica d’approccio all’Antico di John Ruskin, secondo cui è la natura a donare la vera gloria agli edifici, a conferire quella dorata patina del tempo in cui dobbiamo cercare la vera luce, il vero colore, e la vera preziosità dell’architettura.

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La vista dall’alto del calpestio della piazza.

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di Alberto Ferraresi

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