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21 Dicembre 2005

Recensioni

La recensione di Abitare la terra

La gran mole del volume – 625 pagine – in cui converge l’ampio testo, insieme ad una grande quantità di immagini raffinate e intense, accompagnate da splendidi disegni, incute una sorta di atteggiamento reverenziale e a prima vista persino inibitorio nei confronti dell’ultima fatica di Acocella.
Oltre all’imponenza dello scritto, in cui si avvertono i cinque anni necessari alla sua compilazione, contribuisce a frenare il desiderio di sfogliarlo, di coglierne immediatamente i contenuti, quella cartella nera, piuttosto funerea rispetto al bianco della sovraccoperta, che lo distingue dai testi in circolazione.
L’autore, già noto per i volumi dedicati a L’architettura del mattone faccia a vista, con il seguito intitolato a L’Architettura dei luoghi ed infine ai Tetti in laterizio, rappresenta uno dei pochi studiosi che nel nostro Paese riesce a muovere somme consistenti nell’asfittico mercato editoriale fino a produrre, con l’aiuto degli sponsor – metodologia che negli USA è consueta – testi destinati a durare nel tempo e soprattutto ad influenzare non solo in superficie, come sovente avviene con il luccichio dei media, nuove generazioni di progettisti.
Il rilancio dell’architettura in cotto si deve anche al suo lavoro teorico ed agli esempi indicati nei testi.
Superato il primo impatto si affronta con interesse l’avventura del leggerlo, anche perchè, rispetto agli altri scritti dell’autore, in cui a volte ci si imbatte in passi farraginosi o semplicemente noiosi, in questo caso si può dire che "ha lavato i panni in Arno" e propone quindi una scrittura sempre consapevole; fluida, leggera, ricca di citazioni che dischiudono spiragli inediti e contribuiscono a sviluppare il piacere della lettura su un argomento che, di primo acchito, può sembrare duro, ostico, lontano dai fragili tempi in cui viviamo. Infatti sin dal titolo l’architettura di pietra evoca altre stagioni costruttive. Solo l’abilità l’autore riesce a tenere insieme il tempo lineare con quello circolare, a rompere i confini consolidati, troppo spesso schiacciati sull’attualità ed aprire nuovi territorio del sapere in cui la storia svolge un ruolo ed indica nuovi percorsi alla conoscenza.
Sfilano così davanti ai nostri occhi architettura davvero straordinarie in cui i due tempi tendono a mescolarsi come i progettisti che dialogano tra loro. Sicuramente Imhotep, l’autore del complesso funerario di Zoser a Saqqara, che ha ispirato Marcello Piacentini nel Rettorato della Città Universitaria a Roma, dialogherebbe a lungo con Dieter Oesterlen, l’autore del cimitero di guerra tedesco al Passo della Futa – l’architettura più intensa del volume – per comprendere il modo in cui quell’artiglio acuminato, impreziosito dalle incrostazioni marmoree a mosaico astratto, opera di Helmut Lander , si staglia verso il cielo per divenire elemento di passaggio delle anime. Del resto non era questa la funzione delle piramidi ?


Cimitero di guerra tedesco al Passo della Futa di Dieter Oesterlen (foto: A.Acocella)

La pietra – materiale naturale per eccellenza – esercita da sempre un grande fascino, e non solo tra i progettisti. Richard Long, in Five, six pick up sticks. Seven, eight, lay them straight, scrive infatti "Mi piacciono i materiali usuali, tutto ciò che è a portata di mano,/ ma, soprattutto, le pietre. Mi piace pensare che le pietre/ siano ciò di cui è fatto il mondo".
Il volume passa in rassegna quel mondo e lo scompone attraverso elementi primari come i muri, le colonne, gli architravi, gli archi, le superfici, le coperture, il suolo e la materia, innestando in ognuno dei capitoli esempi di rara intensità e pregnanza come la chiesa di San Giovanni Battista a Firenze, di Giovanni Michelucci, dove il "materiale lapideo comunica con immediatezza il senso di appartenenza topologica e nell’incontro tra la naturalità della pietra grezza e il lavoro dell’uomo l’architettura trova un forte legame con il singolo e con la comunità".
Concludo questo caldo invito alla lettura citando un interrogativo che pone Peter Zumthor. L’autore dei suggestivi, vigorosi bagni termali a Vals si chiede: "Perchè nell’architettura recente si riscontra così poca fiducia nelle cose più peculiari che distinguono l’architettura: il materiale, la costruzione, il sorreggere e l’essere sorretto, la terra e il cielo; così poca fiducia in spazi liberi di essere autenticamente tali; spazi in cui si ha cura dell’involucro che li definisce, della consistenza materiale che li caratterizza, della loro capacità di ricezione e di risonanza, della loro cavità, del loro vuoto, della luce, dell’aria, dell’odore ?"
La risposta la possiamo cogliere anche nella fatica di Acocella.

di Mario Pisani
Abitare la terra n. 12, 2005

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