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Non c’è pietra nel design o non c’è design nella pietra?
(I parte)


Tavolino Bernini (da Bernardini, M.G., Fagiolo dell’Arco M., Gian Lorenzo Bernini, catalogo della mostra, Roma 1999)

Il dibattito e l’attenzione sulla materia litica appare oggi affievolito mentre fu molto significativo in Italia nel periodo che va dagli anni ’50 alla fine degli anni ’70, quando alcuni tra i più importanti architetti si cimentarono nel design di prodotti litici con esiti di alto valore formale e funzionale, proponendo progetti connotati da una capacità espressiva contemporanea declinata con sapienza tecnologica, nel più rigoroso rispetto delle caratteristiche e del portato storico della materia. Una tale significativa concentrazione d’interesse non sembra essersi più verificata da allora, e la cosa sorprende molto data la creatività espressa dal mondo del design nel lanciare sempre nuovi slogan. Il fatto è ancora più paradossale perchè si tratta di settori connessi a distretti produttivi importanti nel panorama italiano sul piano economico oltre che territoriale, storico e paesaggistico. Questo aspetto merita di essere analizzato più approfonditamente facendo delle ipotesi: si potrebbe pensare che il mondo del design abbia totalmente esaurito le sue proposte oppure, seconda e non meno paradossale ipotesi potrebbe, non è più tanto interessato a questa materia che, di conseguenza, è quasi assente dal panorama delle più recenti proposte e dal dibattito del settore. Le cause che vi concorrono sono state già in parte individuate nel dibattito in corso ipotizzando l’indebolimento dei magisteri costruttivi (Acocella, 20041).
Non consideriamo una terza possibilità: ossia che non vi sia progetto litico nel campo d’interesse del design, cosa che deve essere esclusa per manifesta inconsistenza e sulla quale dobbiamo però proporci di approfondire il discorso direttamente con le aziende produttrici.
Al momento lasciamo tali questioni aperte e proseguiamo il ragionamento, ipotizzando che, in qualche modo, si attendano altri elementi in termini di obiettivi e suggestioni, per comprendere meglio verso quale orizzonte il tema possa evolvere.
Esposte lapidariamente le prime ipotesi relative alla ricerca contemporanea di identità del prodotto ed, in questo ambito, di un’ area di rinnovato interesse riguardante il design litico, connesso con opportunità che di nuovo oggi si aprono, e non volendo affrontare il problema sul piano teorico, bensì rimanendo fedele all’approccio “euristico” che caratterizza il progettista, che ricerca soluzioni che nella pietra stessa siano contenute, come pensava Mighelangiolo, ma sempre verificando che rispondano a requisiti chiaramente definiti come oggi è necessario, inizieremo a parlare di progetti riferibili all’ambito del design litico.
Vogliamo ripercorrere per progetti il periodo aureo del design italiano, ma anche ricercando nella storia dei secoli passati qualche esempio di approccio progettuale utile a meglio definire le peculiarità del tema.
Si può iniziare con una considerazione, che appare opportuna dopo che la comunità litica si è arricchita di contributi di tale area, riguardante il come e il perchè il design industriale si differenzi fortemente dall’arte, soprattutto nel metodo: l’arte non deve preoccuparsi dei requisiti, nemmeno di quelli tecnici che, al contrario, sono alla base dello sviluppo e controllo di una soluzione efficace nel design industriale come nell’architettura. Il progetto di design si qualifica come un processo razionale e quindi ripetibile, obiettivo che salvo specifica intenzione dell’artista, espressa con la serialità dell’opera, non è tra quelli che generalmente connota l’arte.
Ecco perchè, pur guardando con interesse all’arte, ad essa ispirandosi, il designer, artista non è, ma è, e rimane progettista nel senso latino del termine (pro iectare, gettare in avanti) ossia colui che ricerca e sperimenta una soluzione che non esiste, ma esisterà in futuro, dopo che il concetto iniziale sarà appropriatamente stato sviluppato mediante una serie di attività tese alla ricerca della soluzione di problematiche di varia natura che il progetto pone, alla verifica delle soluzioni adottate, al riesame multidisciplinare del progetto, alla sua validazione in condizioni d’uso. Questo non significa che, automaticamente, tutto quello che si progetta nel design debba sembrare, anche formalmente, innovativo, adottando una sorta di riduzionismo linguistico, che enfatizzi semplicisticamente l’idea che abbiamo in un determinato momento storico del futuro. Il linguaggio del design, essendo un esito intrinseco del processo di sviluppo, appare sempre proiettato in avanti, ma non necessita di essere ridotto sintatticamente ad un manierismo minimalista, semmai è proprio la materia di progetto e le tecnologie di lavorazione e costruttive, che, oggi, pongono dei vincoli in tal senso imponendo rispetto per la materia stessa, cosa di cui dobbiamo essere consapevoli se vogliamo governare il progetto. Nulla vieta tuttavia di sperimentare nuove strade che integrino tecnologie avanzate e manualità, e quindi sensibilità, umana, artigiana, in cui la fase di finitura divenga significativa e pregnante di nuove frontiere espressive. In questo senso la tradizione italiana nel settore è significativa e deve essere oggetto di attenta valorizzazione nel progetto stesso.
Prima di tutto bisogna capire perchè e come un progetto che si rivolge alla materia litica assuma un significato specifico per la nostra sensibilità contemporanea.
Infatti in un panorama affollato di oggetti spesso inutili e connotati da forme effimere e gratuite, la pietra sembra richiamare la nostra attenzione ad un progetto più consapevole e duraturo, anche sul piano linguistico si avverte l’esigenza di una coerenza tecnologica, un richiamo quasi etico alla natura stessa del materiale.
L’essenzialità della forma che qualche volta si impone per motivi fisico-meccanici, non è un esito scontato, anzi la potenziata capacità di gestione dell’informazione, la conoscenza delle dinamiche prestazionali del materiale scelto, fa sì che oggi il progettista litico sia essenzialmente un tecnologo e quindi capace di governare la complessità del sistema requisiti/prestazioni nel prodotto. Recuperando al termine tecnologo la radice greca technè, che per gli antichi comprendeva sia la bellezza che la sapienza tecnica (Nardi,19982).
Dunque più capacità di trattamento dell’informazione, più conoscenza scientifica del materiale ed anche mezzi di realizzazione più sofisticati frutto dell’innovazione tracciano uno scenario evolutivo, determinando una nuova frontiera da superare. Si sono già affacciate all’orizzonte sperimentazioni nel campo edilizio che tuttavia fanno riferimento a metodi tipici del design industriale attraverso la progettazione realizzazione di componenti litici ad alta complessità formale e non più solo “sottili”, ma anche caratterizzati da un certo spessore. Questi progetti a cerniera tra design ed architettura tracciano una linea di pensiero che vede gli architetti, etimologicamente coloro che sanno costruire l’arco, ossia i sapienti riguardo alla tecnica, impegnati a tracciare metodi di progetto integrati tra design industriale ed architettura che possiamo considerare il punto centrale della discussione.
La fertilizzazione incrociata tra la visione dell’oggetto e quella dell’architettura hanno dato luogo sia ad un potenziamento linguistico del progetto nell’architettura di pietra contemporanea da un lato ed alla emersione di nuove forme nel mondo degli oggetti dall’altro. Tuttavia come vedremo il fenomeno non è nuovo storicamente.
Un esempio lo possiamo osservare nel settore oggi definito dell’ “arredo urbano”, ancora uno slogan contemporaneo per raggruppare una parte del progetto di architettura che si prende cura dello spazio pubblico che accoglie l’opera. Qui la materia litica da secoli è protagonista, perchè risponde efficacemente e requisiti tecnici, funzionali, d’uso ed espressivi, in quanto consente al progettista di concentrarsi sulla ricerca di soluzioni più durature che, sicuramente, oggi vediamo dal punto di vista del ciclo di vita del prodotto e della manutenibilità, ma sul quale dal movimento moderno si tenta anche di sviluppare anche una ricerca contemporanea anche dal punto di vista formale.
La storia dell’architettura ci indica alcuni esempi in varie epoche, ed in particolare possiamo osservare nel periodo Barocco, si trovano efficaci sperimentazioni sulla espressività della pietra, sia in architettura che nello spazio pubblico, che hanno creato i presupposti per una ricerca progettuale che risponda ad esigenze espressive complesse simili a quelle che troviamo nel design contemporaneo.
Come osserva C. Brandi3 riguardo all’opera del Bernini – la sublimazione del marmo in cera, ossia l’assunzione come emanazione propria della luce, la trasformazione dell’alone luminoso in pertinenza spaziale, non è il solo attestato della metamorfosi della materia, per cui diviene forma la sostanza dell’espressione.– Dunque la metamorfosi dello scultore in architetto in realtà è gia avvenuta nella sua scultura che si appropria dello spazio con una sorta di messa in scena teatrale mediante lo spostamento irrealistico della luce lungo le superfici in movimento che la caratterizzano. L’irrealismo della sua scultura, mostra una natura filtrata dal progetto che la reinterpreta e fa sì che – Altrove, dovendo presentare una materia bruta o grezza come la pietra o la roccia, il Bernini non si contenta di usare pietre tratte dalla cava, ma le scolpisce in modo che della superficie naturale della roccia non conservino neppure un palmo – le rocce scolpite significano roccia, ma non sono la roccia, ma il progetto di un oggetto che esprime la roccia più del modello naturale. L’illusionismo barocco della sua architettura rappresenta dunque un naturale sviluppo di questo gioco intellettuale tipico del suo procedimento progettuale. – Allo stesso modo che nel marmo veniva inclusa la luce e l’alone spaziale, una nuova metamorfosi della materia si produce: ma non in un’altra materia, perchè pietra è e resta, sebbene in una pietra, che non è similitudine di alcuna pietra, e che nessuno potrà prendere per naturale… Perciò la finta pietra del Bernini non è illusionismo, non è come il finto marmo o la scagliola, anzi l’opposto, e in un cerro senso, la sublimazione ultima del suo processo creativo, che da una partenza estensionale arriva a creare un contenuto che non corrisponde a nessun contenuto, che è finto in quanto non è naturale, ma è naturale proprio in quanto è finto.– Per questo motivo il Bernini non modellava (modelli di creta, n.d.r.), ma scolpiva i suoi modelli, usava per esempio costruire modelli in legno, come quello per la fontana dei Fiumi di piazza Navona a Roma rivenuto a Bologna4, lavorato con la sgorbia e lo scalpello o come si può vedere in una base di tavolo scolpita, a lui attribuita (Fig.)5, per studiare elementi come le colonne tortili, che andavano poi a costituire la sua architettura ad esempio nel baldacchino dell’altare di S.Pietro a Roma. Brandi osserva, giustamente, che – Bernini scultore aveva ben poco da trasmettere al Bernini architetto in quanto la metamorfosi della materia in architettura non è richiesta perchè già la trasformazione delle superficie in superficie emittente è gia del tutto in atto. Dalla pedana di lancio della scultura, il Bernini potè essere avviato solo saltuariamente all’architettura, quando il fatto della modellazione era preminente.– Ossia quando la scultura-architettura, come nel Baldacchino, era una esigenza spaziale esplicita. Sviluppata anche grazie alla collaborazione con il Borromini.
Queste prime sperimentazioni nel Barocco romano per coinvolgere lo spazio e la luce sono ricchi di spunti progettuali che verranno sviluppati nei secoli successivi, anche su manufatti seriali, ad opera sia dei magisteri fabrorum murariorum, i maestri muratori, sia nella tradizione dei lapidum incisores, gli intagliatori, la cui technè, risalente per alcune tecnologie costruttive ad epoche più antiche, connota l’architettura nel Barocco siciliano e dove se ne trovano echi.
Arte e tecnica si fertilizzano reciprocamente nei secoli con lo scambio di conoscenze e obiettivi di progetto. Oggi con l’aumento delle possibilità realizzative questo fenomeno sembra avere meno rilievo, ma nell’ambito del design litico il tema si ripropone e chiede attenta valutazione, ridefinizione di metodi e processi creativo-realizzativi.
Un altro aspetto che modifica profondamente questo peculiare rapporto nel design riguarda oggi i tempi di fruizione dei prodotti che spesso sono inferiori al ciclo di vita programmato: il consumo veloce che caratterizza la bulimia contemporanea è un elemento destabilizzante del progetto, tutto ciò che appare effimero induce infatti l’idea dello spreco. Quindi appare più evidente anche che certi materiali, piuttosto che altri, sembrano opporsi a tale tipo di consumo. Oggi siamo impegnati su ricerche diverse, la sostenibilità e l’ecocompatibilità dei prodotti è un obiettivo sociale atteso e quindi dobbiamo anche modificare coerentemente l’immagine e la comunicazione del prodotto. La materia litica impone attenzione anche su questo punto, anche se non sposiamo la dottrina del riuso dello scarto6, che sembra etica ma che, in realtà, risulta soprattutto promossa dal suo peso economico nel settore litico, la pietra, in quanto risorsa non rinnovabile, non ammette sprechi e sembra idonea a veicolare nuovi valori di durata anche sul mercato, che in qualche modo già attende e ricerca nuovi valori culturali, legati al territorio ed alla sua identità, contrastando la mera ricerca della quantità e dell’abbattimento dei costi.

Maria Antonietta Esposito

Note
1Acocella A., Architettura di pietra, Alinea – Lucense, Firenze, 2004.
2Nardi G. et alii, Poiesis, l’informatica nel progetto euristico, Milano, Città Studi, 1993; Nardi G. et alii, Cultura tecnologica e progetto di architettura, Milano, Editoria Elettronica, 1998, ISBN 88-251-7066-1.
3Brandi C., La prima architettura Barocca. P.da Cortona, Borromini, Bernini, Universale Laterza, Editori Laterza, Bari, 2° ed. 1972, pagg.121.
4Ibidem, pag.123.
5Bernardini, M.G., Fagiolo dell’Arco M., Gian Lorenzo Bernini, catalogo della mostra, (Roma 1999), Ginevra Milano, 1999, p.193, fig. 123, p.385, n.123, p.222, figg. 157 a-b, pp.403-404, n.157.
6Legnante E., Lotti G., Un Tavolo a tre gambe. Design, Impresa, Territorio, Alinea, Firenze, 2005, ISBN 88-8125-976-1

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