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18 Marzo 2009

Opere di Architettura

La Cinémathèque Française di Frank Gehry.
Un’opera in pietra nel quartiere parigino di Bercy

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Cinémathèque Française di Frank Gehry a Bercy

Parigi, è la prima volta che vi abito, ma non la prima che la percorro in lungo e in largo. La sensazione è sempre quella della continua scoperta di angoli e scorci inaspettati, di edifici che hanno fatto la storia di questa città, di costruzioni che ne rinnovano di anno in anno il volto.
Parigi è tanto piena di passato quanto aperta a continui cambiamenti e innovazioni. Parigi si apre al rinnovamento tecnologico, architettonico e urbano offrendo agli abitanti e ai visitatori interessanti occasioni di confronto con ciò che tali ambiti offrono nel contesto contemporaneo.
Una contemporaneità che affianca a materie e forme che hanno contribuito alla genesi di questa città materiali e tecnologie all’avanguardia che riescono a inserirsi nel tessuto tradizionale attraverso un perfetto equilibrio tra cesura e nuove dinamiche di coesione.
Vetro, metallo e superfici organiche sembrano ormai gli elementi primari di un’architettura inserita all’interno di una maglia urbana fatta di pietra, mattoni e intonaco. Tuttavia, il legame ancestrale con la materia litica talvolta si rinnova attraverso interessanti manufatti architettonici e soluzioni di rivestimento che riportano la pietra fra gli elementi primari di una città in continuo divenire.

Mi dirigo verso il dodicesimo arrondissement. Opera Bastille e Gare de Lyon sono sempre stati, per me, gli unici elementi identificativi di questo quartiere. Bercy, invece, offre anche altri spunti d’interesse.
Le torri della Bibliothèque Nationale de France François-Mitterrand fanno da sfondo a un “tassello” verde situato sulla riva destra della Senna, al quale si collegano tramite la passerella lignea “Simone de Beauvoir”, progettata dal gruppo Feichtinger Architectes e inaugurata nel 20061.

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Passerelle “Simone de Beauvoir”, quai de Bercy

Il parco di Bercy ospita al suo interno la Cinémathèque Française, un edificio nato fra il 1988 e il 1994 come American Center da un progetto dell’architetto Frank Gehry che nel 1996 è stato venduto alla stato francese per essere riaperto, nel 2003, in veste di “cinémathèque”2.
L’intento dell’architetto di modellare questo manufatto architettonico come opera scultorea composta dall’accostamento di volumi quadrangolari e di solidi dalle linee smussate, si è forzatamente confrontato con vincoli e limiti dimensionali che non ne hanno permesso il pieno sviluppo.
La metodologia progettuale di Gehry, legata alle potenzialità dei mezzi informatici, si è trovata costretta ad operare all’interno di un lotto edilizio rigidamente perimetrato su due fronti, affiancati da altrettanti spazi rivolti verso il parco, in corrispondenza dei quali l’edificio si apre in giochi di volumi e superfici che contribuiscono a trasformarlo in nuovo punto di attrazione urbana.

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Vista dal parco di Bercy

Il manufatto è il risultato della composizione di una serie di solidi dalle dimensioni e forme diverse che si affacciano verso l’esterno attraverso rigide finestrature sui fronti di rue de Pommard e rue Jean Renoir, quasi a voler proporre in una veste nuova le tipiche facciate parigine dettate da un’assoluta regolarità. La libertà dell’architettura tentacolare gehryana, solitamente libera da vincoli, ha invece modo di manifestarsi sui due lati verso il parco, in corrispondenza dell’ingresso, trasformando l’edificio in una sorta di ibrido dettato dall’accostamento di superfici regolari e volumi disomogenei.
Qui Gehry sembra sfidare le regole della statica invertendo e confondendo la tradizionale sovrapposizione tra i pieni e i vuoti della struttura, tra gli elementi portanti e quelli portati: un’enorme massa calcarea sembra poggiarsi sulla vetrata che introduce all’edificio.
I tre materiali che formano il volume sono quelli tradizionalmente utilizzati in questa città: vetro, zinco e pietra calcarea Saint-Maximin, la stessa che compone le pareti del Palais Royal e di molti stabili parigini. Attraverso il loro utilizzo Gehry cerca di proporre un nuovo equilibrio fra tradizione e innovazione, nel tentativo di creare un segno identificativo di questo quartiere.

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Composizione di volumi in corrispondenza dell’ingresso

La pietra, di colore rosato, riveste quasi l’intera superficie dello stabile attraverso la sovrapposizione di conci disposti in maniera sfalsata, a sottolineare la tettonicità propria a questa materia. Al suo fianco il vetro e lo zinco si compongono in elementi scultorei che aprono diaframmi di comunicazione visiva tra interno ed esterno e permettono al doppio volume dell’ingresso di riempirsi di luce naturale. La luce avvolge la zona dell’accueil e la scalinata che da questa conduce alla piazza interna, centrale, dalla quale si accede ai piani superiori delle sale espositive dedicate al museo del cinema. Non è chiaro il legame della piazza rialzata con il resto dell’edificio, si presenta come punto di ingresso alla libreria e come punto di osservazione del volume libero dell’ingresso, ma nasconde la possibilità di accesso ai livelli superiori, quasi nascosti e visualizzabili solo dalle facciate esterne.
L’interno, infatti, proprio grazie alla mancanza di chiari punti di riferimento, risulta coerente con la filosofia architettonica del progettista, volta a destabilizzare il fruitore che, introdotto dentro uno spazio privo di punti sui quali focalizzare l’attenzione, è avvolto da percezioni contrastanti che ne destabilizzano il senso dell’orientamento.

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Lo spazio centrale interno

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Pur se privo della forza avvolgente di altri progetti dell’architetto, prima fra tutti l’opera maestra di Bilbao, la Cinémathèque Française riesce, almeno in parte, a introdurre all’interno di un quartiere in fase di riqualificazione un elemento di novità urbana, architettonica e allo stesso tempo paesaggistica che, oltre a divenire un nuovo riferimento identificativo del luogo, risulta punto di attrazione culturale di non secondaria importanza e motivo di visita di una zona della città spesso esclusa dagli itinerari volti alla sua esplorazione.
Anche oggi, quindi, c’è stata una nuova scoperta; domani ancora? …ma non basteranno i giorni, la città non si ferma mai!

di Sara Benzi

Note
1 Precedente a questo progetto e ideata secondo simili principi compositivi è la passerella Léopold- Sédar-Senghor, denominata anche Pont de Solférin, che unisce il Musée d’Orsay con il jardin des Tuileries. Il ponte è stato costruito fra il 1997 e il 1999 sotto la direzione dell’ingegnere e architetto Marc Mimram.
2 Ques’area, divenuta da qualche anno una delle mete alternative della città, è una di quelle zone definite come ZAC, “Zone d’Aménagement Concerté” perché risanate grazie a investimenti pubblici.

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