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20 Giugno 2008

Opere di Architettura

Centro incontri a Firenze (1998-2000)
di Fabrizio Rossi Prodi*

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Veduta prospettica dell’edificio e assonometria del contesto

Il meeting point, progettato nell’ambito degli interventi per il Giubileo del 2000, sorge, contestualmente ad un grande parcheggio scambiatore attrezzato, in prossimità dell’aeroporto fiorentino. Destinato ad accoglienza, informazione ed incontri, l’edificio comprende (su 1500 metri quadrati di superficie) sale riunioni, uffici, ambienti di ristoro, segreterie e altri spazi accessori.
Alla base dell’intervento vi è la volontà di segnare, con un elemento architettonico, una “soglia” urbana che non è più città ma non è ancora paesaggio naturale; un settore periurbano contrassegnato da un tessuto edilizio discontinuo, attraversato da reti infrastrutturali di comunicazione. La matrice di pensiero da cui si sviluppa il percorso progettuale di Rossi Prodi è programmaticamente annunciata nella presentazione dell’intervento: “la ricerca affronta l’antecedente storico, la trascrizione del paesaggio toscano, ordine composito di elementi distinti, forse una limonaia di villa, o un brano dell’Ospedale degli Innocenti che annuncia la città e accoglie, un impianto riferito alle strutture tipologiche lineari di questa città e poi la rinata frequentazione con l’identità figurativa dell’architettura toscana. Il carattere severo, schivo, spigoloso ma magnifico, la razionalità umanistica, la spazialità sobria e plastica, i volumi sodi, le forme pure della geometria (…), la durezza della pietra e i materiali terrosi, e infine l’impiego di procedimenti “a levare”, il ruolo della sezione nel progetto, anche come definizione figurativa dei fronti, in un paradigma che conferma la prevalenza della tettonica sui partiti figurativi”.1
Il risultato è una distribuzione lineare di spazi all’interno di un sobrio volume parallelepipedo di due piani a cui è anteposto un portico sviluppato per tutta l’altezza dell’edificio. I materiali che connotano l’aspetto dell’opera sono la pietraforte della tradizione fiorentina, che riveste le murature in filari di 38 cm a correre, e il legno per gli infissi e la struttura piana di copertura. La forza della logica costruttiva si esprime attraverso l’effetto di una compagine di blocchi giustapposti per dare forma all’architettura, di masse vincolate tra loro dalle sole leggi della gravità, come se fossero montate a secco.
La regola compositiva è sì figlia della storia architettonica locale ma, in prospettiva più ampia, mostra un legame diretto con i modelli antichi a cui guardano gli stessi architetti umanisti del Rinascimento fiorentino. L’impianto, caratterizzato da un netto prevalere dell’estensione longitudinale con un prospetto porticato su di un solo lato, è quello della stoà ellenica colonnata o, più raramente, pilastrata; con quel suo ritmo ieratico e severo, l’edificio fiorentino trova le sue origini più remote nel configurarsi delle tettoie lignee delle stoai arcaiche destinate alla protezione dei pellegrini in attesa di entrare nei santuari.

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Veduta prospettica dell’edificio e assonometria del contesto

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La lunga teoria di pilastri che si rincorrono assume forti valenze replicative, riunificanti alla fine dell’immagine architettonica.
Come il portico nell’antica Grecia limita e orienta l’agorà, conferendole il valore spaziale e sociale di luogo dell’incontro, così qui la pilastrata agisce da elemento ordinatore con caratteri di sobria monumentalità. Alle porte di Firenze, l’opera caratterizzata da un aspetto essenziale e severo, offre spazi flessibili nell’ospitare molteplici attività: accoglienza, riparo, riunione, scambio di informazioni.
Così, nel riproporre un’immagine stilizzata dell’archetipo, Rossi Prodi coglie appieno le potenzialità contemporanee del modello, dettando all’intorno unità di misura e coordinate spaziali.

di Alfonso Acocella

Note
* Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1 Fabrizio Rossi Prodi, Relazione di progetto (dattiloscritto inedito), s.d., p.1.

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