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9 Luglio 2008

PostScriptum

Libri e biblioteche.
Conservazione e diffusione del sapere

dublino.jpg
Biblioteca del Trinity College a Dublino: “The Long Room” (1732).

Nei prossimi mesi lo spazio web architetturapietra2.sviluppo.lunet.it si arricchirà – dapprima del concept, poi degli “scaffali virtuali” – di una biblioteca tematica on line in cui saranno progressivamente raccolti elettronicamente documenti bibliografici riguardanti i saperi della pietra a partire da libri antichi, da rariora, o più semplicemente da volumi moderni fuori commercio resi consultabili attraverso immagini delle loro pagine o, in prospettiva, grazie a documenti digitali indicizzati.
Il progetto di tale biblioteca, intitolato “Lithosbiblioteca. I saperi della pietra in rete”, si inscrive nell’alveo delle esperienze di raccolta e gestione di collezioni librarie digitali che stanno dimostrando inedite potenzialità nel sovvertire le dinamiche tradizionali di studio e di ricerca, con risultati estremamente positivi in termini di economie temporali e di possibilità di confronto e interazione tra le informazioni.
Nel procedere all’ideazione e alla elaborazione esecutiva di questo nuovo sviluppo nel nostro progetto digitale, si impone prima di tutto una riflessione di carattere generale sulla natura del libro e degli spazi da sempre dedicati alla sua conservazione e consultazione: le biblioteche.

“Qualunque cosa il libro possa diventare
– digitalizzato, smaterializzato e virtualizzato così come rilegato in cuoio e foglie d’oro – non è possibile che esso non rimanga per il lettore blocco puro e trasparente, attraverso il quale non accediamo ad altro che a noi stessi, gli uni agli altri ma in ciascuno come in un geroglifico”.1

Placca di pietra o di piombo, frammento di coccio, tavoletta di cera, foglio di papiro, o di pergamena, o di carta, manoscritto o testo a stampa, volumen, codex, liber, rotolo, incunabolo, cinquecentina, insieme di punti luminosi raggruppati su di uno schermo elettronico, il libro – leggero o pesante ma comunque trasportabile – è sempre stato costituito da una materia capace di accettare segni di varia natura, disposta a lasciarsi incidere, o stampare, o attraversare da flussi di energia per trattenere tracce destinate tuttavia a rimanere potenzialmente cancellabili; per questo il libro, nelle sue svariate forme e consistenze materiche, reca con sè qualcosa di effimero, un’idea di fuggevolezza, di fragilità che rende necessaria la sua conservazione, la sua immobilizzazione negli scaffali – reali o virtuali – di una biblioteca.2
Nella sua lunga vita, iniziata ormai oltre duemila anni fa, il libro ha sempre presentato all’uomo un volto ambiguo, affascinante e pericoloso allo stesso tempo; oggetto labile e potente, ricercato, scambiato e a tratti venerato, o per contro negletto, disprezzato e distrutto a più riprese, esso ha trovato la sua forza, e così anche la sua debolezza, nella sua natura di supporto trasferibile a cui le civiltà hanno affidato memorie, regole e proiezioni progettuali. Il potere stesso della sua materialità semplice, nonchè della sua forma essenziale e della sua struttura modulare, stratificata e rilegata, lo ha reso immortale e al tempo stesso lo ha ucciso mille volte, in mille roghi, alluvioni e saccheggi diversi, o in altrettante disgregazioni dovute soltanto al passare del tempo.3

ostracon.jpg
Ostracon in coccio con versi di un’ode saffica, II secolo a.C.
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana.

Le prime testimonianze archeologiche di supporti scrittori sono costituite da elementi duri e pesanti quali tavolette lignee cerate, placche metalliche o lapidee, o cocci laterizi (detti ostraca). Su tutti questi oggetti, risalenti al V – IV secolo a.C., il testo viene graffito o dipinto. La storia del libro continua poi con l’affermazione di lunga durata (dal IV secolo a.C. fino a tutto il IV secolo d.C.) dei fogli ricavati per giustapposizione e incollaggio di fettucce di papiro a formare bande continue di oltre 3 metri di lunghezza e altezze variabili in genere tra i 19 e i 33 cm. Le lunghe strisce, poi arrotolate per dar vita ai cosiddetti volumina, sono scritte tramite inchiostro e fissate alle due estremità a bastoncini attorno a quali vengono avvolte progressivamente in fase di lettura del testo.
Dal tardo I secolo d.C. una nuova forma di manoscritto comincia ad affiancare il volumen: si tratta del codex, che nasce nel mondo romano su modello dei polittici di tavolette scrittorie in cera, ed è costituito da un certo numero di fogli singoli rilegati su di un lato. Più maneggevole del rotolo, e più comodo per la consultazione grazie alla possibilità di numerare le pagine, il nuovo supporto sfogliabile è anche più capiente, poichè consente di scrivere su entrambe le facce delle pagine ottenendo importanti economie di materiale.
Il IV secolo d.C. vede il tramonto definitivo dell’uso del volumen di papiro in favore dei codici in fogli di pergamena, materiale ricavato da pelli animali mediante un procedimento di pulitura con calce, essiccazione e successiva levigatura con pietra pomice.
Al contrario del papiro prodotto soltanto in Egitto, la pergamena può essere fabbricata ovunque, si diffonde così rapidamente parallelamente all’uso dei codici e tuttavia viene ben presto affiancata da un nuovo materiale per la scrittura: la carta, inventata in Oriente attorno al I secolo d.C. e introdotta attraverso il mondo arabo nell’VIII secolo dapprima a Bisanzio, poi in Spagna e nel resto d’Europa.4
La carta è ottenuta dalla macerazione e dalla pressatura di stracci di tessuto e soppianta la pergamena tra l’XI e il XIII secolo; si tratta dell’ultimo passaggio della lenta storia evolutiva del libro antico manoscritto destinata a chiudersi definitivamente con l’invenzione tra il 1437 e il 1452 del torchio da stampa a caratteri mobili ad opera di Johannes Gensfleisch, detto zum Gutemberg, che nel 1454 arriva a riprodurre meccanicamente oltre 150 esemplari della sua celebre Bibbia di 1282 pagine5. È l’avvento di una nuova era, l’invenzione di Gutemberg rivoluziona il mondo e il libro, riproducibile su vasta scala in modo via via più rapido ed economico, diviene nel giro di pochi decenni accessibile a larghissime fasce di pubblico, entrando in modo sempre più pervasivo nella consuetudine della gente per restarvi fino ad oggi come elemento indispensabile nei processi formativi, nelle attività professionali, nella vita intellettuale e pratica degli individui.
Infatti, nonostante l’avvento dei numerosi supporti di memoria magnetica ed elettronica, il libro continua ad avere un ruolo di primo piano nella nostra quotidianità, esercitando sugli individui di tutto il mondo e di tutte le estrazioni sociali un fascino quasi inspiegabile che spinge a cercarlo, possederlo, sfogliarlo, a riporlo in uno scaffale per poi ritrovarlo e consultarlo nuovamente in cerca di nuove “scoperte” tra le pieghe delle sue pagine di carta.

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La biblioteca della casa di John Soane a Londra (1813-37).

Parallelamente alla storia del libro si è sviluppata nel corso dei secoli la storia delle biblioteche dove esso è stato conservato e reso di volta in volta più o meno accessibile.

“Socrate: dimmi, Eutidemo, se è vero, come sento dire in giro, che hai raccolto molti scritti di uomini che sono detti essere stati saggi.
Eutidemo: Sì per Giove, Socrate, e continuo a raccoglierne finchè non ne avrò in possesso il maggior numero possibile”.

Il dialogo sopra riportato, riferito da Senofonte nelle Memorabili, dimostra che la consuetudine di collezionare opere letterarie di varia natura risale quantomeno ai tempi di Socrate, cioè al V – IV secolo a.C. Se la più celebre biblioteca dell’antichità è senza dubbio la Biblioteca di Alessandria d’Egitto, che nel III a.C. contava già 700.000 papiri, in realtà la storia delle biblioteche nasce con le civiltà anatoliche e mesopotamiche: numerose testimonianze archeologiche hanno dimostrato l’esistenza di grandi concentrazioni di supporti scritti nel palazzo di Assurbanipal a Ninive, in alcuni edifici di Lagash, di Babilonia e di Ebla, nonchè ad Hattusa, capitale degli Ittiti.
Tuttavia è certo nell’antica Grecia che affonda le sue radici la storia della biblioteca pubblica con cui siamo abituati oggi a confrontarci, come luogo di conservazione ma soprattutto di diffusione del sapere: al 550 a.C. risalgono infatti numerose notizie di una biblioteca ateniese, fondata da Pisistrato e frequentata liberamente da cittadini e studiosi. In seguito, durante l’età ellenistica, sono attestate grandi biblioteche pubbliche ancora una volta ad Atene, poi a Pergamo, a Rodi e ad Antiochia, e l’identità di tali istituzioni culturali si carica per la prima volta di significati sociali e politici; basti pensare che le biblioteche di Alessandria e di Pergamo furono rivali per secoli e, dopo l’incendio che nel 47 a.C. distrusse la biblioteca egiziana, Marco Antonio fece devastare quella di Pergamo per compensare la regina Cleopatra della perdita subìta.

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La sala di lettura della Biblioteca Nazionale di Parigi (1859-67).

La tradizione delle biblioteche pubbliche di matrice greco-ellenistiche si sviluppa poi nel mondo romano; nella capitale dell’impero la prima raccolta pubblica di volumi viene istituita nel 39 a.C. sull’Aventino da Asinio Pollione e alla fine del IV secolo d.C. la città di Roma conta oltre 30 biblioteche aperte al pubblico. Anche nella parte orientale dell’impero esistono numerose biblioteche realizzate principalmente in epoca adrianea: tra tutte si ricorda la celebre Biblioteca di Celso ad Efeso, costruita attorno al 110 d.C., e dotata di una scenografica facciata antistante la sala di lettura pubblica.
I grandi mutamenti politici, sociali ed economici che hanno caratterizzato il mondo occidentale dopo la caduta dell’impero romano hanno interessato anche le biblioteche. La prima testimonianza dell’istituzione di una biblioteca in epoca medievale riguarda quella creata nel 550 d.C. da Cassiodoro nel Vivarium di Squillace in Calabria ma è soltanto con la rinascita carolingia che la formazione di nuove raccolte librarie riprende in modo consistente e si diffonde grazie soprattutto all’espansione dei monasteri con i loro scriptoria: laboratori di trascrizione e manifattura dei volumi associati ad importanti biblioteche monastiche tra cui si ricordano quelli di Corvey, di Hersfeld, di Fulda, Corbie, Reims, Murbach, Auxerre, Tours, San Gallo, Cluny, Citeaux e, in Italia, quello dell’Abbazia di Montecassino, quello del cenobio di Bobbio e quelli di Nonantola e di Farfa.
Tra l’XI e il XII secolo si assiste poi alla costituzione delle prime biblioteche legate alle attività degli Studi, sia di quelle ecclesiastiche collegate alle scuole vescovili (Frisinga, Vercelli, Lucca, Verona), sia di quelle connesse all’apertura delle prime università laiche (Bologna, Parigi).

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Una pagina di una copia della Bibbia di Gutemberg (1454 circa).
Burgos, Biblioteca Pubblica.

Nel basso Medioevo l’affermazione degli Ordini Mendicanti decreta il tramonto della tradizione degli scriptoria monastici e la riproduzione dei manoscritti diviene sempre più elaborata; da questo momento essa è affidata perlopiù ad un artigianato artistico che lavora in botteghe o è itinerante, ed è rappresentato da veri e propri cartolai-librai spesso notissimi come Vespasiano da Bisticci, raffinato miniatore fiorentino del XV secolo.
La diffusione dei preziosi codici miniati tra XIII e XVI secolo rappresenta uno stimolo notevole alla creazione di raccolte librarie presso le corti europee, come la biblioteca di Luigi IX o, più tardi, quella di Federico, Duca di Montefeltro. Il libro oltre a rappresentare la fonte di possesso e diffusione del sapere diventa così un bene di lusso, un raffinato oggetto di culto che può assurgere a vera e propria opera d’arte destinataria di cospicui investimenti economici. Ecco allora che saranno numerosi i potenti e gli umanisti rinascimentali che realizzeranno nel tempo consistenti raccolte librarie personali dando vita alla tradizione delle biblioteche private che perdurerà fino all’epoca contemporanea con le collezioni dei grandi intellettuali ed eruditi del XVIII e del XIX secolo.
L’invenzione della stampa a caratteri mobili alla metà del Quattrocento moltiplica il numero e la disponibilità dei volumi, anche per la riduzione del costo della produzione libraria, arrivando a garantire tra Cinque e Seicento una vastissima diffusione di opere con l’apertura di numerose case editrici e di librerie, dapprima in Italia, in Francia e in Germania, poi nel resto d’Europa. In questo contesto prende avvio la storia delle grandi biblioteche pubbliche moderne: l’Ambrosiana di Milano, le importanti biblioteche universitarie anglosassoni, le famose raccolte librarie pubbliche francesi.
Lo sviluppo delle biblioteche si intensifica per tutto il XVIII e il XIX secolo con un progressivo trasferimento di collezioni private in strutture pubbliche accessibili alla società civile allargata, ma è a partire dal XX secolo, con la nascita della scienza biblioteconomica ad opera di Melvil Dewey e di Eugène Morel, che le biblioteche conoscono una radicale trasformazione, dovuta da una parte ad una rivoluzione nei sistemi di classificazione e catalogazione delle opere, dall’altra alla precisazione e alla diversificazione dei servizi di consultazione e prestito dei volumi.6

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Biblioteca dell’Abbazia di Mount Angel negli Stati Uniti: la sala di consultazione progettata da Alvar Aalto (1964-70).

L’evoluzione dell’istituzione-biblioteca è andata nei secoli di pari passo con una trasformazione tipologica sostanziale degli edifici specialistici destinati ad ospitarla. Per stare soltanto alla modernità, il primo modello spaziale e distributivo di architettura dedicata alla consultazione delle opere librarie viene fissato tra il 1436 e il 1443, a Firenze, da Michelozzo di Bartolomeo nella Biblioteca del Convento di San Marco.
Si tratta di una tipologia basilicale a navate separate da teorie di colonne e illuminate da finestre laterali; l’impianto rettangolare è caratterizzato da un marcato sviluppo longitudinale ed è scandito dal ritmo iterativo di campate, in genere di uguale dimensione, occupate da plutei o da armadi lignei per la consultazione o la custodia delle collezioni librarie. Tale modello viene riproposto più volte nei secoli che seguono la realizzazione fiorentina in numerosi esempi tra cui si rammentano la Biblioteca Malatestiana di Cesena, la biblioteca di Santa Maria delle Grazie a Milano, quella del Monastero di Monte Oliveto Maggiore in provincia di Siena, la sala di lettura di San Domenico a Bologna e la biblioteca di San Giovanni Evangelista a Parma.
Ad inscriversi nel solco della spazialità continua e replicativa individuata da Michelozzo, sono stati poi numerosi architetti che per lungo tempo hanno riproposto il tema della grande aula-galleria di lettura con illuminazione laterale, rielaborandolo di volta in volta con inedite forme di caratterizzazione materica e architettonica e giungendo a tratti alla definizione di veri capolavori di spazi specialistici per la conservazione e lo studio dei volumi: basti pensare in proposito alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, realizzata tra il 1523 e il 1559 da Michelangelo Buonarroti, o alla Long Room della Biblioteca del Trinity College di Dublino, costruita nel 1732 su progetto di Thomas Burgh.
L’evoluzione tipologica della biblioteca continua per tutto il XIX e la prima parte del XX secolo con la messa a punto di modelli spaziali e distributivi codificati via via più articolati e gerarchici, passando attraverso le realizzazioni dei templi del sapere dell’architettura eclettica – si pensi in proposito alla Biblioteca Nazionale di Parigi progettata da Henry Labrouste –, per giungere al Contemporaneo come tema privilegiato per molti maestri del Moderno tra cui spiccano Alvar Aalto e Louis Kahn che reinterpretano l’edificio per la conservazione dei libri in forma libera e del tutto personale, svincolandone la progettazione da canoni compositivi e formali prefissati. Numerosi architetti della contemporaneità più recente continuano poi a cogliere la sfida di un tema progettuale sempre più complesso e affascinante.
Oggi infatti la biblioteca da semplice “contenitore” si è evoluta in spazio articolato, multiscalare e flessibile, il cui utilizzo è modulabile a seconda delle esigenze del soggetto e quindi può assumere ruoli molteplici, dal soddisfacimento di servizi di base legati alla conservazione, catalogazione, consultazione e prestito delle opere che custodisce, allo sviluppo di funzioni integrate e accessorie di ricerca e riproduzione di informazioni e documenti, o anche di promozione culturale allargata con convegni, mostre, eventi di varia natura.7
Essa si diversifica così sempre più in molteplici sotto-tipologie rispecchiando la complessità della società in cui viviamo e la frammentazione dei saperi del terzo millennio: ecco allora che si diffondono biblioteche rivolte a categorie di pubblico differenti (biblioteche di quartiere, biblioteche per ragazzi, emeroteche, ecc.) o biblioteche specialistiche per settori disciplinari, e in tutti queste istituzioni si assiste ad un diffusissimo utilizzo dei mezzi informatici nella realizzazione di cataloghi relazionali OPAC e nella gestione delle operazioni di consultazione e di prestito.
Inoltre lo sviluppo di nuovi supporti per la registrazione delle informazioni diversi dai libri fa sì che la biblioteca si caratterizzi sempre più come una “mediateca” integrata, occupata non più soltanto dai consueti tavoli e dai leggii per la lettura dei libri ma anche da postazioni per la consultazione di altri archivi di memoria, fotografici, magnetici o elettronici, come microfilm, microfiche, nastri audio e video tape, LP, CD e DVD, archivi digitali e banche dati totalmente conservate e accessibili in rete.

di Davide Turrini

Note
1 Jean-Luc Nancy, Del libro e della libreria. Il commercio delle idee, Milano, Raffaello Cortina, 2006, p. 11, (I ed. francese, 2005).
2 Per accostarsi ai problemi di base relativi alla conoscenza e all’analisi dell’opera a stampa, ai suoi aspetti materici, morfologici e alle norme per la sua descrizione bibliografica si veda l’imprescindibile Nereo Vianello, La citazione di opere a stampa e manoscritti, Firenze, Olschki, 1970, pp. 157. Per un approccio fenomenologico allo studio della materialità e della morfologia del libro si veda Michel Melot, Libro, Milano, Sylvestre Bonnard, 2006, pp. 189, (I ed. francese, 2006).
3 Sui nemici naturali dei libri e per una storia dettagliata delle distruzioni librarie si veda Fernando Baez, Storia universale della distruzione dei libri. Dalle tavolette sumere alla guerra in Iraq, Roma, Viella, 2007, pp. 385, (I ed. spagnola, 2004).
4 Per un sintetico excursus sulla storia del libro antico e medievale si veda Franca Arduini (a cura di), La forma del libro. Dal rotolo al codice, Firenze, Mandragora, 2008, pp. 93.
5 Sul libro di epoca moderna, da Gutemberg in poi, si rimanda a Hans Tuzzi, Libro antico libro moderno. Per una storia comparata, Milano, Sylvestre Bonnard, 2006, pp. 203.
6 Per la storia delle biblioteche si vedano: Lionel Casson, Biblioteche del mondo antico, Milano, Sylvestre Bonnard, 2003, pp. 154; Guglielmo Cavallo (a cura di), Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Bari, Laterza, 1988, pp. 206; Paolo Traniello, La biblioteca pubblica. Storia di un istituto nell’Europa contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 388; Paolo Traniello, Biblioteche e società, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 186; Alfredo Serrai, Breve storia delle biblioteche in Italia, Milano, Sylvestre Bonnard, 2006, pp. 150.
7 Sulle potenzialità della biblioteca come spazio sociale multifunzionale si veda Ludovico Solima, L’impresa culturale. Processi e strumenti di gestione, Roma, Carocci, 2004, pp. 309. In proposito si veda anche Michael Gorman, La biblioteca come valore. Tecnologia, tradizione e innovazione nell’evoluzione di un servizio, Udine, Forum, 2004, pp. 216, (I ed. statunitense, 2003).

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