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4 Maggio 2006

Appunti di viaggio

In visita al Folk Art Museum di Williams e Tsien a New York


Folk Art Museum e Moma (foto Alberto Ferraresi)

Al battesimo con la metropoli americana, non avrei immaginato, pianificando il viaggio, come uno dei più forti ricordi di Manhattan sarebberimasto legato ad un edificio piccolo, al margine del Moma, rivestito di materiali non lucidi, non trasparenti, non particolarmente riflettenti ed in definitiva non partecipanti al fragore di luce tipico del centro nevralgico newyorkese.
L’American Folk Art Museum della coppia associata di architetti Tod Williams e Billie Tsien si chiama fuori dal circolo di realizzazioni di maggior clamore spettacolare della città. Lo fa però in modo sottile e senza intento polemico, scegliendo non tanto il contrasto forzato – via pur facile dato il ruolo obbligato di estensione naturale del fratello maggiore Moma adiacente – quanto la citazione d’approccio di altro museo fondamentale per la città, quale il Whitney di Marcel Breuer a poca distanza. Tra i due la voluta parentela è segnata specialmente, oltre ai volumi dimensionalmente paragonabili, dalla scelta dell’articolazione tridimensionale di facciata principale – da cui anche discende la strategia di illuminazione diurna interna – e dall’opzione monomaterica sempre presentata in facciata principale.


Il Whitney Museum (foto Alberto Ferraresi)

Alcuni argomenti
Riguardo il dibattito sui temi litici, credo questo progetto possa contribuire in tre modi.
Con il primo si ritorna al fronte strada, realizzato con una tecnologia a struttura e rivestimento e con una finitura, in pannelli di spessore dialcuni centimetri, rassomigliante ad alcune superfici di pietra bruna cangiante ai raggi solari delle diverse ore diurne, ma in realtà frutto della maestria artigianale applicata alle lavorazioni del bronzo. La natura del rivestimento adottato è in altre parole metallica, a richiamare sì visivamente la pietra e la sua capacità di caratterizzazione dell’architettura pubblica, ma a riportare sul fronte il frutto del fare artigianale cui il piccolo museo è vocato. Allora forse la scelta progettuale, interpretando la mission dello spazio espositivo, è delle più corrette per le finalità espressive e comunicative, mentre la rassomiglianza litica (in cui per altro si incorre maggiormente, occorre precisare, solo nelle occasioni di minor luminosità), rischia di essere proposta di contenuti molto sottile da trasmettere.
Il secondo argomento porta alla visita degli spazi interni, composti con grande piacevolezza e vivacità distributiva pur nell’estensione limitata dei pochi piani sovrapposti. La scelta, all’opposto della veste esteriore, è per la commistione controllata di più materiali distinti senza prevalenze evidenti. Entro questo scenario non smettono però di permanere fissi alcuni assunti tanto efficaci quanto lineari e didattici per chi si occupi di progetto architettonico, quale ad esempio la preferenza accordata alla materia litica, nello specifico alla Pietra Piacentina, soprattutto ai piani di scavo – l’interrato – e di quelli di generale maggiore vicinanza al livello di terra, così da risolverli con il richiamo di sempre allo schema base-fusto-coronamento dei progetti in elevazione. Salendo, le intromissioni trasparenti in cristallo, gli intonaci e le finiture variamente metalliche stemperano il basamento solido d’inizio obbligato di percorso.
Per terzo non ritengo possibile non accennare ad un breve scritto scoperto poco prima della partenza e disponibile in rete entro le pagine del Folk Art Museum in cui specifico spazio è dedicato ai due architetti ed al progetto dell’edificio, per altro vincitore di numerosi premi e riconoscimenti internazionali. Si tratta di un elenco delle principali linee guida adottate dai due progettisti circa i materiali utilizzati. Ben inteso: niente che esuli forse dalla normale prassi della progettazione architettonica, ma probabilmente e finalmente la prova scritta dell’attenzione motivata ad ogni applicazione materica; attenzione apparsa encomiabile (magari anche perchè generalmente poco praticata oppure solitamente poco trasmessa), indipendentemente dalla vicinanza od al contrario dalla distanza con cui ciascuno possa osservare le posizioni di Williams e Tsien rispetto alla propria sensibilità.


Il rivestimento in tombasil sul fronte principale (foto Alberto Ferraresi)

Parallelamente al testo cui si rimanda, anche si propone concretamente quella del Folk Art Museum come possibile strategia di leggerezza cara al disegno contemporaneo, ottenuta qui per accostamento di molteplici finiture raccolte in articolato sistema, pur quando singolarmente legate, viceversa, a connotazioni di pesantezza.
A chi interessi questo tipo di proposta basata sulla regia di più materiali, o più l’opera generale dei due architetti – il cui studio è a pochi passi dal museo, al 222 di Central Park South – dal link tra queste righe è possibile accedere al sito ufficiale. Interessante pare essere inoltre il progetto di ville con paramenti in grandi pannelli di granito brasiliano, pure pubblicato da Casabella in occasioni recenti.
fg190
di Alberto Ferraresi

(Vai al sito diAmerican Folk Art Museum)
(Vai alle linee guida delle scelte materiche)
(Vai al sito di Tod Williams e Billie Tsien)

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