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Opus incertum


Tempio di Giove Axur a Terracina. Il contesto paesaggistico
(foto Alfonso Acocella)

Opus incertum
“Ancora nel primo ellenismo (…) deve essere stata scoperta nella stessa regione e, più precisamente nel golfo greco-sannitico di Napoli, la pozzolana quale materia prima ideale per la realizzazione della vera malta cementizia. Dapprima essa sostituì nei muri di pietre irregolari il più antico riempimento d’argilla; le sue qualità consentirono di fare a meno di allineare e adeguare con molta precisione i singoli blocchi, dal momento che la massa lega e tiene assieme il tutto. Questa fase è attestata da alcuni edifici d’uso del Foro di Paestum costruiti nel primo periodo della colonia romana, certo intorno alla metà del III secolo a. C. Assai presto seguì il passo evolutivo successivo, la scoperta della muratura a sacco. Piccole pietre maneggevoli vengono messe in opera fino a una certa altezza come una doppia cortina e quindi il loro interno viene colmato con una miscela di malta e pietrisco; si prosegue poi con l’erezione di un’altra fascia della cortina e così via. Nel realizzare le cortine, che Vitruvio definisce significativamente “ortostati”, si curava che le commessure delle pietre piccole delineassero sui lati esterni in vista un bel motivo a reticoli, anche se casualmente non sistematico. Era nato l’opus incertum.
Già a partire dal 193 a. C. a Roma fu costruito in questa nuova tecnica il grande magazzino della Porticus Aemilia al porto del Tevere. Non è necessario descrivere qui in dettaglio la sua marcia trionfale in Campania e nel Lazio, che ne fece di fatto la tecnica costruttiva dominante del tardo ellenismo locale. L’opus incertum è solido e impermeabile, con esso si poteva costruire in altezza, velocemente e in grande, tutte caratteristiche che andavano incontro nella maniera migliore alle esigenze dei romani.” (1)
In genere nella letteratura archeologica si è soliti indicare opus incertum quel particolare genere di muratura composita priva di un vero e proprio paramento che mostra in esterno elementi di pietra (caementa), simili a quelli che costituiscono il nucleo interno dell’opera a sacco, dai quali si distinguono unicamente per la faccia più “levigata” e i lati più precisi) in base ad un passo contenuto nel De architectura di Vitruvio (II, 8, I):
“I generi delle strutture murarie sono questi, l’opera reticolare di cui oggi tutti si avvalgono, e quella antica che è detta incerta. Di queste più attraente è il reticolato, ma perciò predisposto al verificarsi di spaccature perchè in tutte le parti presenta letti slegati e giunture. Invece i conci grezzi disposti irregolarmente l’uno sull’altro ma disposti fra loro a embrice forniscono una struttura non avvenente ma più solida della reticolata. Tuttavie entrambe le opere debbono essere costruite con pietre assai piccole, cosicchè i muri riempiti fittamente con malta composta di calce e arena si conservino più a lungo.”
A conclusione del lavoro esecutivo, il paramento a vista dell’opus incertum risulta caratterizzato da un articolato disegno tessiturale formato da molteplici piccoli elementi di pietra si tratta, in buona sostanza, della parte visibile degli elementi lapidei impiegati con la superficie maggiormente regolarizzata lasciata a vista, ammorsati con abbondante malta, quasi a riproporre, in miniatura, l’opera poligonale.
I sassi, gli scapoli, le scaglie di pietra che entrano a far parte dell’opus incertum come elementi costitutivi del paramento (in genere si tratta di calcari duri, differentemente dall’opus reticulatum che impiegherà prevalentemente pietre tenere) presentano una configurazione irregolare in funzione della specifica origine litologica. Le dimensioni delle pietre impiegate variano notevolmente, risultando in genere comprese fra quelle di un pugno e quelle di una testa umana.
A causa della differente forma e pezzatura delle pietre l’opera muraria non adotta una trama geometrica pre-definita; è facile notare come gli elementi litici costitutivi il paramento a vista siano disposti senza preoccuparsi di ottenere una continuità di allineamento nè orizzontale, nè verticale, nè obliqua.
L’esecuzione dell’opus incertum viene effettuata elevando le due cortine esterne contestualmente al nucleo concretizio interno, realizzato – quest’ultimo – con sassi e materiale di recupero più piccolo annegato in una malta liquida a presa più lenta rispetto a quella utilizzata nelle facce a vista della muratura; la sequenza operativa di costruzione prevede la selezione delle pietre di forma poligonale maggiormente marcata prevedendo di lasciarne a vista la faccia complanare; nella posa si ha cura di accostarle con perizia al fine di fare combaciare il più possibile i lati dei diversi elementi del paramento a vista. Spesso sulle pietre si rendono necessari ritocchi a mezzo di colpi di martellina per adattarle a particolari collocazioni o farle combaciare lungo i lati posti in tangenza. Le pietre – ben pulite e prive di depositi terrosi sono bagnate prima della messa in opera al fine di non “bruciare” la malta riducendone significativamente il potere legante.
La forma “sfuggente” delle pietre irregolari richiede, ai fini della stabilità complessiva dell’opera muraria (soprattutto in relazione alle spinte laterali), frequenti spianamenti per ripartire i carichi sull’intera sezione della struttura muraria. A partire dalla prima età imperiale per tali cinture orizzontali già si utilizzeranno elementi piani di laterizio cotto.
Anche nell’opus incertum, al pari di tutte le tipologie di murature, si cerca di evitare – per quanto possibile – gli allineamenti delle commessure sulle verticali.
Nella letteratura tecnica archeologica il perfezionamento estetico dell’opus incertum (ovvero del suo apparecchio a vista) si valuta attraverso avanzamenti registratisi in tre fasi (definite “maniere”) che progressivamente – dal porre in opera i sassi di volume assai eterogenei fra loro così come provenivano dai luoghi di raccolta con il solo accorgimento di collocare a vista la faccia più pareggiata – conducono ad un’azione di accurata selezione e/o “sgrossamento” degli elementi impiegati.
Nella fase intermedia (seconda “maniera”) si preferiscono sassi poliedrici – o eventualmente tondeggianti – abbastanza omogenei fra loro sia per dimensione che per configrazione (scartando, in genere, gli elementi oblunghi) nella ricerca di un paramento a vista sostanzialmente complanare e a giunti sottili di malta.
Nella terza “maniera” – come precisa Giuseppe Lugli – “l’opera incerta è oggetto di una cura particolare, sia nella scelta dei caementa, che debbono essere collocati in facciata, sia nella loro posa in opera. Intonacata o meno, la parete è considerata come un’opera d’arte, per cui il muro viene tirato su a disegno; se il materiale è il calcare, si preferisce la forma tondeggiante dei sassi, se è tufo, quella poligonale; non si mescolano mai, se non per eccezione, materiali diversi. Lo strato di malta intermedia diviene sottile e l’opera cementizia di infarcitura è più uniforme, quantunque trattata in modo diverso da quella del paramento. I caementa che costituiscono questo paramento sono lavorati a parte ed acquistano sempre più la figura di un cono per ammorsarsi meglio con il nucleo interno.” (2)
Come esempi architettonici famosi di questa fase matura tendente a far assumere un valore figurativo/artistico all’opus incertum all’interno di programmi edilizi monumentali possiamo citare le mura urbiche delle città di Cori, Fondi, Terracina o le spettacolari sostruzioni e inviluppi murali di elevazione del Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina o il basamento con criptoportico del Tempio di Giove Axur a Terracina.


Tempio di Giove Axur a Terracina (foto Alfonso Acocella)
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Volendo dare una cronologia orientativa di sviluppo dell’opus incertum si può evidenziare come la prima e seconda maniera si distendono lungo circa cento anni dalla fine del III secolo a.C. al 100 a. C., la terza lungo la prima metà del I secolo a.C. (chiaramente ci sono anche sovrapposizioni, permanenze e anticipazioni fra le varie fasi). A partire da tale data l’opus incertum perde, sotto il profilo quantitativo, il primato applicativo all’interno dei programmi pubblici romani a causa dell’introduzione di apparecchiature murarie più “standardizzate” con impiego di elementi più piccoli progressivamente regolarizzati (opus quasi-reticulatum, opus reticulatum); vengono pure sviluppate ed ampiamente diffuse soluzioni miste con impiego integrativo di elementi di laterizio che innervano le strutture murarie formando cinture orizzontali, cerniere angolari verticali, riquadrature delle aperture ecc. sia all’interno dell’opera “incerta” che di quella “reticolata”; soluzioni queste che permarranno fino al tardo impero.
L’opus incertum troverà vasta applicazione soprattutto nelle architetture del territorio tiburtino, ernico e nord-campano a differenza dell’opus reticulatum che, invece, trova fertile campo in Roma, nei territori ricchi di tufo dei colli albani e tuscolani, nelle città e nelle domus di villeggiatura del litorale laziale latino e campano.

Alfonso Acocella

Note
(1) Hans Lauter, “Materiale e tecnica” p.59, in L’architettura dell’Ellenismo, Milano, Longanesi, 1999 (ed. or. Die Architektur des Hellenismus, 1986), pp. 296.

(2) Giuseppe Lugli, “Il nome e la struttura dell’opus incertum” p. 449 in La Tecnica edilizia romana, vol. I, Roma, Bardi, 1988 (ed. or. 1957), pp. 742

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