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9 Novembre 2006

Opere di Architettura

Kengo Kuma, Lotus House


Veduta verso il contesto naturalistico (foto Daici Ano – Archivio Kengo Kuma)

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Una sezione sul paesaggio.
Distinguendosi dalla sperimentazione contemporanea più radicale che assimila l’architettura al paesaggio, contaminando reciprocamente reminiscenze land-art e tecniche digitali di morphing, Kengo Kuma mette in reciproca tensione artificio e natura. L’obiettivo è perseguito lavorando sulla sezione dell’edificio, che nega il concetto di facciata attraverso una innovativa interpretazione del tema della parete.

Il contesto
L’edificio unifamiliare si colloca in una radura, attraversata da un fiume, tra la fitta vegetazione boschiva, sviluppandosi nella direzione dell’asse eliotermico. L’impianto monodirezionato, disposto su due livelli, unitamente alla profondità semplice del corpo di fabbrica, richiama le proporzioni di un lotto urbano giapponese insolitamente isolato. La condizione di straniamento che ne deriva risulta amplificata dalla collocazione dell’area di pertinenza- una vasca d’acqua con fiori di loto alimentata dal corso d’acqua- in aderenza al lato maggiore rivolto a sud, verso cui si aprono tutti gli ambienti di vita. A causa della sostanziale chisura della parete controterra a nord- all’interno della quale, per l’intera profondità della casa, si sviluppa la manica distributiva- e dei fronti brevi, occupati da garage e scala di servizio, l’intero edificio si configura come sezione prospettica sul paesaggio a valle. Gli spazi principali sono collocati al piano terreno. In particolare, la zona giorno si organizza attorno a una corte coperta a doppio volume, dalla quale è possibile accedere al piano soprastante, dove si trovano la sauna e un tetto-terrazza contraddistinto dalla presenza di un ulteriore specchio d’acqua. Utilizzando le scale in testa ai lati corti dell’edificio è possibile ritornare alla quota di campagna.


Visione d’insieme

Instabilità e mutevolezza dell’architettura
La ricerca di Kengo Kuma è improntata a una progressiva destabilizzazione della dimensione oggettuale del manufatto architettonico, al fine di ripensarne i termini di coesistenza con l’elemento naturale. Ciò non comporta, tuttavia, una dissolvenza dell’edificio, come avviene nell’opera di Toyo Ito e di Kazujo Sejima, che lavorano in tal senso sul tema della trasparenza. Alla smaterializzazione viene infatti sostituita una visione dinamica dello spazio, reso fluttuante dalle continue vibrazioni delle pareti che lo delimitano, per il diverso effetto incidente della luce, e dalla fluida continuità degli ambiti ottenuti. L’identità mutevole dell’architettura, in relazione alle imprevedibili variazioni, quotidiane e stagionali, dell’ambiente, ristabilisce in tal modo un’armonia possibile tra lavoro dell’uomo e natura.

Il linguaggio
L’integrazione con il paesaggio circostante avviene attraverso la dissoluzione dell’involucro architettonico, sostituito da una libera disposizione di partizioni verticali e orizzontali che articolano lo spazio stabilendo un senso di continuità tra interno ed esterno profondamente radicato nella tradizione architettonica giapponese. La composizione aperta risultante evoca tuttavia anche la lezione neoplastica, riletta attraverso colte citazioni miesiane (v. il padiglione di Barcellona), soprattutto per quanto concerne la riduzione minimale delle componenti, la relativa intercambiabilità e la ricerca di una forte compenetrazione tra artificio e natura.


Corte coperta a doppio volume

Artificio e natura
Nella poetica di Kengo Kuma la distinzione tra artificio e natura non è di sostanza, bensì di grado. Il primo appare infatti come il risultato di un processo di progressiva astrazione del dato naturale, interpretato nelle sue complesse dinamiche interne e interazioni esterne. Così come la natura è il prodotto unico e irripetibile della coazione tra forze instabili e materie a cambiamento di stato continuo, per l’architetto giapponese l’artificio è il risultato replicabile di un sistema di operazioni impersonali e standardizzate esercitate su componenti prodotte industrialmente. In analogia, alla corruttibilità dei materiali naturali, indotta dal tempo e dagli agenti atmosferici, Kuma contrappone la durata teoricamente illimitata dei prodotti industriali di cui si serve e delle lavorazioni speciali a cui sottopone quelli naturali, privandoli di qualsiasi connotazione artigianale. Per comprendere pertanto l’aspirazione di Kuma a ristabilire una consonanza tra architettura e natura bisogna analizzare la “parcellizzazione” dei materiali da costruzione, sistematicamente perseguita in stretta aderenza alle condizioni di illuminazione dello spazio.


Vedute verso il paesaggio

La luce
La “parcellizzazione” dei materiali da costruzione permette a Kuma di ottenere superfici vibranti e mutevoli in rapporto alla diversa quantità e qualità di luce, semplicemente agendo sulla relativa texture. La moltiplicazione delle porosità interne, diversamente perseguita in ragione delle tecnologie di assemblaggio adottate, amplifica e riverbera il risultato ottenuto. Nel caso della Lotus House i diaframmi vengono realizzati montando lastre di travertino su di una intelaiatura di lamine di acciaio inossidabile, le cui componenti risultano reciprocamente incerniarate in modo da garantire un certo grado di liberta anche sul piano orizzontale. La trama modulare risultante, ottenuta alternando lastre piene a specchiature vuote, permette non solo allo sguardo, ma anche al vento, di attraversare la parete, stabilendo un ulteriore consonanza tra natura e cultura.

Nicola Marzot


Il diaframma con lastre di travertino verso la vasca d’acqua

Vai a www.kkaa.co.jp

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