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14 Marzo 2008

Letture

PIETRE DI PUGLIA
Il restauro del patrimonio architettonico in Terra di Bari tra Ottocento e Novecento

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Pietre di Puglia è il quinto volume della collana Antico/Futuro, diretta da Claudio Varagnoli, che dal 2005 ospita studi sul tema della tutela e conservazione del patrimonio architettonico con un approccio che ha da subito privilegiato il legame tra ricerca filologica e analisi diretta dell’opera architettonica.
Il titolo esteso del libro, Pietre di Puglia. Il restauro del patrimonio architettonico in Terra di Bari tra Ottocento e Novecento, rende già conto della vasta e complessa indagine svolta da Anita Guarnieri. Seguendo un criterio cronologico che consente di mettere bene a fuoco gli sviluppi della tutela in Puglia a partire dall’Unità d’Italia, l’autrice prende inizialmente in esame un tema fondamentale della conservazione a cavallo dei due secoli trattati, ossia il contributo offerto dalle Commissioni Conservatrici dei monumenti e dagli ispettori onorari locali, istituzioni e ruoli spesso rappresentati dalle più importanti figure della storiografia locale, eruditi e conoscitori che con la loro costante azione di vigilanza, denuncia e proposta di interventi segnano in maniera indelebile le vicende della conservazione, non mancando anche di influenzare i futuri indirizzi nel campo del restauro. Ne discende da subito un quadro ricco ed articolato, che l’autrice analizza nei suoi molteplici aspetti attingendo meritoriamente a svariate fonti archivistiche, costituite dalla ricca e finora poco esplorata documentazione di vari enti che vanno dagli archivi di stato a quelli comunali, dagli archivi di istituzioni religiose a quelli della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Bari e di Foggia.
L’ “approccio empirico” degli storici ed archeologi locali – fra i tanti, Sante Simone, Francesco Sarlo, Gianbattista Nitto de Rossi – è analizzato nelle strette relazioni che essi intrecciano con figure centrali di assoluto rilievo come gli ispettori ministeriali Cavalcaselle, Bongioannini e soprattutto Giacomo Boni; aspetto che consente all’autrice di dissipare ulteriormente l’immagine di una Puglia estranea al dibattito contemporaneo sulla conservazione monumentale e, al contrario, di rimarcarne il significativo apporto nel campo dello sviluppo storiografico architettonico. Lo studio chiarisce inoltre un aspetto che può affiorare solo attraverso una rigorosa indagine – diretta ed indiretta – sull’opera architettonica, condotta peraltro, nel caso di Pietre di Puglia, su di un ampio ventaglio di casi: come cioè i protagonisti del restauro in regione, pur operando nel tentativo pressochè costante di rimarcare una identità stilistica precisa del monumento, siano consapevoli della sua specificità, legata in particolare a materiali e tecniche costruttive peculiari della regione. In particolare, il notevole interesse di Giacomo Boni per le ‘pietre di Puglia’ (esemplare il suo invito alla salvaguardia dei tetti “a chiancarelle” quali carattere intrinseco delle fabbriche locali) sottende all’invito verso una presa di coscienza sull’indissolubile legame fra architettura e materia che la compone; insegnamento purtroppo non sempre considerato negli interventi che si condurranno in regione a partire dall’istituzione dell’Ufficio Tecnico Regionale di Napoli, che farà nuovamente gravitare la Puglia nell’orbita dell’ambiente culturale napoletano.

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Molfetta, cattedrale, le coperture a cupola con rivestimento “a chiancarelle”, foto di Anita Guarnieri 2006

Da questo momento in poi, come chiariscono il terzo e il quarto capitolo del volume, si avvia la stagione dei grandi restauri (su tutti, per importanza ed impatto, quelli delle cattedrali di Bari e Bitonto), realizzati da figure di grande esperienza nazionale sia come storici sia come operatori, la cui spiccata personalità ha forse come rovescio della medaglia l’eccessivo indirizzo personale ed innovativo conferito alle tante operazioni condotte.
Il contenuto del testo, nel suo sviluppo, lascia gradualmente percepire la presenza sempre più costante delle istituzioni centrali della tutela negli interventi pugliesi; presenza che contribuisce ad orientare il restauro ai fondamentali principi teorici sanciti a cavallo dei due secoli, come quelli della distinguibilità, della notorietà e del rispetto per l’autenticità delle fabbriche antiche. E la metodologia d’intervento che si consoliderà dalla nascita delle Soprintendenze in poi, ovvero quella orientata prevalentemente a rafforzare l’immagine di un presunto “romanico pugliese”, è solo in apparente contrasto con quanto appena rilevato: l’esperienza riversata in regione da personaggi come Gustavo Giovannoni e Gino Chierici riflette – come è noto – un indirizzo di impronta nazionale, e si accompagna peraltro, in più di un caso, ad un orientamento che privilegia lo studio del dato storico a garanzia dell’autenticità del monumento. Si traccia in questa maniera, particolarmente nei restauri di Carlo Ceschi, il solco di una prassi più cauta ed attenta all’individualità della fabbrica, tesa a concepire l’intervento secondo il cosiddetto metodo del “caso per caso”.

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Trani, cattedrale, dettaglio del prospetto posteriore, foto di Anita Guarnieri 2007

Nell’insieme, il notevole ed originale contributo di Pietre di Puglia sta forse nell’implicito invito che l’autrice formula a studiosi ed operatori del settore: quello di riguardare ai monumenti della regione come ad organismi più complessi di quanto appaiono, che nel corso della loro storia hanno visto di volta in volta intervenire sulle loro pietre figure legate a culture conservative diverse e spesso contrapposte, che ne hanno segnato in maniera indissolubile l’immagine e la memoria, ora meno nascosta anche grazie a questa ricerca.

di Aldo Giorgio Pezzi

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