12 Dicembre 2005
Citazioni
L’idea di durata e i materiali della costruzione*
Palazzo dei Re di Navarra, XII secolo. Rovine.
“Gli edifici del passato comunicano un senso della realtà, una consistenza, che quelli di oggi non possiedono.
Questa consistenza implica un’idea della realtà lontana dalla semplice imitazione di esempi conosciuti di tipi architettonici, introducendo per contrasto la categoria dell’astrazione in architettura. Essa ha a che fare con la coerenza esistente tra forma costruita e immagine. In passato, l’atto stesso del costruire portava con sè o implicava in modo univoca la forma e l’immagine dell’edificio. Ciò suscitava un sentimento di autenticità, che è concetto parallelo a quello di consistenza.
Il tipo d’astrazione che l’architettura può proporre implica sempre una materialità. Ciò non significa che i materiali abbiano sempre la stessa importanza. Nella facciata di una cattedrale gotica, ad esempio, il problema del materiale è a mio avviso secondario rispetto ai temi iconografici: il modo in cui l’iconografia è imprigionata nella pietra è alla fine più importante che non la pietra in sè.
Penso che con ogni probabilità oggi siamo tanto interessati ai materiali, perchè avvertiamo che la loro importanza sfugge in qualche modo al nostro mondo. Forse abbiamo perduto i rapporti con il loro significato: forse il nostro atteggiamento denota una certa nostalgia per un’architettura nella quale i materiali giochino un ruolo più importante. Dunque il mio desiderio di dare agli edifici una consistenza che derivi dalla loro materialità, costituisce una risposta deliberata all’evoluzione che oggi quasi inevitabilmente vive il nostro lavoro.
D’altro canto, quando gli edifici entrano nel regno della materialità diventano assai più imprevedibili; c’è sempre nel lavoro dell’architetto un certo grado di imprevedibilità che dipende dal materiale. Proprio allora si realizza il passaggio che porta gli edifici dal disegno alla realtà. Penso che si tratti di uno dei momenti più emozionanti per l’architetto. (…)
Palazzo dei Re di Navarra, XII secolo. Rovine.
Grande è la pressione esercitata sull’architetto contemporaneo perchè dia risposte schematiche. L’economia, nel senso più commerciale della parola, esige soluzioni schematiche e nella stessa direzione agiscono i fattori coinvolti dall’economia, come la velocità, l’industrializzazione, la ripetizione degli elementi, la facilità di trasporto, tanto che l’intero processo costruttivo ne è stato trasformato. Una figurazione mimetica è spesso il segno di un pensiero assai schematico.
Penso che il problema della materialità nell’architettura recente sia diverso che in quella passata e da questo fatto mi sento molto coinvolto. Non nel senso che ne sono dispiaciuto, ma nel senso che sono pronto ad accettare che l’architettura possa diventare qualcosa di diverso da ciò che è stata nella storia. Ho l’impressione che gli edifici siano destinati a conservarsi meno bene di quanto avvenisse in passato. Non si tratta solo di un problema di mancanza di solidità. Vi è una credenza diffusa, anche se ancora poco espressa, per la quale gli edifici sono destinati a scomparire e anch’io condivido questa sensazione. L’architettura è pronta a diventare arte effimera. Ciò è evidente in questo mondo e in particolare negli Stati Uniti, dove la società è tanto sensibile ai cambiamenti e ai progressi della tecnologia edilizia. Questa è una delle ragioni per le quali l’architettura ricorre oggi così spesso a un’immagine superficiale del proprio passato: la società contemporanea non crede a una condizione duratura delle proprie creazioni. Ciò che conta è il primo impatto di un edificio e non la lunghezza della sua vita.
Il mio punto di vista, tuttavia, è che la durata, la condizione di essere costruiti per durare, sia un fattore molto potente. Per esso si deve combattere. Naturalmente capisco che in questo sto andando contro la tendenza dominante, ma sono convinto che sarebbe utile da molti punti di vista disporre di città più stabili, di un’architettura più stabile, di costruzioni più durevoli e meno effimere. Mi rendo conto che essere contro l’effimero costituisce una scelta molto difficile, ma questa è la posizione che ho assunto, anche se so di potermi sbagliare.”
di Rafael Moneo
(*) Rafael Moneo, "L’idea di durata e i materiali della costruzione" p. 203 e p. 212 (tit. or. "The Idea of Lasting A Conversation with Rafael Moneo", Perspecta n.24, 1988) in Rafael Moneo, La solitudine degli edifici e altri scritti, Torino, Umberto Allemandi, 1999, pp. 222.
Archivio generale di Navarra a Pamplona (1995-2005) di Rafael Moneo (foto Pietro Savorelli)
fg138
14 Dicembre 2005, 00:32
damiano steccanella
Approfittando della citazione di Rafael Moneo volevo trarne alcune riflessioni.
Provo spesso un certo disagio nell’osservare da vicino opere architettoniche, più o meno rilevanti, nei loro dettagli di finitura e applicazione dei materiali litici.
Parlo dei rivestimenti di spessore sottile, 2-3-4 cm, applicati a secco per la formazione di facciate ventilate o della semplice incollatura di lastre sottili sulle facciate di edifici e palazzi.
Non c’è rivestimento o facciata ventilata che non mostri segnali di precoce sconnessione e rottura, soprattutto nelle parti inferiori, soggette maggiormente agli ordinari urti accidentali ed usure.
Dal Mart di Rovereto di Mario Botta, rivestito in Pietra Gialla di Vicenza, all’aeroporto Malpensa, con i rivestimenti interni in Pietra Dorata in parte danneggiati e sconnessi, o al rivestimento del grand Arche della Defense di Parigi in Bianco Carrara che ha nella parte inferiore (e probabilmente anche più in alto ma non si vede) i giunti disassati e spesso gli angoli rotti o incollati.
Ho citato degli esempi a caso ma è certo che minore è l’importanza del progetto maggiore è l’approssimazione delle finiture.
Ritornando al nostro amico Kengo Kuma, nel suo saggio "Ritorno ai materiali" (Kengo Kuma opere e progetti, Luigi Alini, Electa,2005), fa delle interessantissime considerazioni.
"Il "metodo calcestruzzo" è in sostanza uno stile che ignora nel modo più completo il materiale, o, per essere più precisi, la sua sostanza. In un mondo dominato da questo metodo, il materiale non è altro che una modalità di mappatura della texture applicata alla superficie, è solo una pelle spessa 20 mm, una finitura sovrapposta al calcestruzzo. In simili condizioni sostenere "l’importanza del materiale in sè" non ha alcun senso."
L’affannosa ricerca di ridurre gli spessori dei materiali litici non ha sortito ad una riduzione dei costi del loro utilizzo, se per costi consideriamo anche gli effetti della qualità e durata del costruito. Per non parlare della difficoltà di reperire materia prima con poche imperfezioni, scarsa in natura e quindi più cara, e dei maggiori costi di consolidamento delle lastre (resinature e retinature) che hanno efficacia molto limitata nel tempo.
Sono tornato domenica da Alicante dove ho fatto un po’ di vacanza e dove ho potuto apprezzare un nuovo intervento di riqualificazione e ripristino del sentiero di accesso al castello di Santa Fernanda (qualcuno forse ne conosce il progettista?).
Al di là del valore architettonico dell’opera ho notato un ritorno all’uso di marmi e calcari in spessori notevoli e, aggiungerei, adeguati. Si sa che Alicante e soprattutto la vicina Novelda fanno parte di un comprensorio di escavazione e lavorazione lapidea tra i più importanti della Spagna, ma non credo sia solo questo il motivo che abbia spinto all’utilizzo massiccio della pietra nell’intervento architettonico.
Qui la pietra, che forma pavimentazioni, bordure, muretti di contenimento e arredi urbani di vario genere, non dà la sensazione di voler comunicare una cromaticità particolare o formare attraverso i tagli e disposizioni forme geometriche evocative, qui la pietra esprime il concetto di sostanza, di materia concreta, di connessione con la natura della rupe del castello, unica superstite dell’aggressione edilizia alla città.
I vari conci e lastre in pietra sono con finitura a taglio di sega, spesso imprecisa come è in uso in Spagna. Evidenti sono i segni del taglio causato da dischi e lame diamantate e poca cura è stata osservata per l’abbinamento dei colori dei marmi, provenienti da cave diverse e con toni dal bianco crema al noisette scuro.
Tutto questo senza nulla togliere alla poetica della pietra, alla forza espressiva dei grossi masselli, al richiamo innegabile alla fatica umana nel maneggiamento e posa in opera degli stessi.
Un’opera architettonica che potrà permettersi di invecchiare e di lasciarsi piacevolmente segnare dal tempo.