7 Ottobre 2006
Appunti di viaggio
Los Angeles
Casa di Rudolf Schindler (1922)
Los Angeles, 22 agosto 2006
Mi rifiuto di andare a vedere gli Studios, mi prendo un giorno di ferie dalle ferie!
Due gli obiettivi selezionati: casa di Rudolf Schindler e casa di Charles Eames
Si prova una sensazione in più quando si affronta l’architettura privata dei grandi maestri, quasi un gusto per il pettegolezzo, per il "reality". Entri e scopri i lati più intimi della loro vita, fai i loro stessi percorsi quotidiani, visiti cucina e stanza da bagno, il giardino, l’orto, l’autorimessa; i lati meno noti della loro esistenza, gli angoli nascosti e secondari delle loro case, i locali di servizio, le scale d’accesso, gli alberi del giardino.
Già da subito la casa di Schindler (1922) ti sorprende quando non riesci a trovare l’ingresso, laterale lungo un viottolo perpendicolare alla via principale: le alti siepi e la porta piccola diventano un gesto di estrema modestia e custodia della privacy, non certo tipico della casa americana.
Entrando resti sedotto dalla lame di luce che entrano dalle fenditure delle pareti in calcestruzzo, dalla luce filtrata dai pannelli di tela bianca, dalla luminosità diffusa, dall’estrema intimità che comunque è conferita all’ambiente.
Casa di Rudolf Schindler (1922)
Non c’è traccia di pietra dentro la casa di Schindler, il pavimento è in battuto di cemento, le pareti in calcestruzzo con grandi infissi di ispirazione giapponese. Nei bagni la vasca ed il piano lavabo sono stati modellati in cemento chiaro come pure il piano lavoro della cucina. Un distribuzione degli spazi e un sapiente uso della luce che mi sono stati di profonda lezione.
Faccio una capriola di 27 anni e mi ritrovo nella casa di Charles and Ray Eames (1949), due parallelepipedi
usciti dalle tele di Mondrian, perfetti nelle proporzioni ma di consistenza adatta solo al clima di Santa Monica.
Gli eucalipti che avvolgono i due edifici ne sono parte integrante, non c’è una vista della casa che li possa escludere, le forme volutamente innaturali ed i colori puri di Eames chiariscono la gerarchia tra le parti e ne rafforzano al contempo la dialettica.
Casa di Charles e Ray Eames (1949)
fg254
Non si può entrare, un signore mi spiega che però è permesso sbirciare dalle finestre, girare attorno alla casa e scattare foto solo da lontano. Almeno 5 dollari sono graditi per la Eames Foundation.
Maestro nell’immaginare le sedute in legno sagomato, sembra che Eames si rifugi nella geometria ortogonale come luogo che non interferisca con l’estro creativo: uno spazio benefico e di riposo visuale.
Pietra, manco a dirlo, non se n’è vista neanche qui.
Damiano Steccanella