24 Febbraio 2005
Recensioni
La recensione di Parametro
L’Architettura di pietra.
Antichi e nuovi magisteri costruttivi
Alfonso Acocella
Lucense-Alinea, Firenze 2004
Punta con decisione ai saperi fondativi della professione la nuova opera a stampa di grande formato (24×33 cm) e qualità editoriale di Alfonso Acocella pubblicata per i tipi di Lucense Alinea, dal cofanetto scuro, la sovracoperta candida, la densità di argomentazioni e spunti; come neve tale veste bianca non azzittisce ma semplicemente ricopre la quantità di contenuti in successione rapida e variegata dopo l’incipit assoluto omaggiante Louis Kahn e, tramite lui, l’architettura italiana.
Oltre l’epidermide L’architettura di pietra -dai rimandi delle evocazioni bibliche in poi- è architettura della permanenza, dello scorrere del tempo inciso sulla materia, della sopravvivenza delle opere agli artefici e, pure, della gravità ponderale dei manufatti. E’ anche -si potrebbe aggiungere- architettura dell’incontro con la natura nella sua incarnazione più solida, architettura della laboriosità di chi ha toccato in sorte la posa e dell’ingegno adoperato dai costruttori.
Accompagna la titolazione principale de L’architettura di pietra il sottotitolo: Antichi e nuovi magisteri costruttivi, che ne definisce gli spazi temporali.
Risulta essere, questa, la chiave di lettura della ricerca proposta, poichè l’autore non si affida deterministicamente alle categorie ben delineate di storicità o di contemporaneità sic et sempliciter. Non è, infatti, cronologico il criterio di acquisizione di pagine e capitoli, ma logico. E’ allora possibile, e non ci preoccupa affatto, incontrare Zumthor a Vals prima di Anselmi a Parabita. Da studenti abbiamo udito spesso ragionando di progetti: "complesso non sta per complicato".
E’ il caso anche della struttura grafica di questo volume, ricondotta con mano sicura all’idea evidente di ordine. Essa è offerta agli sguardi del lettore attento dai contributi della grafica preziosa di Massimo Pucci, i cui assi ordinatori riconducono il fiume vitale d’informazioni entro argini narrativi chiari e fluidi: scopo delle briglie non è già quello di annullare la vigoria del purosangue. In questo senso il libro è testimone eloquente del connubio fra segno scritto ed icona. Nel progetto comunicativo dell’opera le due vesti, testuale ed iconografica, superano noncuranti l’aut aut della struttura impaginativa simmetrica, circolare, insomma classica, opposta a quella asimmetrica impostasi negli anni contemporanei, per divenire cosa sola -racconto unitario e dinamico- ed assorbire i due temperamenti nella stessa opera a stampa.
Si arricchisce dunque il gioco dei rimandi reciproci: a quello "fra" le righe si aggiunge quello "sopra" le righe. La lettura semplice e lineare dei testi è così solo una delle possibilità. Ad osservare L’architettura di pietra in controluce, traspare in filigrana il DNA dello scrivente, il suo coinvolgimento emotivo ai contenuti, l’attenta curiosità della scoperta sia nelle fasi della ricerca -quando il volume non era forse nemmeno in nuce- come pure in quelle di rilettura e labor limae. E’ probabilmente andata alle stampe per Alfonso Acocella una parte di sè, vita e ricerca insieme, per la quale scrivere e rappresentare per immagini costituisce momento atteso di autoverifica. L’autore medesimo suggerisce il tema del viaggio nelle bandelle della sovracoperta, laddove riporta episodi dall’acropoli di Velia. Compagni di viaggio saranno allora i collaboratori -in particolare Davide Turrini- per i contributi critici, redazionali ed iconografici, oltre al già citato Massimo Pucci per il progetto, sempre diverso, della struttura impaginativa dell’architettura del libro.
Una scorsa all’indice disvela infine la matrice tecnologica sottesa alla trattazione degli argomenti, a conferma delle referenze accademiche importanti dell’autore, oltre che delle numerose testimonianze di ricerca offerte nelle note pubblicazioni sullo Stile laterizio. La ricchezza dei progetti, presentati con grande varietà ed originalità di immagini, trova inquadramento in raggruppamenti facenti capo agli elementi costruttivi tipici dell’architettura. Alle due estremità, d’apertura e chiusura, rispettivamente, si sancisce il primato degli Egizi a Saqqara con Imhotep -primo grande architetto della storia- completando l’informazione con gli approfondimenti sui dati più tecnici e stereotomici della materia sottratta alle cave. A filo rosso del disegno complesso ed unitario dell’opera, oltre la materia litica, si candidano la tensione enciclopedica, la volontà di comprensione totale e di appropriazione definitiva degli argomenti, senza mai far salire alcuna presunzione di segnare la linea dalla "L" maiuscola, quanto piuttosto la generosità di offrire al dibattito lo strumento per indagarla.
Alberto Ferraresi
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