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1 Novembre 2008

Eventi

Costruire nelle terre alte
L’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA DI PIETRA NELLE AREE ALPINE

CONVEGNO
SABATO 4 OTTOBRE
VERONAFIERE, SALA ROSSINI, CENTROCONGRESSI ARENA

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Chiesa di San Giovanni Battista a Mogno, Valle Maggia, Canton Ticino, Svizzera, 1996-1998.
Opera di Mario Botta,
fotografia di Vincenzo Pavan

Il Convegno “Costruire nelle terre alte” trova sua collocazione ideale all’interno della 43a edizione del Marmomacc di Verona, fiera e mostra di design e tecnologie lapidee, per interrogarsi sul tema dell’architettura contemporanea di pietra nelle aree alpine.
Ad introdurre e coordinare è Vincenzo Pavan, curatore del convegno: egli da principio ci offre la riflessione su come il costruire nelle terre di montagna evochi immediatamente in noi l’idea d’architettura che nell’immaginario collettivo s’identifica con lo “stile alpino”, icona tipologica molto più familiare e riconoscibile rispetto ad un’ immagine d’architettura generica della città.
Queste forme appartengono alla logica costruttiva dell’architettura anche definita vernacolare. Essa ha avuto negli ultimi anni grossa rivalutazione per la sua natura concettuale: infatti non declina in realtà solamente uno stile, ma anche una “ragione” costruttiva. Nello scenario attuale d’espansione urbanistica tipica dell’ultimo decennio, trasformante parti del nostro arco alpino secondo modalità talvolta al limite del kitch, s’innesta invece oggi un filone diverso, d’architettura di qualità, rinunciante alle “maniere” regionalistiche per confrontarsi con altri temi e linguaggi.
La Confederazione Elvetica, in particolare, è tra le scuole più intraprendenti su questo percorso. La ricerca sull’uso dei materiali ha generato nuovi impulsi ed ha fatto sì che pietra e legno della tradizione vengano ora accostati in modi sempre più creativi a materiali della modernità come cemento, acciaio e vetro, così da far prevalere sempre più il linguaggio costruttivo sui modelli formali.

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Restauro di una rovina di cascina in Alpe Sceru, Val Malvaglia, Canton Ticino, Svizzera, 2000.
Opera di Martino Pedrozzi,
fotografia di Martino Pedrozzi

Primo ospite a prendere la parola è Sebastiano Brandolini. La sua lettura critica si ricollega all’accenno di Pavan riguardo la diffusione avvenuta negli ultimi anni di mostre e premi sul tema dell’architettura alpina. In particolare pone l’accento sul premio organizzato dal Comune di Sesto, nel Tirolo italiano, allo scopo di far emergere alcuni progetti d’architettura alpina moderna particolarmente meritevoli: dal ’92 ad oggi la manifestazione di livello locale è divenuta evento di calibro internazionale.
L’intervento di Brandolini muove da una famosa immagine di Sebastiano Serlio, in cui la bellezza della pietra risiede nell’essere materiale preposto a diventare rovina, l’unico in grado d’invecchiare e di mostrare la propria sensibilità al tempo in un ciclo temporale millenario. Il suo racconto sul significato e l’utilizzo della pietra continua con un’immagine bucolica di pascoli alpini: in essi il primo intervento dell’uomo è la costruzione in pietra di muri di cinta e sentieri.
Scorrono poi panorami d’alta montagna, in cui il materiale lapideo è protagonista nel nascondere ovvero rivelare improvvisamente il paesaggio. Altri scatti fotografici di gallerie e ponti fanno invece intendere come la pietra abbia intrinseco nella propria natura l’uso applicativo per così dire ingegneristico. Una stele allo Julierpass e piccoli altari votivi a Santa Barbara, nel tunnel del Gottardo, mettono infine in luce, della pietra, la vocazione espressiva alla sacralità.
Dopo il breve excursus sui caratteri del materiale, si passa a progetti, come quello di Martino Pedrozzi per il restauro di un rudere, trasformato in una sorta d’altare; il giovane architetto premiato all’ultima edizione del Premio Ticinese, nel rustico di Monte di Sora con un intervento, ancora una volta, al limite tra arte e architettura, elimina sporti e superfetazioni tipiche dello stile alpino vernacolare.
La rassegna prosegue con alcuni esempi d’architettura tradizionale di Cereghini – progettista lombardo autore di libri sull’architettura alpina – di Mellano o di Vicentini, od ancora Morassutti e Mangiarotti che in una casa a San Martino di Castrozza tentano di portare il tema della pietra fino all’interno e così facendo trasformano una parete in un “grande arazzo” litico. Giungendo all’oggi, ecco il bel progetto di Romegialli per il Rifugio escursionistico e scuola di Alpinismo a Sondrio, in una località famosa per le maestose placche granitiche; l’edificio a forma di L definisce uno spazio chiuso, quasi un chiostro verso le imponenti rocce presenti e ne diventa il palcoscenico.
Infine è la volta della centrale elettrica di Hans Jorg Ruch in Svizzera, in cui l’assonanza montagna-verticalità viene contrastata dall’orizzontalità di una costruzione che si sviluppa con una copertura piana di 80 m di lunghezza.
Il convegno prosegue con l’intervento di Raffaele Cavadini, architetto di Mendrisio nei cui progetti si può notare la riuscita sintesi fra tradizione e modernità. Queste opere realizzate in Canton Ticino, seppur incentrate su temi talvolta poveri, o piccoli per dimensione, si sono distinte per la loro qualità, per la cura del dettaglio e per l’uso quasi esclusivo della pietra, che ha saputo ben coniugarsi con l’ambiente circostante. Vari interventi, oggetto di premi e riconoscimenti tra cui “l’International Award Architecture in Stone” di Marmomacc, sono stati realizzati nel piccolo centro montano di Iragna in Svizzera, cercando di creare una serie di spazi, quasi come un’infrastruttura, capaci di dare identità ai luoghi ed in cui la pietra da protagonista è stata utilizzata in tutte le scelte di finitura possibili: tagliata, bocciardata, spaccata, fiammata.
Ad Iragna è stato realizzato il Municipio, che assieme alla Piazza della Posta vecchia e alla cappella, crea un insieme unitario. Altro progetto è realizzato a Brissago, sempre in Svizzera: è la Chiesa di Porta che si presenta come una grande scatola in cui sono praticate estese aperture. La chiave del progetto consiste nel collegare le grandi pareti in granito con strisce di cemento, reminiscenza dei metodi costruttivi tipici ticinesi.

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Nuove infrastrutture comunali ad Iragna, Canton Ticino, Svizzera, 1990-1995.
Opera di Raffaele Cavadini,
fotografia di Filippo Simonetti

Aimaro Isola pone agli ospiti l’interrogativo, richiamato più volte durante la discussione: “perchè ci piace la pietra, perchè ci piace il paesaggio?”. Come lui stesso puntualizzerà, è forse solo nel progetto che si riesce a risolvere questa domanda. Gl’interventi che presenta si collocano in una fascia di mezzo: tra la città, che rappresenta la tekne, e la montagna, il sublime, la non forma.
Mostrando il primo progetto assieme a Flavio Bruna, Isola pone l’accento su come alla pietra s’accostino i temi del Sacro e della sofferenza. Il monumento alla Resistenza degli anni ’70 voleva essere un edificio in cui si potesse camminare e che fosse in continuità con il paesaggio circostante; nell’ascesa faticosa fino in cima si ripresenta il tema della violenza, ma al contempo anche quello dell’amenità con cui in un monumento dedicato ad un tema drammatico e duro, si può godere della bellezza del paesaggio.
Molto significativo è il Monastero Dominus Tecum in provincia di Cuneo: un claustro cistercense prende vita dal restauro di una cascina abbandonata, di un palazzotto e di una cappella, semidistrutti dal fuoco.
Il dialogo con la montagna caratterizza il progetto del centro parrocchiale a Roccabruna. L’edificio costruito in laterizio e pietra e organizzato attorno ad un ampio chiostro sembra abbracciare lo spazio che accoglie il sagrato.
Infine il progetto per il convento delle Monache Carmelitane: è ricavato su un piccolo pianoro nella montagna di Quart, in un luogo in cui l’inserimento paesaggistico risulta essere il tema più importante. Le pietre utilizzate sono state cavate direttamente sul luogo e consentono l’inserimento nell’ambiente tentando un continuum tra la pietra dei pendii e l’edificio che si staglia nello skyline.

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Monastero delle Carmelitane a Quart, Aosta, Italia, 1985-1989.
Opera di Roberto Gabetti, Aimaro Isola e Guido Drocco,
fotografia di Matteo Piazza

Mario Botta ci invita alla riflessione su come la pietra sia forse una reazione dell’architetto all’effimero, affinchè le proprie opere durino per sempre. Ed ancora, secondo Botta, la stratificazione tipica della pietra, che ne sottolinea il lavoro a gravità, obbliga il progettista al rigore, all’idea del radicamento a terra, tipico delle città europee in cui si tenta sempre di trovare un’orma, una traccia, un segno che rimandi a qualcosa di preesistente.
Il primo progetto presentato è la cappella del monte Tamaro sopra Bellinzona, vincitore del Premio Architettura di Pietra, costruito in un sito dove la troppa libertà di spazio, avendo a disposizione l’intera montagna, è stato uno dei problemi iniziali, superato ponendo l’architettura in cima, all’arrivo della funivia, unico accesso possibile. L’opera dalla forma geometrica allungata traccia per così dire l’orizzonte, enfatizzandone la linea mediante l’uso di corsi netti di porfido. L’architettura diviene parte integrante di un percorso, finalmente in piano dopo la fatica della salita, e la Chiesa, punto conclusivo del percorso stesso, diviene belvedere, anfiteatro sulla valle.
Rimanendo legati al filone del tema sacro, è mostrata la Chiesa di San Giovanni Battista a Mogno. Nel 1986 una frana distrusse la vecchia chiesa seicentesca e parte del paese. La chiesa è ricostituita con un grande cilindro a base ellittica tagliato da un piano sull’asse minore, in modo che la copertura termini in cima con un cerchio perfetto. I materiali utilizzati sono, secondo il linguaggio proprio di Botta, due pietre di cave locali: conci di pietra grigia di Riveo e marmo bianco di Peccia, alternate cromaticamente in corsi orizzontali raccordati in sommità con una lastra vetrata sorretta da struttura metallica.
Un più recente progetto è quello del centro benessere ad Arosa in Svizzera, una costruzione totalmente ipogea in uno spazio delimitato dalle montagne, emergente dalla terra solo con grandi lucernari: quasi delle foglie od alberi vetrati per lasciare interrato tutto il resto dell’edificio. In questo progetto la pietra è protagonista degli interni, impiegata non solo per i muri, di grande spessore, ma anche per i pavimenti, le piscine, gli arredi, diventando tema continuo di design.

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Cappella del Monte Tamaro a Rivera, Canton Ticino, Svizzera, 1990-1995.
Opera di Mario Botta,
fotografia di Pino Musi

Da questa iniziativa di Marmomacc sicuramente si esce con aumentata consapevolezza del potenziale della pietra naturale: nel materiale lapideo e nelle applicazioni dei progettisti si fondono infatti la natura e la tecnica, la modernità e la tradizione, indispensabile connubio per l’architettura del futuro, sia remoto sia prossimo.

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di Debora Giacomelli

(Vai alla presentazione del convegno su Architetturadipietra)
(Vai al sito di Marmomacc)
(Vai al post sul Premio Sesto)

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