23 Ottobre 2009
Eventi
INTERNATIONAL AWARD ARCHITECTURE IN STONE 2009
L’attualità antica della pietra
Espigueiros a Lidoso, Portogallo
l passato non serve che a conoscere l’attualità. Ma l’attualità mi sfugge. Che cos’è dunque l’attualità?
Henry Focillon
L’International Award Architecture in Stone, svoltosi in occasione della 44a Marmomacc, è giunto quest’anno alla sua undicesima edizione. Dalla sua nascita nel 1987 costituisce non solo un importante riconoscimento a livello internazionale conferito alle migliori opere architettoniche in pietra, ma anche ‹‹un prezioso osservatorio – come lo definisce Fulvio Irace, tra gli esponenti della giuria – per la nascente fortuna di un materiale che sembrava consegnato ad un passato concluso»1. Infatti, grazie alle recenti tecniche di lavorazione, la pietra può godere oggi di una maggiore flessibilità d’utilizzo che va ad incrementare, e non a snaturare, le sue caratteristiche e potenzialità costruttive e del linguaggio apprezzate fin dai tempi antichi.
Un’attualità antica, dunque, quella dei materiali lapidei, volutamente sottolineata in questo Premio attraverso la scelta di premiare, oltre alle cinque architetture che nel corso degli ultimi anni hanno rappresentato l’avanguardia del costruire litico, anche degli artefatti “senza autore” che con la loro particolarissima ed enigmatica mole pietrosa caratterizzano il paesaggio della penisola iberica sin dall’era neolitica. Si tratta degli Espigueiros e degli Horreos a cui va il “premio speciale all’architettura vernacolare”: granai, magazzini, depositi, la cui funzione è quella di conservare le scorte di cereali fino all’arrivo del nuovo raccolto. ‹‹Sono utensili – afferma l’esperto in materia Antonio Armesto Aira – chiaramente relazionati al prolungamento della vita nel tempo, poiché, per loro mediazione, ciò che è biologico sfugge al concetto precario di durata e si pone in un tempo ciclico e quindi continuo, apparentemente senza fine»2. Per perseguire questa sorta di sfida al tempo lineare, gli “autori” di questi granai hanno optato il più delle volte per la pietra (in particolare per il granito, parte integrante del tessuto geologico di questi territori), materiale nobile, massivo e resistente che allude alla durevolezza riverberata simbolicamente sui raccolti.
La cerimonia ufficiale di premiazione ha avuto luogo quest’anno presso il Museo di Castelvecchio di Verona, cornice architettonica ideale in quanto già di per sé silenziosa testimonianza di quel sapiente uso sia tecnico sia espressivo della materia litica che accomuna le opere premiate, riscontrabile qui nelle tracce lasciate da Carlo Scarpa tanto all’esterno che all’interno degli spazi museali. A coordinare la cerimonia svoltasi alla presenza delle autorità, degli autori delle opere selezionate e di un folto pubblico di architetti, committenti, personalità della cultura e operatori nel settore lapideo, è Vincenzo Pavan, ideatore e curatore del Premio in continuità con le precedenti edizioni. É lui a introdurre i cinque architetti invitati a presentare il loro progetto premiato.
Il primo a prendere la parola è il giapponese Kenzo Akao, membro della AAF (Asian Architecture Friendiship), un’associazione non governativa di architetti volontari sorta nel 1998, il cui scopo è quello contribuire allo sviluppo di alcune popolazioni asiatiche attraverso la costruzione di edifici sociali, come nel caso del Complesso scolastico Buddha (2002-2007) a Philim, Nepal.
AAF, Complesso scolastico Buddha, Philim, Nepal, 2002-2007. Percorso esterno tra i corpi di fabbrica
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L’opera architettonica, situata su un declivio, è costituita da due gruppi di edifici, al centro dei quali è posto un vasto spazio aperto per l’attività ricreativa degli scolari. L’impostazione delle costruzioni su linee curve leggermente divergenti fa sì che esse si adattino in maniera organica alla morfologia del luogo, evitando di modificarla in maniera invasiva. Caratteristica fondante del progetto è – come sottolinea Akao – l’attenzione all’ambiente e alla cultura locale, riscontrabile anche nella scelta dei materiali. ‹‹Il tipo di pietra che usano per costruzioni residenziali locali – si legge in alcune annotazioni della AAF – è un’arenaria che si trova facilmente sulla riva del fiume che scorre sotto il villaggio a trenta minuti dal nostro cantiere. Provammo allora a far fare dagli abitanti locali un piccolo lavoro di muratura come esperimento. Iniziammo a reperire il materiale lapideo. Per ottenere un pezzo, due persone devono collaborare sulla riva. Una mette il cuneo alla pietra, e l’altra picchia col martello. Poi mettono le lastre nella cesta che hanno costruito col bambù e la portano sulla schiena. […] Per fare il muro, utilizzano conci di spessore da cinque a dieci centimetri e li sistemano in due corsi, e fanno in modo che i corsi esterni della parete siano esattamente diritti. Riempiono il vuoto con ciottoli e passano allo strato successivo. Quando la parete è finita, vi applicano sopra del fango»3.
All’illustrazione di questo mirabile esempio di architettura partecipata in cui l’impiego del materiale lapideo assume un vero e proprio “valore sociale”, seguono quelle degli autori degli altri quattro interventi premiati, situati non in sconfinati paesaggi rurali, ma insediati nei complessi e stratificati tessuti che caratterizzano le città storiche europee.
Fermin Vàzquez – b720, Restauro di Plaza del Torico, Teruel, Spagna, 2007. Veduta diurna e notturna.
Lo spagnolo Fermin Vázquez (fondatore dello studio b720 Arquitectos) illustra il restauro di Plaza del Torico (2007) a Teruel, in Spagna: un complesso intervento di rinnovo finalizzato a conferire alla piazza (“anima fisica” di questo centro medievale) un’estetica contemporanea, rispettando le preesistenze ambientali di cui è ricca tale area. Cerniera dell’intero progetto è indubbiamente il restauro della pavimentazione realizzata in pietra basaltica, che, a seconda delle ore del giorno, assume differenti aspetti ed evoca nei passanti molteplici suggestioni. Con la luce diurna, il tono neutro della pietra fa da “scenografia discreta” atta a indirizzare l’attenzione dei visitatori sulle trame degli edifici storici e dei portici che circondano la piazza. Di notte invece il pavimento si trasforma in una sorta di contemporaneo “schermo visivo emozionale” grazie ad una suggestiva illuminazione emanata da circa duemila vettori lineari di luce inframezzati nelle varie lastre di basalto, quasi fossero – per usare una metafora dello stesso Vàzquez – tanti chicchi di riso sparsi sul suolo. Un’innovativa ricerca, dunque, tale da avvicinare un linguaggio solido e statico qual’ è quello della pietra ad una sperimentazione scenografica ed immateriale: il light design degli spazi urbani.
Dal contesto denso di preesistenze storiche in cui ha operato lo studio spagnolo, si passa, con l’intervento successivo di Cino Zucchi, ad un’area industriale milanese dismessa, in cui il tessuto urbano si fa più rado e aperto a nuove riconfigurazioni.
Cino Zucchi, Uffici nell’ex mensa Alfa Romeo al Portello, Milano, Italia, 2007.
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L’opera in questione è il Palazzo per uffici nell’ex mensa Alfa Romeo (2007) situato nell’area del Portello. Tale costruzione si presenta all’esterno come un prisma a base trapezoidale, dalla volumetria spiccatamente stereotomica e massiccia, che poco ha a che fare con il preesistente edificio della mensa, di cui conserva solo la facciata su viale Traiano. «L’aspetto che maggiormente colpisce e rende l’edificio diverso dagli altri – rivela Vincenzo Pavan – è l’essenzialità formale e la nettezza tagliente delle superfici delle tre nuove facciate che inglobano le aperture in un disegno complesso e dinamico»4. Estetica riduzionista e superfici simili a lame affilate, dunque, in cui gioca un ruolo determinante il rivestimento lapideo dell’edificio, costituito da una tessitura fine di lastre in pietra del Cardoso (un’arenaria dal colore grigio scuro tendente al turchino, con un alto grado di compattezza e tenacità). Come ha sottolineato lo stesso Cino Zucchi durante il suo intervento, questo forte accenno posto sul guscio lapideo va letto come un esercizio sulla massa e sulla monocromia, in grado di conferire al corpo architettonico l’assetto di un moderno e minimale blocco esattamente sagomato, dalle molteplici e taglienti sfaccettature.
La città di Milano è lo scenario urbano di un’altra architettura in pietra premiata: l’ampliamento dell’Università Bocconi realizzato dallo studio irlandese Grafton Architects (Yvonne Farrel e Shelley McNamara).
Grafton Architects, Ampliamento Università Bocconi, Milano, Italia, 2008. Veduta notturna da Viale Bligny e veduta del foyer dell’Aula Magna.
In apertura del suo intervento, Yvonne Farrel afferma come la capacità di comunicare abbia un’importanza primaria in ogni scelta progettuale intrapresa dallo studio Grafton, a partire dal quella del materiale. Quest’ultimo non assolve dunque nei loro edifici un ruolo meramente estetico, ma è funzionale a trasmettere al pubblico svariate sensazioni o significati. Nel caso dell’ampliamento della Bocconi, la scelta per il rivestimento esterno del Ceppo di Grè (una pietra dalla tonalità grigiastra con ottime caratteristiche di resistenza) è giustificata dalla precisa volontà di infondere nell’osservatore quelle caratteristiche di severità e pesantezza proprie dell’architettura milanese. All’interno dell’edificio si uniscono al Ceppo altri materiali litici, quali il Marmo Bianco Lasa e il Marmo Bianco di Carrara, in grado catturare e riflettere la luce proveniente da alte aperture. Attraverso questo sapiente “gioco di pietre” il corpo architettonico diviene – riprendendo la metafora della Farrel – una sorta di conchiglia, compatta e austera all’esterno ma dotata di una straordinaria complessità e lucentezza al suo interno.
L’ultimo architetto a prendere la parola nella cerimoria di premiazione è il norvegese Kjetil T. Thorsen dello studio SnØhetta, che ha presentato al pubblico l’Opera House (2007), un’affascinante architettura litica protesa scenograficamente sul fiordo nell’area di Biorvika, ad Oslo.
SnØhetta, Opera House, Oslo, Norvegia, 2008. Veduta dal mare.
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Tale edificio, destinato ad accogliere il Teatro e l’attività dell’Opera e del Balletto di Norvegia, rappresenta un’importante scommessa per la città di Oslo, in quanto nasce come fulcro di un vasto intervento di riqualificazione dell’area urbana antistante al mare, destinata a divenire negli anni il polo culturale e ricreativo della città.
L’unità imprescindibile che lega progetto architettonico e scelta dei materiali emerge qui in tutta la sua forza espressiva: la volontà di ricreare una sorta di “mare di ghiaccio” ha portato i progettisti ad optare – nel rivestimento esterno – per il marmo bianco di Carrara, materiale in grado di suggerire in maniera perfetta la lucentezza e il candore delle lastre gelate affioranti con differenti angolature dall’acqua. Un volume scultoreo fortemente innovativo, quello dell’Opera House di Oslo, in grado di unire paradossalmente due immaginari altrimenti distanti: da un lato il mondo nordico, con la sua luce limpida e fredda, scenario prediletto dai pittori alla ricerca di visioni sublimi, e dall’altro il mondo mediterraneo, intriso di sole e abitato da antiche rovine di pietra.
Un ulteriore momento di approfondimento sul Premio Internazionale Architetture di Pietra è stata la mostra allestita presso gli spazi di Veronafiere con l’esposizione al vero dei litotipi adottati nelle opere premiate, a cui si aggiunge la pubblicazione del catalogo Litico Etico Estetico edito da Motta Architettura. Il ricco apparato fotografico del volume a stampa, da cui abbiamo tratto le immagini qui presentate, e i puntuali saggi contenuti al suo interno, si sono rivelati preziosa fonte di riflessione.
Vincenzo Pavan (a cura di), Litico Etico Estetico – Lithic Ethic Aesthetic, Milano, Motta Architettura, 2009, pp. 157, italiano/inglese, euro 30.
Vai a:
Marmomacc
PREMIO INTERNAZIONALE ARCHITETTURA DI PIETRA 2009 – XI edizione
Note
1 Fulvio Irace, “Volti di pietra” p. 8 in Vincenzo Pavan (a cura di), Litico Etico Estetico – Lithic Ethic Aesthetic, Milano, Motta Architettura, 2009, pp. 157
2 Antonio Armesto Aira, “Horreos della Penisola Iberica. Breve saggio sull’ethymon del monumentale in architettura”, p. 138 in Vincenzo Pavan (a cura di), Litico Etico Estetico – Lithic Ethic Aesthetic, Milano, Motta Architettura, 2009, pp. 15
3 AAF, “La pietra che viene dal fiume”, p. 22 in Vincenzo Pavan (a cura di), Litico Etico Estetico – Lithic Ethic Aesthetic, Milano, Motta Architettura, 2009, pp. 157
4 Vincenzo Pavan, “Frammenti della Milano di Pietra”, p. 56 in Vincenzo Pavan (a cura di), Litico Etico Estetico – Lithic Ethic Aesthetic, Milano, Motta Architettura, 2009, pp. 157