27 Giugno 2008
Progetti
Un muro quasi di pietra
Valorizzazione urbanistica del centro di Custoza
di Carlo Palazzolo Architetto
Custoza inquadrata dagli elementi della struttura muraria (foto Alessandra Chemollo)
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Tra la sponda meridionale del Garda veronese, il Mincio e l’Adige, ambiente, storia e cultura si incontrano in un paesaggio morbido e quieto di dolci colline, modellate dall’uomo e dalle stagioni in piccoli borghi, vigne dorate, campanili e cipressi, dove la vita pare essersi fermata ad un ideale passato, lontano dalla velocità delle grandi città. Sono le fertili terre originarie del Bianco di Custoza, le medesime del “quadrilatero”, scenario delle storiche battaglie tra austriaci e piemontesi. La memoria corre alle remote Guerre d’Indipendenza quando da queste sommità si fronteggiavano soldati e capitani; ed è proprio la collina e la casa solitaria dalla quale ha preso slancio la corsa del Tamburino sardo narrato da De Amicis, guardando verso SudEst, a scorgersi all’orizzonte inquadrata dalla prospettiva della nuova piazza centrale al paese di Custoza.
Custoza, frazione di Sommacampagna, ha una conformazione particolare: è un borgo non accentrato ma suddiviso in due nuclei, l’uno sulla sommità del colle a Nord, sotto la torre eretta a memoria degli episodi che videro il paese protagonista; l’altro opposto e rivolto a SudOvest, prominente rispetto alla pianura. Nello spazio intermedio si definisce un “vuoto” non-urbano, un avvallamento coltivato a vite, aperto, come scavato tra le due sommità che vi si affacciano.
È su questa area che l’architetto veneziano Carlo Palazzolo interviene con la discrezione di un progetto che trasforma tale spazio in luogo significativo, mantenendone l’ariosa spazialità, ristabilendo una connessione tra le aree circostanti e strutturando l’insieme.
La strategia è quella del ricucire le parti del borgo realizzando un percorso che è un ibrido tipologico tra strada, parco e infrastruttura allo stesso tempo, inserendo linee forti che disegnano il progetto ed un materiale significativo che va a costruirne l’architettura.
Frammenti di porfido ricomposti in un’architettura essenzialmente di muri
Il progetto dell’ “Eno-parking” – parcheggio tutti i giorni, spazio attrezzabile a festa per le grandi occasioni – segue la geometria del sito: attesta alla strada principale lo spazio leggermente affossato perchè le automobili non dominino il paesaggio invece rurale. Sull’incrocio di strade che raggiungono il centro, la pensilina per l’autobus è un oggetto architettonico astratto, composto solo di muri e piani, unico elemento “costruito” dal quale partono le linee murarie che vanno a perimetrare il contesto. Un lungo muro segue la vallata, argina un percorso pedonale in salita che unisce i due lati del paese, proteggendo allo stesso tempo lo spazio coltivato intermedio. L’insieme raggiunge un effetto monolitico: un materiale unico costruisce sia gli elementi verticali che i piani orizzontali, lega il suolo alle strutture, conferendo il carattere di uno spazio scavato, emerso dal terreno stesso, già rovina nella sua scabra natura dall’apparente semplicità che cela una ricercata elaborazione esecutiva.
L’atto del costruire l’architettura ne esce con le sembianza di risultato di opere di scavo, come un’attività assimilabile a quelle che si compiono in una cava, eppure il gioco sottile del progetto avviene simulando la massività raggiungibile con la pietra naturale attraverso un conglomerato che ricompone materiali d’origine naturale in un composto artificiale. La conformazione complessiva diviene “mimetica” e consente l’interazione prudente col paesaggio circostante, reintegrando e valorizzando scarti di cava – frammenti di porfido trentino – attraverso il singolare uso del conglomerato di calcestruzzo realizzato in opera.
Lo spazio funzionale alle attività del borgo, conservato e perimetrato dalla struttura muraria
Il calcestruzzo a vista, altrimenti noto per il suo grigiore, si fa qui “architettonico”, importante per il suo valore estetico, per la qualità cromatica e la lavorazione della superficie. Dopo aver condotto un certo di numero di prove, il progettista è giunto ad ottenere una “ricetta” per il getto di una pietra artificiale che mentre permette di ottenere l’effetto di un materiale connaturato col territorio, ne marca il contrasto evidenziando la sua natura di prodotto d’artificio. La miscela comprende cemento grigio, pigmento rosso di ossido di ferro e granulati lucenti e spigolosi di porfido, recuperati come ultimo sfrido di cava. Sfridi dell’attività estrattiva solitamente comminuti in pietrischi e sabbia per pavimentazioni e opere stradali, in questo caso tornano a dar vita ad un materiale per l’architettura.
Pastoso e liquido nella fase iniziale, il conglomerato cementizio si presta ad essere modellato seguendo le forme plastiche del progetto perchè capace di ricomporre frammenti rocciosi minuti e angolosi in un amalgama che lasciato indurire raggiunge un risultato alternativo alla pietra naturale, pur differendo radicalmente da essa.
La superficie delle opere murarie in conglomerato a base cementizia, suscettibili di numerose lavorazioni supplementari, in questo caso sono state oggetto della tecnica del “lavaggio”, ampiamente conosciuta per la lavorazione degli elementi prefabbricati, qui sperimentata sull’opera unica gettata in situ.
La materia e la costruzione del muro
Le superfici orizzontali dei piani di calpestio sono terrazzate con semina manuale degli inerti; quelle verticali degli elementi murari portano alla luce i granulati con l’adozione di un prodotto ritardante: poco prima che il cemento faccia presa la superficie viene lavata affinchè struttura e colore degli inerti vengano alla luce, ottenendo l’effetto formale che, se osservati a distanza, afferma i piani murari come screpolate “pelli d’elefante” pesanti e granulose, come rocce appena sbozzate o costruzioni già in rovina.
Tecnica e naturalità si accordano, si incontrano nella successione delle ore del giorno ed il sole che attraversa la piana di Custoza da occidente a oriente, disegna il senso del tempo sulle forme del progetto, lo attraversa nelle sue aperture, diverso nei colori e riflessi che si leggono sulla pietra ricostruita, contribuendo ad avvalorare la qualità del paesaggio circostante.
di Veronica Dal Buono
La forza materica del muro in porfido ricostruito
“ENO-PARKING”
per Comune di Sommacampagna
realizzazione 2006-07
progetto di Carlo Palazzolo, Venezia
con Linda Bagaglio, Lenia Messina, Giovanni Montina
2 Settembre 2008, 17:34
laura
bellissimo effetto! potete darci informazioni su artigiani e/o aziende che realizzano questo particolare tipo di calcestruzzo con porfido ricomposto in italia? vorrei fare una cosa simile a roma…
grazie laura