20 Dicembre 2004
Recensioni
La recensione di Edilportale
Un unico "corpus" letterario in cui sono riconnessi molteplici temi legati all’architettura fatta con la pietra, ieri ed oggi. È questo l’obiettivo del libro dal titolo "L’architettura di pietra. Antichi e nuovi magisteri costruttivi" di Alfonso Acocella, docente esperto e appassionato dei materiali della tradizione costruttiva italiana. Nell’attuale letteratura architettonica la difficoltà, accresciutasi nell’ultimo secolo, di realizzare un’opera compendiativa – come avvenuto nella trattatistica del passato – insieme al diminuire della manualistica e di opere su tematiche di tipo generale, ha portato ad una produzione teorica che indaga i temi fondamentali dell’architettura in modo però sempre più periferico, così che la visuale offerta al lettore, concentrata sui molti temi specifici, non spazi troppo sul suo insieme e non porti a progettare forse più con quest’ampia consapevolezza.[…]
Di qui il tentativo di Acocella di proporre una nuova struttura del libro di architettura, basata sulla novità dei temi e del loro legame, articolandoli attorno agli elementi iconografici alla base dell’architettura litica. Lo scopo non è tanto sottolineare, in una visione unitaria, l’universalità della tradizione classica e le declinazioni della ricerca attuale nell’architettura in pietra, bensì “ricercare un luogo convergente ed unitario di riflessione utile alla riconsiderazione e all’azione di riabilitazione di uno dei modi di costruzione più antichi e rappresentativi dell’architettura”.
Rivolto a tutte le figure del mondo della progettazione, di quello accademico legato all’architettura e della cultura in generale, "L’architettura di pietra" si pone quale risposta alle carenze della letteratura italiana contemporanea sull’argomento. Questo sia da un punto di vista tecnico – indagando fin dai principi i modi del costruire in pietra e, quindi, rivolgendosi ai professionisti che vogliono utilizzarla in architettura nel modo più rispettoso e aderente al suo linguaggio – sia quale supporto da un punto di vista compositivo, per chi vorrà individuare nelle numerose esperienze trattate un percorso organico di conoscenza delle inesauribili potenzialità architettoniche di un materiale che si è lasciato "scoprire" nel tempo solo da chi si sia saputo rapportare ad esso con pazienza ed umiltà, traendone opere di sempre nuova valenza architettonica.
L’opera di Acocella indaga i fondamenti culturali, le prassi esecutive e le opere contemporanee del progettare in pietra relativamente agli archetipi fondamentali da sempre utilizzati in architettura: muri, colonne, architravi, archi, superfici, coperture, suolo e materia. Archetipi che diventano altrettanti capitoli del libro e lo strutturano con originalità.
L’opera, di così ampio respiro, intesse continuamente legami tra l’indagine attenta della tradizione storica e gli aspetti tipologico, materico-tecnologico, compositivo, evolutivo e poetico dell’architettura in pietra in generale, fino a rintracciare tutti gli archetipi dell’universo litico nell’originalità di una selezione di progetti significativi del panorama architettonico contemporaneo.
La ricerca muove dal fondamentale concetto di un’evoluzione temporale "circolare" e non "lineare" del costruire con i materiali lapidei, approccio che si rivela molto utile ai fini di un’acquisizione "sinergica" di tutte le informazioni, esteriori ed interiori.
Nell’ambito delle varie tematiche è privilegiato, poi, il valore dato dalla cultura italiana, più di altre, alla valorizzazione del legame del costruire in pietra con l’arte edificatoria universale, il cui ancora attuale primato nell’offerta produttiva e di servizi alla progettazione e manutenzione dell’architettura lapidea è retaggio di un’antica tradizione.
Gli sforzi della nostra società verso la "conoscenza" – sia per produrre innovazione, sia per valorizzare le conoscenze già acquisite, trasferendole temporalmente, spazialmente e funzionalmente – si ritrovano, inoltre, nella volontà del libro di mediare le conoscenze scientifiche del mondo accademico e le conoscenze applicate di quello della produzione. Artefici dell’opera, oltre al prof. Acocella, autore e promotore della pubblicazione, frutto di un attento progetto di ricerca durato cinque anni, sono infatti la casa editrice Lucense ed il Consorzio COSMAVE, testimoni e promotori dello sviluppo dell’economia marmifera apuo-versiliese.
Ponendosi come obiettivo il rilancio della cultura costruttiva lapidea, adombrata negli ultimi decenni dall'”invadenza delle tecnologie riguardanti i materiali artificiali”, "L’architettura di pietra" approfondisce e struttura le grandi potenzialità del costruire in pietra, cogliendo, pur in tale complessità, l’essenza della materia nei suoi molteplici ruoli in architettura, tradizionalmente appurati o ancora potenziali. Tutto ciò attraverso un ricco contributo di testi organici e di documentazione grafica e fotografica (quest’ultima quasi del tutto tratta dall’archivio personale dell’autore).
L’orizzonte geografico del libro è il bacino mediterraneo, in cui l’autore riconosce una ricorrenza di archetipi dell’architettura litica, riattualizzandoli a dispetto di una presunta evoluzione cronologica lineare di tale architettura e prescindendo, per una ben precisa scelta di lettura che diventa altresì premessa all’opera, dal considerare l’architettura del Movimento Moderno – con il suo "bianco ideologico" – quale spartiacque per l’utilizzo della pietra in architettura. Tale movimento, che in architettura rappresenta un momento fondamentale del percorso di ricerca moderno, è stato – secondo l’autore – più che un momento di svolta definitiva, piuttosto un momento di riflessione profonda concentrato nel tempo e quindi fortemente incisivo, così come accade per tutte le "avanguardie".
Il moderno, che si è spesso consegnato più caducamente – soprattutto dal punto di vista tecnologico – al presente, tranne proprio per quelle architetture che hanno utilizzato laterizio, pietra e marmo, a dispetto dei materiali artificiali, più vulnerabili e spesso già oggetto di consistente degrado, ha avuto maestri come Loos e Mies van der Rohe che, con il loro uso di marmi vistosamente colorati e policromi in un’architettura al contrario essenzializzata, hanno elevato la "materia" ad architettura, in un’esperienza ristretta ma decisiva.
Anche l’importante utilizzo lapideo nell’architettura italiana tra le due guerre è essenziale per la "decantazione" della tradizione, fino a farne evaporare gli indugi accademici e farne emergere l’essenza stilistica e tecnologica, così come avvenuto nell’esperienza di Terragni, Libera o Moretti.
Infine, arrivando al presente, l’estrema semplificazione stilistica dell’attuale architettura e dei suoi materiali risulta quasi una rinuncia a qualsiasi narratività architettonica, in una sorta di silenzio, privando di contesto e distinzione gli spazi e la materia e, pur senza un’assenza compositiva, ponendo qualche perplessità da un punto di vista del lessico architettonico.
Il taglio particolare e la ricca ricerca del libro di Acocella hanno il desiderio di accompagnare in un percorso di scoperta – intrapreso innanzitutto dall’autore – che conduca ad un’architettura lapidea più consapevole della necessità di una continuità con la tradizione in vista di una vera innovazione.
di Simonetta Salinari
(Continua su Edilportale)
15 Maggio 2005, 15:27
Alfonso Acocella
Scrittura e immagini Con la stesura de L’architettura di pietra è come si fosse materializzata la possibilità – divenuta ben presto una necessità interiore – di ricostruire un viaggio iniziato trent’anni fa; il viaggio nel cuore della disciplina sulle orme dell’architettura di pietra e del suo statuto ineguagliato. La lettura, la fruizione diretta delle opere, la produzione di foto hanno sempre scandito le tappe di tale viaggio. Ma ci siamo accorti solo redigendo questo libro di quante volte abbiamo ripetuto quel gesto semplice (apparentemente passivo, per certi versi "distrattivo") di guardare l’architettura attraverso l’obiettivo di una reflex per scattare una foto e portare a casa con sè un frammento, più o meno significativo, del mondo che osservavamo. E se raramente abbiamo avuto la sensazione di trovarci nell’istante decisivo in cui – secondo la celebre definizione di Henri Cartier Bresson – "l’occhio, la mente e il cuore vengono messi sulla stessa linea di mira", oggi solo prendiamo coscienza del valore delle immagini selezionate e acquisite alla nostra memoria, lungamente, con spirito di semplice documentazione. Ci siamo resi conto alla fine del nostro lavoro che esiste un filo sottile e diretto che unisce la scrittura alle idee, la mano – che traccia i segni sulle pagine bianche – all’occhio e allo sguardo gettato sulle cose del mondo. Se la scrittura, da un lato, è guidata ed alimentata dalla mente, dall’altro – come ci ricorda Roland Barthes – si ricollega all’occho che partecipa all’azione dello scrivere in modo complesso ben al di là del controllo e dell’indirizzo della mano stessa. L’atto della scrittura, nel suo avanzare, ha bisogno della visualizzazione delle idee, della successione – spesso veloce e sequenziale – di figure da richiamare alla mente, da rammemorare. Ecco allora venire in superficie, e disvelarsi in forma chiara il rapporto con le immagini numerose, variegate, "concatenate" de L’architettura di pietra trovate a volte per caso, altre cercate ostinatamente nell’archivio della memoria e riproposte all’attenzione del lettore nella struttura narrativa del libro. D’altronde l’opera a stampa non è solo "parola stampata" ma anche "foto stampata", "disegno stampato". Ci siamo interrogati, ad un certo punto del nostro lavoro, sui modi attraverso cui abbiamo alimentato la scrittura de L’architettura di pietra sfruttando le immagini interiori, fatte venire in superficie dall’archivio della memoria per indagarne il loro significato, facendole scorrere lentamente sotto i nostri occhi, a costruire possibili associazioni e tessiture all’interno del nostro racconto. Contemporanemente abbiamo ripercorso la nostra vita, i tanti viaggi effettuati sotto la luce fredda e breve degli inverni o quella calda dei mesi estivi. Sia pur per frazioni di secondi, ogni itinerario è riaffiorato alla mente, ogni tappa è riemersa, ogni dettaglio è sembrato degno di offrire un piccolo tassello alla costruzione del racconto visivo dell’opera. Abbiamo rivisto quello che avevamo già visto ma anche scoperto cose nuove, nessi costruttivi, dettagli fissati sulla pellicola che ci erano sfuggiti nel momento della ripresa, quasi un risarcimento dei nostri ricordi, della nostra fallace memoria. L’architettura di pietra , quindi, come racconto di molteplici e concatenate immagini che delineano una sorta di stenografia visiva del tema, strutturato come in una sequenza filmica; un libro che si offre anche come album da sfogliare, con lentezza, per il piacere della visione. Un libro sul guardare. L’occhio può, così, scorrere con azione contemplativa e forza interrogativa nelle pieghe dello spazio e del tempo, sul paesaggio di pietra, sulle opere, sui dettagli che ne imbasticono il palinsesto narrativo. Selezionare porzioni di realtà, ricercando e seguendo anche il racconto dei ruderi; non pietre banali sull’abisso dell’oblio, ma reperti vivi indagati quali accumulo di lavoro umano, di sapienze costruttive, di idee architettoniche; parti di un discorso architettonico mutilato dal tempo ma custodi di valori, di insegnamenti concreti. Nè deterministico è mai apparrso il rapporto fra parole ed immagini. Nella costruzione dell’opera a stampa, a volte sono state cercate le parole adatte a descrivere le immagini "recuperarate", per commentarle, per sostenerle; altre volte le parole e i concetti che le articolavano hanno atteso le immagini per avere una testimonianza, una presenza e una risonanza visiva. Ogni opera è il tentativo di comprensione della realtà delle cose che lo alimenta e, allo stesso tempo, nuovo racconto. Nel nostro caso immagini e parole – inscindibilmente legate fra loro – quali mezzi della costruzione narrativa dell’opera a stampa.