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13 Giugno 2006

Letture

Frammenti di materia transitori ed effimeri

Kengo Kuma. Opere e progetti
a cura di Luigi Alini
Milano, Electa,
2005, pp. 247, ill.
prezzo: 46,00 euro

“Perchè voglio sminuzzare i materiali e ridurli in frammenti minuti? Perchè voglio scomporre la pietra, il bambù e la carta giapponese in particelle simili a lamelle? Perchè voglio praticare in tutti i materiali un’infinità di fori?
Se sbriciolo i materiali e li suddivido non è perchè li odio, nè perchè trovo sgradevoli le loro qualità tattili; è, anzi, proprio per la ragione contraria: perchè li amo. Se non li scomponiamo, non possiamo apprezzarli in quanto materiali, nè coglierne la loro vitalità.
Per quanto ricche siano le qualità tattili dei materiali, se appaiono come masse singole non li sento vividi, perchè non cambiano espressione. Quando sono totalmente ridotti in particelle i materiali diventano effimeri come arcobaleni. Talvolta si presentano in modo definito come oggetti ma basta un momentaneo cambiamento di luce, o lo spostamento dell’osservatore, perchè si disperdano immediatamente come le nuvole o si dissolvano come foschia. Le lamelle che sembravano formare un muro diventano all’improvviso trasparenti e scompaiono. Questa transitorietà e fragilità è la loro essenza più intima”1.
Queste parole dello stesso Kengo Kuma introducono al significato più profondo della sua opera, tesa a sublimare la tradizione costruttiva giapponese in una poetica autoriale tutta contemporanea, fatta di immagini delicate, mutevoli, indefinite, in cui la "fragilità materica" e la transitorietà sensoriale sono da riguardare come valori fondativi del processo di genesi e percezione dello spazio architettonico. Il sapiente lavoro progettuale e costruttivo di Kuma è stato di recente indagato, con notevole ricchezza di documentazione originale ed alto livello di approfondimento critico, nella monografia curata per i tipi di Electa da Luigi Alini, ricercatore e docente di tecnologia dell’architettura presso l’Università di Catania.


Great (Bamboo) Wall a Pechino (2000-02)

Il volume, dopo l’introduzione del curatore intitolata "Le trame dell’architettura. Tessere, unire, sovrapporre, piegare", presenta un saggio di Kuma dal titolo "Ritorno ai materiali", per poi ripercorre l’attività del progettista attraverso una serie di edifici, realizzati tra il 1994 e il 2004 a testimoniare, appunto, un paziente ripensamento dei materiali naturali, di volta in volta tagliati, assottigliati, sminuzzati in listelli, scaglie e tessere, per poi essere ricomposti in cangianti superfici architettoniche, in composizioni iterative di frammenti materici intessute di luci ed ombre.


Maison Luis Vuitton Omotesando a Tokyo (2001-03)

Le opere ampiamente documentate nella monografia danno conto di come tale processo di metabolizzazione interessi, con esiti di particolare raffinatezza, pressochè tutti i materiali dell’architettura: il legno nella Toyoma Noh School (1995-96), nell’Hiroshige Museum (1998-2000), nella Maison Louis Vuitton Omotesando (2001-03) e nel Murai Masanari art Museum (2001-04); la carta di riso nel Takayanagi Community Center (1998-2000); il laterizio nei ristoranti di Onoda (2000-01) e Waketokuyama di Tokyo (2003-04); le canne di bamboo armate nella casa per le vacanze Great Wall a Pechino (2000-02); la terra cruda nell’Adobe Museum di Toyoura (2001-02); l’acciaio nel Baiso Buddhist Temple (2000-03); la pietra, infine, nello Stone Museum (1996-2000) e nel Food and Agricolture Museum (2002-04), capostipiti di una serie di architetture litiche magistrali proseguita con le recenti realizzazioni del Nagasaki Art Museum e della Lotus House a Kanagawai2.


Food and Agricolture Museum a Tokyo (2002-04)

Ecco allora che il legno dei larici o dei cedri giapponesi dà vita a schermature leggere increspate e vibranti; la semplice carta di riso fodera ricercati bozzoli architettonici soffici e traslucidi; il bamboo, privato dei diaframmi interni e rinforzato con cemento o barre metalliche, dà vita a griglie più o meno dense, più o meno permeabili alla vista; la pietra si stratifica in setti variamente traforati o è tessuta su orditure metalliche ultraleggere, flessibili e fluttuanti.
Il lavoro di smaterializzazione, di apparente dissoluzione della sostanza materica, riporta in realtà i materiali al centro del progetto dell’architettura, esaltandone l’essenza, valorizzandone, attraverso uno studio attento e curioso, le qualità costruttive e sensoriali più naturali ed esplicite e quelle più nascoste, inusuali, sorprendenti. La lezione dell’opera di Kengo Kuma appare chiara e di grande valore, e grazie alla lettura di Alini è resa ancor più evidente ed articolata.
Il volume è completato dal regesto delle opere del progettista, dai consueti apparati bio-bibliografici e da un’interessante antologia di scritti, pubblicati per la prima volta tra il 1995 ed il 2000, in cui Kuma esplicita ed elabora ancora una volta i concetti di scomposizione e frammentazione dell’architettura e dei materiali, e riflette sul rapporto tra osservatore e spazio architettonico e sulla relazione tra architettura, città contemporanea e tecnologie informatiche.

Davide Turrini

Note
1 Kengo Kuma, "La relatività dei materiali" (tit. or Relativity of Materials, 2000) p. 222, in Luigi Alini (a cura di), Kengo Kuma. Opere e progetti, Milano, Electa, 2005, pp. 247.
2Per un approfondimento sulle ultime due opere, non documentate nella monografia curata da Alini cfr.: Nicola Marzot (a cura di), Kengo Kuma Nihon Sekkei. Nagasaki Prefectural Art Museum, Bologna, Editrice Compositori, 2005, pp. 119; Francesca Chiorino, "Kengo Kuma, Lotus House. Un scacchiera di pietra e ombra", Casabella n.743, 2005, pp. 52-57.

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