26 Luglio 2006
Cultura e Idee Pietre dell'identità PostScriptum Toscana
A margine del Convegno "Pietre & Creatività" di Rapolano
Disegno di Richard Borge (da Sole 24 ore 9.2.2006)
Creativi | Organizzazioni di produzione
Sappiamo che la creatività – fatta di intuizioni ed idee, di associazioni e prefigurazioni inedite – da sola non basta per sviluppare economia e ricchezza.
Per dar vita al mercato e alle sue transazioni di scambio si rende necessaria una processualità più complessa ed articolata che interseca e coinvolge le organizzazioni del lavoro, il fare tecnico della produzione. Si tratta di unire la scintilla iniziale (l’idea) con l’azione e la concretezza della realtà; processo che può essere schematizzato attraverso il “teorema” delle quattro “p”: prefigurazione, progetto, produzione, promozione.
Nel rapporto sinergico fra atto creativo e fase di produzione si giocano, oggi, molte carte della competizione globale; la ricerca di innovazione continua all’interno delle organizzazioni di produzione è diventata sempre più un fattore strategico determinante; gli imput qualitativi di creatività e di progetto assumono il ruolo fondamentale di forte valore aggiunto.
All’interno di questo quadro generale il nodo da affrontare ed evolvere positivamente è quello del rapporto fra creativi (figure, per storicamente, individualistiche in termini di esperienze di vita, di pensiero, di ritmi e modalità di lavoro) e le organizzazioni di produzione, spesso rigide e chiuse in se stesse.
Si rende sempre più evidente oggi come al pari dei creativi – che non possono più vivere solitari tra le mura dei loro atelier a creare, aspettando o demandando ad altri la ricerca delle occasioni e delle risorse necessarie ai loro progetti – gli stessi responsabili delle organizzazioni di produzione devono impegnarsi a comprendere la realtà in forte cambiamento che li circonda.
Per gli imprenditori si rende necessario ampliare il tradizionale orizzonte della specializzazione e dell’efficienza aziendale; non basta più oggi il solo controllo del fare tecnico alimentato da competenze interne. Sono necessarie visioni più ampie in cui inscrivere strategie, dinamiche produttive, sviluppo di beni e servizi.
Ai modelli organizzativi dell’era industriale di stampo tayloristico – in cui si imponevano, come valori dell’ordine di fabbrica, disciplina, suddivisione del lavoro, standardizzazione – oggigiorno succedono gli assetti gestionali d’azienda caratterizzati da una più ricercata integrazione con l’esterno sia a monte del processo (le aree del marketing, del progetto, degli stili di vita della società) sia a valle nella definizione di prodotti, siano essi beni e servizi, o esperienze di vita dove i consumatori orami rappresentano massa critica orientante le stesse strategie di produzione.
La “struttura di fabbrica” da isola autosufficiente, gestita in forma piramidale e gerarchica, si modifica in organizzazione con relazioni di lavoro – sia interni che esterni – meno rigidi e formalizzati. La stessa attività manageriale, al pari di quella dei quadri intermedi, si evolve in forma dinamica e relazionale rispetto alle persone che, a vario titolo, partecipano al processo produttivo ed, inoltre, rispetto alla società esterna che orami modifica velocemente abitudini di consumo, stili di vita, gerarchie di valori.
In tale mutato quadro è sempre più evidente la necessità (che poi è un’opportunità) di mettere in connessione diretta i creativi con il mondo della produzione organizzata rompendo le sopravvivenze di rigidi e chiusi organigrammi di competenze ed operatività.
Non a caso le aziende al passo con i competitor dell’economia globalizzata si sono poste già da tempo il problema dell’attrattività e formazione dei talenti del domani istituendo factory creative (aperte agli interscambi transdisciplinari e multietnici) nella ricerca di quell’humus fertile espresso da individui selezionati in base a manifestate passioni, aspirazioni, curricula, capacità inventive.
Un esempio italiano, diventato già caso di studio, è Fabrica legata alla realtà aziendale Benetton fondata nel lontano 1994 da Oliviero Toscani, attualmente impegnato a reinventare in Toscana – attraverso il progetto Sterpaia – un inedito spazio di aggregazione di intelligenze quale luogo di formazione di giovani talenti.
La necessità del collegare – in rapporto strategico, flessibile e non vincolato nel tempo – creativi ed organizzazioni di produzione è all’ordine del giorno del dibattito internazionale. L’Italia risulta essere in ritardo rispetto a tale processo sia pur, riteniamo, possieda potenzialità notevoli di attrattività.
Il nostro Paese da sempre è stato meta di viaggio delle èlite intellettuali che dal Settecento, attraverso l’esperienza del Gran Tour, sono venuti a visitare e assimilare i caratteri dei tanti luoghi dell’eccellenza creativa. Oggi godiamo ancora del primato legato alla capitalizzazione del retaggio storico monumentale, della qualità ambientale diffusa entro un vasto entroterra, di uno stile di vita (l’Italian Style) che il mondo intero di invidia; condizioni ancora propizie per l’Italia che può proporsi come territorio attrattore per le intelligenze (i creativi internazionali) alla ricerca di quel magico mix di storia, valori artistici, bellezza e piacevolezza del vivere.
È necessario, però, al fine di invertire il trend negativo degli ultimi anni, che gli imprenditori – essi stessi rappresentanti di quel “pensiero laterale” che dovrebbe rifuggire dallo stato inerziale delle cose a favore di azioni e progetti da intraprendere – sappiano intessere relazioni e investino risorse adeguate per ripristinare le condizioni utile alla valorizzazione della creatività.
Ci preme sottolineare, a questo punto, un altro aspetto peculiare della società complessa in cui viviamo nella quale il contributo creativo individuale viene, sempre più, inscritto in un processo di intelligenza collettiva. Oggi all’atto della creatività – attitudine, come sappiamo, eminentemente individuale – bisogna sommare competenze e professionalità altre (spesso “altrettanto creative”) affinchè le idee nuove possano trasformarsi in “cose” spendibili sul mercato. L’iter che porta dall’idea al prodotto richiede necessariamente un approccio multidisciplinare frutto dell’apporto di molte persone disponibili a dialogare e a collaborare allo stesso progetto, e questo insieme alle organizzazioni di produzione.
I diversi saperi hanno necessità di incontrarsi e di integrarsi in quanto è dalla fusione di più competenze che, in una società complessa qual è quella attuale, nasce la vera innovazione in un mondo dove orami tutto evolve sinergicamente e velocemente (dalle idee verso processi, prodotti, comunicazione, promozione).
La proiezione della dimensione creativa individuale in una dimensione corale, di gruppo è diventata oggigiorno irrinunciabile. Vince sempre il team ben inserito nel fare tecnico di una dinamica ed efficiente organizzazione di produzione.
Di questa mutazione epocale le aziende tradizionali, lente nei loro cambiamenti interni, devono rendersene definitivamente conto.
Il mondo della trasformazione delle pietre arriva forse con molto ritardo nel cogliere i profondi cambiamenti in atto. È l’ora di iniziare a recuperare le distanze accumulate. Il senso del Convegno di Rapolano sul tema “Pietre e Creatività” vuole essere il primo degli appuntamenti e delle occasione per iniziare a prendere coscienza del contesto e delle dinamiche interne che la new economy pone a noi tutti.
Alfonso Acocella
1 Settembre 2006, 18:50
Maria Antonietta Esposito
Ho tre brevi commenti da fare, che vorrei proporre al dibattito: uno riguarda il rapporto con la materia, il secondo la qualità del prodotto, il terzo l’identità del prodotto:
1-Nell’ era dell’accesso, connotata dalla smaterializzazione dei processi, generato dai flussi informativi e dal nomadismo erratico abilitato dai trasporti ad alta velocità, riemerge prepotentemente tra i bisogni quello, arcaico, del piacere della materia, prima di tutto in funzione estetica, in forma di prodotti belli, ed in funzione psicologica, a fronte di un desiderio di radici, nuova-antica risposta alla massificazione ed alla desolante omologazione di stili di vita e dei prodotti, al bisogno di riportarsi ad un luogo, ad Itaca, territorio-casa, luogo simbolo significante-significativo, dopo lunghe peregrinazioni.
Oggi è necessario collegarsi mediante la materia ad un territorio, ri-radicarsi ad una identità fisica, originaria od elettiva. Con l’idea che anche questa si possa acquisire, con il comprarne un prodotto, purchè questo vi abbia origine, ne sia in qualche modo connotato.
La pietra torna attuale: in questo senso risponde perfettamente a tale bisogno post-moderno, lo appaga nell’essere un pezzo di territorio stesso. Sul piano simbolico è la materia per eccellenza, un ritorno all’arcaico, un richiamo ancestrale alle più antiche culture del Mediterraneo, che corrisponde stilisticamente al minimalismo del progetto che ha lo scopo di dare forma e funzione a questa idea.
2-Il rapporto creatività-progetto diviene critico ai fini della qualità del prodotto. Infatti mondo delle idee e dei concetti che le elite intellettuali sono capaci di captare e maneggiare, opera in modo che essi si trasformano in obiettivi di progetto.
La qualità del prodotto è costituita dal raggiungere tali obiettivi, come risultato di una serie di processi interdisciplinari capaci di realizzare il prodotto con i mezzi a disposizione. Tra questi processi i più difficili da pianificare, in quanto assolutamente irripetibili sono quelli che trattano la materia culturale e che ci mettono in grado di trasformare la materia con coerenza rispetto ai valori del territorio che la offre. Questo è un tema su cui i progettisti devono riflettere maggiormente e fare ricerca con le aziende italiane.
3-L’identità del prodotto è un fondamentale obiettivo di progetto per restituire ad esso appetibilità in un mercato saturo di beni, offerti ed accessibili a livello globale. Infatti oggi è più facile vendere un viaggio in una lontana terra esotica che un vaso da fiori. Il vaso può essere, come si nota nella attuale ricerca del design, banalizzato al punto tale che non "significa più", non esprime alcun segno, ossia non comunica valori. Un vaso attico o un vaso egizio restano tali, chiaramente leggibili, a distanza di millenni ci narrano la vita della Polis o del Regno. Afflitti dal terror vaqui di un minimalismo di maniera, per avere un qualche significato, possiamo senza problemi riportare un souvenir etnico da un paese lontano, cedendo ad una istanza emozionale lo fruiamo come un bambino analfabeta guarda la pagina scritta senza poterla leggere, quello che conta è la certezza che esso abbia un messaggio per qualcuno, non importa se non siamo in grado di comprenderlo.
Si arriva a portare via la sabbia dalle spiagge dell’Italia, la hanno vista su e-bay in vendita in sacchetti catalogati con pignoleria, piuttosto che comperare il solito vaso che capovolto denuncia la sua fabbricazione cinese…..