26 Ottobre 2009
Pietre Artificiali
La Palazzina per uffici INCISA di Aurelio Cortesi
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Petizione per edificio per uffici I.N.C.I.S.A. Parma, via Conforti 21.
L’opera dell’arch. Aurelio Cortesi, a causa di un’iniziativa di carattere speculativo, verrà presto alterata con regolare autorizzazione già concessa dall’Amministazione Comunale. Dato il notevole valore e prestigio architettonico è già stata inoltrata la richiesta di vincolo alla Sovrintendenza, che ha già inviato la pratica al Ministero dei Beni e le Attività Culturali.
Allo stato attuale è stata ottenuta una sospensione di 150 gg del titolo abilitativo già concesso dall’Amministrazione Comunale, ma entro 40 giorni dovrà essere depositata una memoria attestante la notorietà e il valore dell’opera.
Questa comunicazione è volta a richiedere un sostegno formale aderendo alla raccolta firme on-line, cliccando questo link e aggiungendo nei commenti il numero di carta d’identità affinché la sottoscrizione abbia un valore legale.
Cronologia e inquadramento dell’opera
La palazzina per uffici Incisa è una delle prima opere di Aurelio Cortesi. Posta lungo la sponda destra del torrente che dà il nome alla città di Parma, nella zona dell’antico Campo di Marte a sud dello Stradone del Petitot, si erge al centro di un lotto di testata, con un aspetto sobrio e una misura civile. È una architettura di muri, precisa e razionale, di setti che portano ombre profonde, ove la lezione del razionalismo milanese incorpora nei propri confini il segno urbano dei contrafforti della Pilotta farnesiana. Progettata e costruita tra il 1966 e il 1968, si colloca in una stagione che Cortesi ha trascorso tra Venezia, Milano e la sua città, e che egli stesso ha definito il tempo della felicità. Sono gli anni in cui a Venezia è assistente di Ludovico Barbiano di Belgiojoso, a Milano è membro – dal 1961 al 19641 – del Centro Studi di «Casabella-Continuità» di Ernesto Nathan Rogers e collaboratore dello studio Albini & Helg, mentre a Parma, al contempo, intraprende la libera professione.
Il valore nel contesto urbano: la palazzina e il quartiere
Il progetto, iniziato nel 1966, è sviluppato negli anni successivi e si conclude nel 19682, con l’ultimazione della costruzione e l’inaugurazione degli uffici.
L’edificio ci è pervenuto quasi intatto: le poche variazioni allo stato originario introdotte nel tempo e dovute ad altri progettisti, riguardano l’istallazione dell’ascensore (il vano è stato ricavato internamente, utilizzando una stanza, senza intaccare il volume) e l’eliminazione delle coloriture rosse dell’interno, sulle pareti e nei corrimani della scala, che sono state sostituite con un bianco e un grigio chiaro.
La I.n.c.i.s.a. S.p.a. è, all’epoca, un’importante società di costruzioni. Con l’edificazione di questa palazzina per gli uffici del gruppo dirigente (gli impiegati e le strutture operative permangono nella vecchia sede), si propone di dotarsi di una sede di rappresentanza, preposta al ricevimento della clientela, atta a rappresentare la propria capacità economica e il proprio dinamismo imprenditoriale.
Il lotto prescelto per la costruzione confina, con altri di minore dimensione a destinazione residenziale, molti dei quali già edificati negli anni ’60. è la testata sud di un isolato che fronteggia il torrente, costruito interamente da villini e palazzine di dimensioni contenute, ed è circondato da tre strade: a est il viale Conforti, da cui prende accesso, a sud il viale San Martino, ad ovest il viale Rustici, sviluppo meridionale dell’asse del Lungo Parma iniziato nel primo ‘900 da Giovanni Mariotti. L’appezzamento di terreno è parte di una vasta area extra-moenia situata a sud dello Stradone Borbone, compresa tra il torrente Parma e la Cittadella farnesiana, in passato usata come Campo di Marte, che le politiche insediative postunitarie destinano, con il Piano regolatore dell’amministrazione Mariotti del 18943, ad un programma di costruzione di case operaie da finanziarsi con la legge di Napoli. Alla fine dell’Ottocento la vecchia piazza d’armi è delimitata a est dall’asse di uscita verso sud da Porta Santa Maria, l’odierno viale Solferino, mentre a ovest e a nord un muro difensivo la separa dal torrente Parma.4
Il programma di fabbricazione non vede attuazione per oltre un decennio; e solo negli anni ’30 del ‘900 si arriva a permutare con lo Stato il vecchio Campo di Marte. A ridosso dello Stradone, però, dall’inizio del secolo, al posto del parco urbano previsto nel Piano seguente del 1887, fanno la loro apparizione i villini eclettici e liberty della nuova borghesia.5
Si tratta di un’occasione di sperimentazione linguistica unica nella città e che vede una sequenza di architetture. La Villa Stocchi Monti (1911) dell’omonimo architetto è la maggiore tra le ville della Parma Liberty e dà una precisa misura alle costruzioni del futuro viale Rustici, mentre all’altro capo del Viale Magenta la Villa Cornelli (1910) del Levacher segna l’asse del futuro Viale Solferino.
Dopo il 1910, in seguito all’abbattimento delle mura e alla diffusione delle idee di “città giardino”, l’ipotesi di un’urbanizzazione a bassa densità porta alla realizzazione di un piano di espansione a edifici isolati che viene completato integralmente solo nel secondo dopoguerra. A chiusura del futuro quartiere viene costruito il grande edificio del Seminario Maggiore (1929) di Camillo Uccelli. Nel ventennio fascista il tessuto edilizio delle residenze di pregio si completa con villini popolari (per due, tre, quattro o sei famiglie), e opere assistenziali, come la casa per gli impiegati dello Stato (1931), la Casa della nuzialità per le giovani coppie (1934), la casa dei mutilati (1935). Il nuovo quartiere, delimitato dai due assi anzidetti, a ovest il lungofiume o viale Rustici e a est il viale Solferino, si sviluppa parallelamente al torrente su di un asse mediano che dal 1939 sarà intitolato a Mons. Conforti. Al centro del viale si apre il piazzale Volta su cui si vengono costruite due opere pubbliche: la chiesa con l’oratorio, e il complesso della Casa del Balilla (1933) di Leone Carmignani e di Giovanni Uccelli, con scuola elementare, cinema teatro e piscina. Il completamento con integrazioni del secondo dopoguerra vede un accrescimento in altezza delle costruzioni sul viale Solferino con la costruzione di una serie di condomini di scarsa qualità che cancellano il rapporto possibile con la Cittadella farnesiana, ma non intaccano il tessuto verso il torrente su cui si insedierà con precisa misura la nuova palazzina dell’Incisa.
Il tipo edilizio utilizzato in prevalenza dalle iniziative private è quello della palazzina. Di piccole dimensioni, adatta alle grandi lottizzazioni così come ai piccoli appezzamenti, per i modesti investimenti che richiede e per la perfetta autonomia dell’edificio (l’essere isolata permette di evitare nel progetto ogni condizionamento imposto dal circostante tessuto costruito; l’essere indipendente consente di mutarne rapidamente il progetto per adeguarlo ai mutevoli gusti del mercato) la palazzina diviene presto lo strumento principale delle nuove espansioni.
Accusata d’essere un tipo edilizio privo di contenuti, considerata rappresentativa del disimpegno della classe borghese, ritenuta incapace di reggere il disegno urbano e di rappresentare una sorta di eversione, oltre che un mezzo per eludere le norme di pianificazione, la palazzina è stata per molti anni spietatamente condannata dalla critica e quasi ignorata, nonostante la sua larga diffusione, dalla cultura architettonica. Ma è proprio nella palazzina tuttavia, sebbene il tipo non sia mai approdato ad una definizione univoca dei suoi componenti, che noi possiamo rintracciare la caratteristica principale della transizione italiana verso il paradigma moderno, la mediazione continua con l’eredità classica. La molteplicità dei casi che ci troviamo di fronte in questa parte di città, ognuno costituente un universo a sé stante, è un patrimonio di archivio in cui è registrato con estrema fedeltà il percorso stesso dell’architettura italiana. Soprattutto nel dopoguerra, la palazzina è destinata a raccogliere i frutti di una ricerca che porta a compimento le istanze figurative del razionalismo italiano, con un infinito repertorio di dettagli, un sapiente uso dei materiali, una nuova capacità d’ibridazione tipologica. Gli architetti del dopoguerra arrivano a estendere la libertà compositiva propria della palazzina alle sopraelevazioni degli edifici esistenti, ai progetti delle villette, dei condomini, e, infine, come testimonia questa palazzina, in modo straordinario e sempre più raro, ai progetti degli edifici per uffici.
Inserita in un quartiere di villini e palazzine, la costruzione, in modo esemplare, sceglie di confrontarsi con gli elementi nobili dell’architettura civile e di accogliere e rappresentare temi che hanno a che fare direttamente con la migliore tradizione locale. L’orientamento, la disposizione, la misura delle parti, inseriscono l’intervento in un equilibrio che risolve la terminazione dell’isolato, in un dialogo puntuale e pacato con le architetture di questa parte urbana. Anche la scelta del materiale prevalente, il mattone, non è semplice collegamento alla tradizione nordeuropea dell’architettura moderna, ma reale occasione di confronto tra le diverse epoche della costruzione della città.
Linguaggio, costruzione, tipo architettonico: ruolo nell’ambito dell’evoluzione del tipo edilizio
La palazzina è un edificio di mattoni rossi posto al centro del lotto su cui insiste. La sistemazione del giardino libera, ma attentamente studiata, rafforza questo sovra-ordinamento sul tessuto residenziale circostante, che quasi raddoppia la profondità del corpo di fabbrica rispetto alle costruzioni residenziali vicine.
Collocabile in un momento di revisione del razionalismo italiano e di formazione delle nuove tendenze, concepita come architettura civile e razionale, la palazzina Incisa è un progetto in cui il rapporto con la tradizione del razionalismo milanese, trova un ulteriore e sereno sviluppo…
La superficie di mattoni, nella precisa sequenza dei setti, sottili e al tempo stesso potenti, esprime, secondo l’autore, la serenità d’una ripetuta riproposizione di partiti architettonici che tendono più alla rappresentazione del proprio tempo che all’obbedienza a tipologie o indicazioni tematiche ritenute deboli e stanche.
L’edificio si articola orizzontalmente con bianchi marcapiani di cemento. I materiali impiegati sono quelli tipici di molta architettura residenziale degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta, ma il modo d’uso è totalmente diverso: il cotto non è semplice tamponamento bensì vera massa muraria, mentre il cemento armato a vista è riservato nei fronti alle sole strutture orizzontali dei solai e ai loro aggetti. La palazzina ha tre piani fuori terra e un interrato, che ognuno con un proprio carattere, si sovrappongono come tre diversi ordini classici. Il piano terreno è porticato su tutti i lati: il portico è di modesta profondità, ma la potenza dei setti murari lo scava con ombre profonde. Il palesarsi dell’interrato sul lato nord delle autorimesse e dei locali di servizio non introduce variazioni nel ritmo, ma soltanto un suo approfondimento dato dall’incremento della doppia altezza. Il piano intermedio resta un volume puro, forato lateralmente da una teoria di finestre, aderenti al soffitto, in ombra, con i serramenti posati a filo interno del muro perimetrale. All’ultimo piano i setti ritornano liberi formando una loggia che avvolge l’intero perimetro e che si allarga proiettandosi all’esterno con balconi e balconata. L’altezza maggiore di quest’ultimo livello termina con un alto cornicione curvo in cemento, mentre uno analogo nelle forme, ma di minore profondità, segna l’imposta delle solette dei balconi. Questo cornicione, ripreso direttamente da quello che corona il cortile della Pilotta, è un motivo che si ripete in moltissime altre architetture di Cortesi, fino a divenirne un carattere distintivo. È inoltre l’elemento di questa architettura che più di altri colpirà l’attenzione dei visitatori, amici e maestri, che Aurelio Cortesi accompagnerà in visita alla palazzina ultimata e che susciterà l’ammirazione anche del suo silente maestro Franco Albini, che di fronte all’opera appena ultimata certificherà il suo valore architettonico.
La fabbrica è a corpo triplo ed ha i fronti tripartiti. La composizione istituisce una corrispondenza tra le testate e i fianchi, con controllate variazioni. Le soluzioni costruttive adottate sono tradizionali, ma applicate secondo una sintassi moderna: la finestra è arretrata rispetto al filo del fronte, il cornicione è largo e sporge a protezione delle pareti, i balconi dei lati corti e la balconata dei lati lunghi misurano le dimensioni orizzontali della composizione. I fianchi sono scanditi da setti murari a contrafforte. Sono elementi che ritornano spesso in molte architetture successive di Cortesi: nella casa di Langhirano, nella città “doppiamente reale” di Pallavicinia, nel Centro Commerciale Eurotorri.
Sul fronte, la tripartizione si articola in verticale, arretrando la porzione centrale ed enunciando la profondità dei corpi di fabbrica. Nella pianta, le cui dimensioni adottano la proporzione aurea, le due porzioni laterali del corpo triplo sono destinate alle stanze degli uffici, mentre quella centrale è svuotata e riservata all’atrio percorso da una grande scala rettilinea.
I muri interni sono sostenuti da una serie di pilastri che ad ogni piano ripiegano con una mensola che regge l’anello dei ballatoi. All’ultimo piano, come in una basilica, lo spazio centrale è più alto per aprire delle finestre; i pilastri interni si alzano oltre la copertura dei corpi laterali e lo spazio tra le loro campate è occupato dai serramenti. La luce discende, attraverso il pozzo della scala, fino al piano terreno. La scala attraversa, quindi, l’intero spazio centrale, salendo verso la luce e conferendo all’interno un carattere monumentale sorprendente e inaspettato all’esterno, ma assolutamente appropriato alla destinazione e degno della migliore tradizione civile della città. Nel parapetto e nel disegno del corrimano si ritrova una diretta citazione degli stessi elementi della Linea 1 della Metropolitana Milanese (1962-64) di Franco Albini, all’epoca da poco ultimata . L’intero disegno di questo spazio eccezionale risulta debitore della idea di spazialità wrightiana che Cortesi esplora con libertà, arricchendo il lascito razionalista.
L’intorno dell’edificio è sistemato a giardino. Una pavimentazione in cemento, con funzione di marciapiede, circonda l’edificio, entra nello spazio del portico, tra i setti, e arresta il manto erboso proteggendo le strutture in elevazione. Il prato è un piano da cui sorgono gli elementi della composizione: l’edificio e le alberature a contorno, disposte in modo da sottolineare la posizione centrate della costruzione e ordinate per segnalare una strettissima corrispondenza, quasi una ripetizione, un parallelo tra natura ed artificio. Il sesto di impianto del filare d’alberi verso sud adotta un passo doppio rispetto a quello dei setti del corrispondente fianco del fabbricato. Il giardino è, dunque, proiezione naturale dell’architettura, protagonista principale della scena: così, due essenze diverse, impiantate a una distanza dal fronte pari all’altezza, incorniciano la facciata d’ingresso, stagliandosi sui due setti che ne delimitano l’estensione; tra di essi, al centro, in perfetta corrispondenza con la composizione del fronte tripartito, il modesto cambio di quota è risolto da una piccola scala circolare in cemento con vasca centrale che ospita un cespuglio di mirto topiato ad emisfero, che pare inserirsi nell’ombra del nicchione d’accesso all’edificio; ai lati, simmetriche e in posizione mediana rispetto alle porzioni di prato corrispondenti, due magnolie sono poste entro due vasi in cemento con piedistallo – che paiono tratti dalla Suite petitotiana – in modo che l’insieme pare alludere a quelle ideazioni tardo settecentesche di cui la città conserva la memoria quali elementi culturali identitari.
La verità costruttiva è l’unico ornamento che la palazzina si concede. Ogni elemento partecipe della composizione è parimenti un elemento della costruzione, così che la figurazione risultante si definisce con assoluta sincerità strutturale. Rappresentazione esatta della sua costruzione, l’immagine della palazzina si compone, però, con altre immagini, memorie che si ricompongono con nuovi e diversi significati. La citazione è un’operazione interna al processo compositivo che la propone come strumento per riaffermare l’appartenenza a specifiche tradizioni ideali e di pensiero e come processo di rielaborazione di materiali che riflette la costanza dei principi fondativi dell’architettura.
L’edificio rappresenta dunque, nell’ambito dell’evoluzione del tipo edilizio del palazzo per uffici una soluzione esemplare proprio per la capacità di evolvere dalla base della residenza una compiuta architettura civile che raggiunge l’esito di grande rilievo della costruzione di una basilica.
La scomposizione degli elementi costruttivi, muro, portico, loggia, contrafforte diventa la promessa di una nuova qualità architettonica diffusa nella città e nel territorio. Il riferimento costante, ma libero, al partito architettonico del grande palazzo farnesiano della Pilotta diventa nuova possibilità di rapporto con la tradizione e di articolazione del linguaggio in senso compiutamente moderno, oltre l’impasse della citazione letterale tradizionalista compiuta da Giovanni Muzio nel fronte dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
di Antonella Cabassi
Note
1 La partecipazione al gruppo redazionale di Casabella segue in parallelo la vicenda di co-redattore di Aldo Rossi: dal numero 247 del 1961 al numero 295 del 1964, quando Rossi uscirà insieme a tutto il nuovo gruppo redazionale, che, oltre ad Aurelio Cortesi, comprendeva anche Vittorio Gregotti, Giorgio Grassi, Silvano Tintori, Guido Canella, Luciano Semerani, Francesco Tentori.
2 L’ultimazione della palazzina avviene in un momento di cambio gerazionale, in cui Rossi, ad esempio, che già l’anno precedente ha pubblicato L’architettura della città, non ha ancora costruito nessuna opera.
3 Il programma di costruzione di case operaie è contenuto nel punto VII della relazione del Sindaco, articolata in dieci punti, che accompagna il Piano regolatore del 1894. Il programma tuttavia rimane sospeso e i lavori vengono inviati di alcuni anni.
4 Una Pianta della città di Parma delineata da Pietro Mazza nel 1850 (Biblioteca Civica Comunale di Parma), reggente Carlo III ultimo Duca Borbone, ci mostra il Campo di Marte con la linea di mura verso ovest eretta a protezione dalle esondazioni del torrente. L’area non è interessata dal Piano regolatore del 1887 (Biblioteca Civica Comunale di Parma), peraltro mai approvato, che invece progettava, entro il perimetro delle mura, un grande parco urbano tra lo Stradone e la Cittadella.
5Cfr. Barbara Zilocchi, Massimo Iotti, Gli anni del Liberty a Parma, Battei, Parma 1993