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3 Aprile 2009

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Architettura dei sensi

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Il travertino di Rapolano protagonista nei nuovi spazi sensoriali delle Terme di Chianciano

«La coscienza moderna e la percezione della realtà si sono gradualmente sviluppate attraverso il dominio incontrastato del senso della vista. Sin dai tempi della Grecia classica il pensiero era basato sul vedere: Platone considerava la visione come la più importante facoltà dell’uomo perché più vicina all’intelletto e separava la sensazione dal pensiero e anche Aristotele considerava la vista come il più nobile dei sensi perché coglie aspetti più immateriali e quindi è più vicina all’intelletto. Durante il Rinascimento poi, si è codificata la rappresentazione dello spazio con l’invenzione della prospettiva che ha fatto dell’occhio il punto centrale del mondo percepito, associandolo così alla cognizione di sé.
[…] Se già storicamente il senso della vista era uno dei sensi privilegiati (Hegel limita alla vista e all’udito i sensi in grado di essere veicolo di piacere estetico), oggi assistiamo a un suo ulteriore accrescimento di importanza. Infatti, con le tecnologie interattive e la rivoluzione delle trasmissioni, il corpo umano si è trasformato in una sorta di “uomo terminale”, che per mezzo di veicoli statici audiovisivi, viaggia in un mondo telepresente.
[…] Tutto ciò, comunque, è parzialmente vero, infatti, nel mondo occidentale, si stanno riscoprendo i sensi fino a oggi negletti e questa presa di coscienza rappresenta un modo di insorgere contro la deprivazione sensoriale che stiamo soffrendo in un ambiente invaso dalla tecnologia. Vari filosofi, negli ultimi anni, si sono occupati di analizzare questo fenomeno del dominio della visione nella cultura occidentale, come per esempio David Michael Levin e Drew Leder che in particolare hanno studiato come in realtà la percezione sia il risultato di un’interazione tra i sensi. Davide Michael Levin critica l’egemonia del senso della vista nella nostra cultura dominata, a suo dire, da un oculocentrismo.
[…] Drew Leder, a sua volta, denuncia nel suo libro “The absent body” il modo di vivere della società occidentale, modo che egli definisce dis-corporato. […] Questo modo di vivere non deve la sua causa solo alla tecnologia e al benessere, ma si è potuto sviluppare principalmente grazie all’idea platonica che esaltava l’anima pura e disancorata dal corpo insieme alla concezione cartesiana del cogito, che relegava il corpo a un ruolo secondario a favore della ragione. L’autore rileva però il crescente interesse per un ritorno al corpo sempre più forte nella cultura contemporanea, testimoniato da vari tentativi di reagire all’esistenza decorporalizzata attraverso la ricerca di un rapporto intimo con la natura e dallo sviluppo di tantissime discipline sportive e terapie del corpo.
Nel mondo intellettuale il ritorno a un’interpretazione dell’esistenza legata alla percezione è avvenuto principalmente con la fenomenologia prima di Husserl e poi di Merleau-Ponty. Questi autori ci ricordano come l’esperienza umana sia incarnata, come cioè si riceve dal mondo circostante attraverso gli occhi, le orecchie, le mani […].
Traslando tutte queste considerazioni nel mondo dell’architettura, risultano essere molto calzanti alcune affermazioni dell’architetto finlandese Juhani Pallasmaa, secondo il quale molti aspetti dell’attuale “patologia” dell’architettura possono essere compresi solo attraverso una critica a questo predominio della visione. L’architettura si è trasformata in un’arte visiva: invece di proporre la creazione di un microcosmo per l’esistenza umana e una rappresentazione del mondo incarnata, insegue immagini retiniche dalla comprensione immediata. Ciò che manca nei nostri edifici, secondo Pallasmaa, è l’opacità e il senso di profondità dato dalle ombre, che sono il veicolo di una sorta di invito sensoriale alla scoperta e al mistero. […] Soltanto un’architettura che preveda un’esperienza multi-sensoria può essere significativa: uno spazio che si può misurare con gli occhi, il movimento, i muscoli e il tatto, che realizzi cioè una compresenza di sensazioni che mettano in rapporto l’intera percezione del nostro corpo con l’ambiente costruito.
L’interesse emergente per queste problematiche è sottolineato dal fatto che esse costituiscono materia di studio in diverse università statunitensi. Ci sono vari corsi nelle scuole di architettura dove si affronta la progettazione e lo studio dello spazio mediante un approccio percettivo, come per esempio: quello di Karen A. Franck al New Jersey Institute of Technology, di Galen Cranz alla Berkeley in California dove si parla di coscienza del corpo, prossemica, di ambiente sensorio […]. In Europa è da segnalare la scuola di Mendrisio in Svizzera dove, in particolare nell’atelier di Zumthor, si affronta la progettazione con un approccio sensoriale».

Daniela Martellotti, Architettura dei sensi, Roma, Mancosu, 2004, p. 43.

BIBLIOGRAFIA DI APPROFONDIMENTO
Drew Leder, The absent body, Chicago, The University of Chicago Press, 1990, pp. 218.
David Michael Levin, The body recollection of being: phenomenological psychology and the deconstruction of nihilism, Londra, Routledge & Kegan, 1985, pp. 390.
Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, a cura di Andrea Bonomi, Milano, Il Saggiatore, 1965, pp. 597, (I ed. francese, 1945).
Juhani Pallasmaa, Gli occhi della pelle. L’architettura e i sensi, Milano, Jaca Book, 2007, pp. 90, (I. ed. britannica, 2005).
Juhani Pallasmaa, “Hapticity and the time: notes on fragile architecture, The architectural review”, n. 1239, 2000, pp. 78-84.

a cura di Davide Turrini

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