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20 Febbraio 2009

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VERTICALITÀ
I grattacieli: linguaggi, strategie, tecnologie dell’immagine urbana contemporanea
E. Faroldi, L. C. Gramigna, M. Trapani, M. Pilar Vettori

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Le condizioni che in epoca contemporanea influenzano e orientano il governo del sistema-territorio, hanno indotto al rafforzamento dell’identità territoriale attraverso nuove trasformazioni ed episodi di “rigenerazione urbana”, competitive rispetto al contesto
metropolitano, regionale o nazionale, e nei confronti di scale diffuse di matrice internazionale. Nel processo di assimilazione dei luoghi a “prodotti”, principio fondativo delle politiche di sviluppo locale, la progettazione architettonica costituisce una delle strategie dirette alla competitività, attribuendo ai nuovi tipi edilizi compiti e ruoli sempre più connotati da finalità di marketing urbano: tra questi il grattacielo contemporaneo rappresenta uno strategico tipo architettonico in grado di rivestire grande importanza per il futuro della città. Condensatore dei fattori più influenti nell’ambito disciplinare del progetto architettonico, dell’economia, della tecnologia e della comunicazione, coinvolge indistintamente sia i processi di riqualificazione degli spazi pubblici e, più in generale, dell’intero ambito urbano, sia i fattori interagenti di trasformazione e riconversione delle aree dismesse della città. Nonostante gli aspetti di incertezza che tali fenomeni inevitabilmente innescano, lo scenario contemporaneo afferma la vitalità del tema progettuale: la sorprendente accelerazione della progettazione e costruzione di grattacieli degli anni recenti esibisce, pur nella diffusa tendenza all’auto-referenzialità, ricerche e percorsi che confermano, nella continuità con le sue radici culturali, economiche e simboliche, il ruolo sociale dell’edificio alto all’interno delle complesse dinamiche di trasformazione. La crescente attenzione nei confronti dell’ambiente e del territorio relaziona i progetti di architetture a sviluppo verticale con il grado di sostenibilità e di socialità delle soluzioni urbanistiche e architettoniche, nel tentativo di confermare che la verticalità, accanto ad un movente economico, si fonda ancora su presupposti culturali e sociali. Riflettere attorno al ruolo che il grattacielo, non solo come icona della modernità, riveste nello scenario dell’architettura contemporanea e delle sue contaminazioni, significa interrogarsi sulle accezioni, variegate e profondamente colte, che il tema del moderno ha assunto nel contesto
culturale del progetto di architettura, in relazione ad un concetto di costruzione che da sempre rappresenta la cifra caratterizzante dei processi di conformazione della città. Ne emerge un quadro a scala internazionale in cui la sperimentazione vuole fornire risposte concrete al superamento di problematiche intrinseche a tale tipologia, proponendo ipotesi e progetti che tentano di interpretare le variabili di natura sociale, insediativa, economica ed energetica, all’interno di un’evidente criticità di relazione con i tessuti urbani esistenti.In questo contesto, l’osservatorio italiano intende costituire, per nella difficoltà di esprimere in forma esaustiva esperienze compiute e concrete, uno scenario decodificatore del dibattito architettonico in atto, ribadendo il suo ruolo di ambito privilegiato interno al quale riflessioni
teoriche e ragioni di sostanza fondano le radici in un solido retroterra culturale da rileggere e rivisitare profondamente. La forma verticale, tra storia e ragioni del moderno, tra istanze urbane e semantica, tra immaginario e tecnologia, costituisce l’oggetto di una contemporanea narrazione tesa a mettere in evidenza luci e ombre di fenomeni architettonici destinati a definire i codici di nuovi paesaggi urbani.

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New York City USA, William van Alen, inaugurato il 27 maggio 1930, 319 metri.

Riflettere sul ruolo che il grattacielo, in qualità di icona della modernità, ha ricoperto nello scenario dell’architettura italiana del Novecento, significa interrogarsi sulle accezioni, variegate e profondamente colte, che il tema del moderno ha assunto nel contesto culturale europeo, in relazione ad un concetto di costruzione che da sempre rappresenta la cifra caratterizzante dei processi di trasformazione della città e del territorio.
Se per il grattacielo originario, quello americano, è ipotizzabile l’individuazione di una ragione precisa delle sue evoluzioni formali, indipendenti dalla struttura e dalla funzione, “una ragione che può essere compresa soltanto se si considera il sistema socio-economiche a cui interamente appartiene il grattacielo”, il paradigma italiano evidenzia come il concetto di verticalità possieda radici profonde che obbligano ad una lettura del fenomeno non limitata alle vicende che caratterizzarono le trasformazioni economiche intercorse dalla fine dell’Ottocento sino al XXI secolo.
La possibile soluzione all’enigma dicotomico esistente tra concentrazione urbana e distribuzione sul territorio, e la risposta alle esigenze di rappresentatività della nuova architettura aziendale, individua nel tema della costruzione verticale in Italia un’occasione importante per alimentare il dibattito sulla costruzione della città: nei primi decenni del Novecento, lo scenario architettonico e culturale italiano, al pari di quello europeo, focalizza l’attenzione sugli sviluppi delle costruzioni in altezza in America, divenendo luogo critico di osservazione, mai passivo seguace di meccaniche emulazioni.
Nonostante il fascino esercitato dall’innovazione tecnica e tecnologica della tipologia edilizia verticale, e l’elevato livello di pensiero espresso dalla scuola ingegneristico-strutturale italiana, il dibattito sul tema degli edifici alti si articola prevalentemente in ambito teorico. Le rare occasioni di progettualità in Europa si configurano come provocatorie sperimentazioni progettuali, quali il progetto del 1908 di Antoni Gaudì per un hotel di 360 metri a New York, o come traduzione di teorie urbanistiche, quali i piani di Le Corbusier o gli schizzi di Auguste Perret, oppure come apprezzamento del valore simbolico prima ancora che tentativo di applicazione pratica, come nel caso del costruttivismo russo che elegge il grattacielo a simbolo della Rivoluzione.
Non a caso la questione della verticalità in Italia prende il via proprio in concomitanza della crisi del grattacielo americano come “evento”: una crisi che Manfredo Tafuri fa risalire all’inizio degli anni Venti, generata da “l’equilibrio instabile fra l’indipendenza della singola corporation e l’organizzazione del Capitale collettivo” e sfociata nella scissione tra organismo architettonico e innovazione tecnica, tradottosi nell’incapacità di inserirsi nel processo di sviluppo della città in modo integrato, con il conseguente trionfo dell’eclettismo. “Accompagnata dal discredito critico di quanti avevano finito col riconoscervi l’immagine più stereotipata e negativa dell’antico ideale di modernità, la discussione sul grattacielo aveva assunto ormai i toni della querelle sociologica, facendo rinascere l’asprezza di quella diffidenza urbanistica che nel supercolosso scorgeva giustamente il pericolo di una progressiva erosione del concetto stesso di ordinamento urbano”.
Il pensiero critico europeo, diviso sulla questione americana tra interesse per gli aspetti tecnologici e pressioni della tradizione architettonica, orienta la propria ricerca verso la codifica di modelli tipologici capaci di interpretare i bisogni della società piuttosto che tendere alla definizione di forme atte a rappresentare una “macchina per fare soldi”. L’interesse è concentrato, oltre che sugli aspetti tecnologici e formali, su quelli distributivi, urbanistici e sociali, lasciando più sfumate le logiche imprenditoriali e di strategia aziendale che hanno generato il grattacielo americano.

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Trump Tower, New York City USA, Der Scutt su commissione di Donald Trump e della AXA Equitable Life Insurance Company, terminata nel 1983, 202 metri.

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In Europa il significato del grattacielo ruota attorno al dibattito sulla risoluzione delle questioni insediative della nuova città: i grandi temi delle modificazioni di scala generate dai fenomeni di crescita urbana, della logica di localizzazione degli insediamenti industriali, abitativi, dei servizi, dello sviluppo dei sistemi infrastrutturali, intravedono nello sviluppo verticale possibili strade da percorrere e alle quali consegnare il testimone di un parziale sviluppo.
Paradigmatiche, le sperimentazioni di Le Corbusier elaborate a valle di ricerche teoriche per la “città contemporanea per tre milioni di abitanti”: diciotto grattacieli a pianta cruciforme alti sessanta piani, disposti su una maglia ortogonale, costituiscono la matrice di un impianto volto a ridisegnare provocatoriamente il centro storico di Parigi, e inserito nel piano presentato all’Esposizione di Arti Decorative del 1925, promosso dal costruttore di aerei e di automobili Gustave Voisin.
A partire dagli anni Venti, in linea con le nuove tendenze espresse dalla società, la visione della città moderna coincide con quella di un organismo sviluppato in altezza, pur rimanendo radicata all’interno del dibattito sulla misura, scala e strumenti dell’intervento urbano: il tessuto delle città europee, radicalmente diverso dal modello americano ma non per questo estraneo alla verticalità storicamente presente sin dai tempi medievali, mostra una tenace resistenza ad incorporare le innovative tipologie dell’edificio alto, specchio della diffusa difficoltà ad interpretare il grattacielo come occasione di rinnovamento architettonico.
L’assimilazione dell’edifi cio verticale anche in Italia raggiunge la propria maturazione tramite l’interpretazione e l’assunzione di responsabilità intrapresa dal pensiero razionalista, grazie al supporto teorico delle posizioni generate dal taylorismo, dal fordismo e dall’organizzazione scientifica del lavoro. Il ruolo di Hilberseimer, Mies, Gropius, Mendelsohn, Le Corbusier, e successivamente della cultura urbanistica sovietica, diventa determinante nel riconoscere l’edificio alto quale elemento morfologico e funzionale della nuova città, non tanto in relazione al rapporto dialettico tra la tradizione architettonica europea e quella americana, quanto nella definizione di una
vera e propria categoria tecno-tipologica, anticipando le risposte necessarie a contrastare il prevalere di un’omologazione “internazionale”, dominata dall’assimilazione del modello statunitense.
La rimodellazione dello skyscraper non rimane circoscritta all’interno di repertori concettuali e formali: se, parallelamente, negli Stati Uniti le forme delle torri si ispirano a modelli gotici e rinascimentali, in ambito europeo, la medesima tematica si inserisce all’interno di una concezione urbanistica di “città verticale” in contrapposizione alle teorizzazioni sulla città giardino e sul decentramento urbano.
L’approccio non coincide con un’azione di sola critica, bensì affonda le sue radici in un’indagine teorica e scientifica: i primi studi di rilievo sui comportamenti delle strutture alte rispetto alle dinamiche del suolo si collocano agli inizi degli anni Trenta in Germania, in anticipo sugli Stati Uniti, grazie al contributo transdisciplinare della progettazione aeronautica, sviluppatasi dopo il primo conflitto mondiale, e alla valenza che alcuni maestri avevano attribuito alla dialettica tra architettura e innovazione tecnica. Risalgono al 1919-20 i progetti di grattacielo di Mies van der Rohe nella Friedrichstrasse a Berlino, prototipi di edificio multipiano in cemento armato, acciaio
e cristallo.
Confrontarsi con il tema del grattacielo significa rischiare di scivolare in narrazioni idealizzate o romantiche, che da Babele, attraverso le torri della città medioevale, per giungere agli scenari cinematografici, raccontano dello stretto rapporto tra tecnologia e immaginario che è all’origine di questo tipo edilizio. In realtà, riflettere attorno al ruolo che il grattacielo, non solo come icona della modernità, riveste nello scenario dell’architettura contemporanea, significa interrogarsi sulle accezioni, variegate e profondamente colte, che il tema del moderno ha assunto nel contesto culturale del progetto di architettura, in relazione ad un concetto di costruzione che da sempre rappresenta la cifra caratterizzante dei processi di trasformazione della città e del territorio.
In questo contesto, l’osservatorio italiano intende costituire, per nella difficoltà di esprimere in forma esaustiva esperienze compiute e concrete, uno scenario decodificatore del dibattito architettonico in atto, ribadendo il suo ruolo di ambito privilegiato interno al quale riflessioni teoriche e ragioni di sostanza fondano la radici in un solido retroterra culturale da rileggere e rivisitare profondamente. La forma verticale, tra storia e ragioni del moderno, tra istanze urbane e semantica, tra immaginario e tecnologia, costituisce l’oggetto di una contemporanea narrazione tesa a mettere in evidenza luci a ombre di fenomeni architettonici destinati a definire i codici di nuovi paesaggi urbani.

Emilio Faroldi, Laura Chiara Gramigna, Mauro Trapani, Maria Pilar Vettori
VERTICALITA’.
I grattacieli: linguaggi, strategie, tecnologie dell’immagine urbana contemporanea
Collana Biblioteca di architettura, Sezione Tecnologia,
Maggioli Editore,
Rimini 2008
pp. 233
44 euro

(Vai a Maggioli Editori)

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