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2 Gennaio 2008

Eventi

ARQUITECTURA ESPAÑOLA
Il linguaggio della pietra tra costruzione e figurazione

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Ingresso alla Mostra organizzata da Vincenzo Pavan in Marmomacc 2007

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Una mostra può diventare un’importante occasione per dare spazio al dibattito e alla discussione sull’architettura. La scelta della Spagna, considerato uno dei paesi più dinamici dal punto di vista della cultura architettonica e progettuale, costituisce una sorta di strumento critico per leggere le trasformazioni intercorse negli ultimi dieci anni e indagare le ragioni profonde di questo successo. Sono state selezionate quindici opere di architetti appartenenti a diverse generazioni e a diverse realtà geografiche, ma accomunati tutti nel rivendicare con l’uso del materiale lapideo i principi inalterabili di bellezza, utilità e solidità, e nel rifuggire quelli più attuali di superficialità, ambiguità e fragilità. Il loro lavoro infatti, pur mantenendo le inevitabili specificità del progetto e del luogo, testimonia una continua tensione nel rendere più profondo il vero significato di una disciplina che incide sempre di più sulla società civile e che sempre più spesso si vuole elevare alla categoria dell’arte.
Questo modo di presentare l’architettura permette di individuare tendenze, sfumature e contrasti nell’impiego di un linguaggio lapideo che appare sempre più diversificato e aperto alle nuove sperimentazioni consentite dall’evoluzione tecnica tecnologica. In questo periodo si sono infatti moltiplicate le tendenze: a quelle tradizionali del rivestimento di pietra secondo un linguaggio minimale e purista, si è affiancato l’impiego di piani litici traslucidi e di elementi massivi, strutturali e di rivestimento, che confermano il preciso ruolo tettonico del materiale lapideo.

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F.Alonso, casa di Puerta da Hierro, Madrid, 1985
Picado – De Blas Arquitectos, Teatro e Auditorium, San Lorenzo de el Escorial, 2006

Per capire questa evoluzione è tuttavia necessario comprendere la specificità dell’architettura in Spagna rispetto al resto dell’Europa, per evitare facili generalizzazioni e banali luoghi comuni, riconoscendo come il linguaggio legato all’uso della pietra non nasca da scelte superficialmente ed esclusivamente estetiche, ma trovi la propria ragione d’essere in precisi intenti figurativi e di rappresentazione dell’architettura stessa, che si fondono con le scelte costruttive e le basilari esigenze pratiche dell’architettura perchè, come scrive L. Kahn, “nell’architettura di pietra, la singola pietra diventa più importante della casa. La pietra e il sistema architettonico erano una sola cosa”.
Nel 1968, quando sulla Spagna gravava ancora il muro dell’isolamento che pdivideva la società dal resto d’Europa, Vittorio Gregotti scriveva “In Spagna c’è una specie di silenzio, di spazio immobile, figurativamente antico, estraneo all’ansia trasparente e al movimento dello spazio centroeuropeo da cui nasce l’architettura moderna”. Oggi a distanza di quaranta anni quel muro è crollato, la Spagna e la sua società sono integrati in Europa, gli architetti spagnoli sono chiamati ad insegnare nelle più prestigiose università europee ed americane mentre alle loro architetture sono stati dedicati libri, riviste, convegni e mostre in tutto il mondo. Tuttavia è rimasto qualcosa di questa inclinazione al silenzio nel loro metodo progettuale che preferisce scelte elementari e minimali che corrispondono al motto di epoca barocca “il buono, se è breve, è doppiamente buono”, dove l’obiettivo di questa “brevità” ricorda molto da vicino il più moderno e noto “less is more”, ma ci ricorda anche valori quali la durata e la solidità costruttiva, concetti che di fronte all’odierna e imperante ansia per la novità ci appaiono ancora più antichi e necessari.

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C. Ferrater, Casa Togomago, Ibiza, 2001
Palerm & Tabares de Nava Arquitectos,telier della Fondazione “C. Manrique”, Lanzarote, 2004

A questo punto è fondamentale ribadire alcune delle ragioni profonde del successo che attraversa l’architettura in Spagna, ragioni di natura diversa e che affondano tutte nella storia spagnola del XX secolo e nella sua realtà politica, economica e sociale.
In primo luogo c’è stato il paziente lavoro culturale e professionale di un’intera generazione di architetti (A. de la Sota, F.J. Saenz de Oiza, J.A. Coderch, O. Bohigas e J.M. Garcia de Paredes) che, distante dal franchismo da un punto di vista intellettuale, ha permesso di gettare le basi di un insegnamento universitario di altissima qualità. La preparazione degli architetti spagnoli si distingue infatti per la perfetta armonia tra un sapere tecnico, che fornisce loro un continuo controllo razionale sul processo progettuale, e una ricerca teorica e compositiva, che riguarda sia la composizione architettonica in senso stretto che quella su scala urbana e ambientale. Il senso della disciplina acquisito durante gli studi consente loro di valutare e gestire con sicurezza le influenze esterne e gli stimoli della storia e del luogo, elementi che, diventando materia di progetto, permettono di sviluppare un rapporto istintivo che annulla il tempo e le contingenze, facendo riemergere i nuclei fondativi dell’architettura stessa quali spazio, luogo e costruzione. Questo si è trasformato nel tempo in una capacità di proiettare l’essenza del passato nel presente rimanendo, per usare un’espressione di Fernando Tavora, “tradizionalmente moderni” e sottoponendola al confronto con le ricerche contemporanee, sia quelle legate allo spazio architettonico generato dal telaio strutturale, che quelle legate alla sua definizione e ai materiali.
Un’altra ragione risiede nel “Patto Sociale” che ha consentito agli architetti di realizzare qualsiasi edificio, dal disegno di progetto al collaudo, ma sotto la loro diretta responsabilità. Questo essere responsabili sotto ogni aspetto comportò per loro la necessità di avere competenze professionali le più complete possibili, sia quelle tecniche che quelle artistiche, e a considerarle tutte parte integrante del progetto.
La preparazione universitaria e la continua pratica progettuale hanno consentito ai progettisti di realizzare opere aderenti alla realtà sociale ed economica in cui intervengono, fino a creare un’architettura diffusa e condivisa da gran parte della società spagnola. Questo ha determinato da una parte lo svilupparsi di una committenza “illuminata” e di una pubblica amministrazione sensibile ai problemi culturali e pratici che l’architettura stessa propone, mentre dall’altra ha garantito l’elevata professionalità degli architetti che, consapevoli delle conseguenze materiali dell’architettura, si sono organizzati in collegi professionali che favoriscono la qualità del prodotto e il cui statuto è determinante nella definizione di una modalità condivisa.

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R.Moneo, Municipio, Murcia, 1998
C. Portela, casa rurale, Galizia, 1979

Il successo della loro architettura risiede anche in un altro aspetto culturale: l’abbandono da parte degli architetti spagnoli delle posizioni avanguardiste e la perdita di qualsiasi pretesa di trasformare programmaticamente la realtà. Questo atteggiamento culturale ha consentito l’affermarsi di un’architettura che è razionale e reale allo stesso tempo: razionale nel senso che il moderno continua ad essere la base di partenza, non da un punto di vista esclusivamente stilistico, ma da un punto di vista metodologico che facendo proprie anche le critiche del post-moderno, ha evitato il rischio di dare vita alle illusioni utopistiche che entrambe le correnti possono generare. Da questo contatto con l’oggettività della disciplina architettonica deriva l’aggettivo di reale che, come sostiene I. de Solà Morales, “non è norma stilistica ma è un riconoscimento delle circostanze quotidiane che fanno da contrappeso al razionale ed evitano le astrazioni a cui il razionalismo potrebbe indurre”.
Questo realismo si manifesta ad esempio nell’uso ricco di immaginazione dei materiali tradizionali ai quali è affidata una precisa funzione espressiva che evita di legarsi ai materiali tipici di una modernità superficiale e dimostra come le proposte progettuali della contemporaneità in campo spaziale e compositivo siano realizzabili anche con materiali tradizionali e tecniche antiche. Questa consapevolezza è stata favorita dalla struttura economica del paese, dove si è conservata un’arte muraria che pratica la costruzione di muri con malta, mattoni o pietra, al posto del montaggio a secco di elementi prefabbricati, con notevoli conseguenze sull’immagine che l’architettura trasmette di sè.
Il rispetto per le condizioni oggettive del fare architettura non limita tuttavia la loro capacità creativa, ma iniziando il discorso progettuale dalla realtà urbana e sociale, sono capaci di rispondere alle sfide della contemporaneità e alle difficoltà che ogni progetto implica. Questa creatività si manifesta ad esempio nel particolare modo di intendere il restauro, sia del singolo monumento che di un brano di città che la storia ha consegnato. Ristrutturazioni, ampliamenti e trasformazioni di manufatti storici o più semplicemente dell’esistente vengono affrontate senza l’imbarazzo per il nuovo e la soggezione per l’antico, ma stabilendo un costruttivo dialogo tra il presente ed il passato, nel quale nulla è stato perduto e dove non si rimpiange nulla, ma con il quale si è trasformata l’architettura in qualcosa di diverso, ora per giustapposizione, ora per stratificazione dei diversi ambiti, e nel quale continuità significa assimilazione.

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Moneo, Municipio, Logroño, 1976
A. de la Sota, Sede del Gobierno Civil, Terragona, 1957

A questo punto è lecito chiedersi se esiste un linguaggio architettonico spagnolo, intendendo per linguaggio un “sistema di segni, simboli e regole per mezzo dei quali avviene qualsiasi forma di comunicazione”. Fare questo in un panorama architettonico globale che tende a omologare può portare all’individuazione di un presunto “stile Spagnolo” comodo da esportare in altre realtà storiche e culturali diverse, dove tuttavia il rischio maggiore diventa quello di perdere l’elemento “sintattico” del fare architettura in Spagna e quindi il significato stesso che la disciplina ha qui raggiunto. Essi infatti hanno saputo, con una paziente ricerca interiore, smussare gli aspetti più spigolosi del razionalismo, mentre l’architettura è stata riconnessa con il passato, la società e l’ambiente, attraverso un dibattito culturale che ha fatto “parlare” di architettura gran parte del paese. Questo dialogo, che nel corso dei decenni si è arricchito diventando una conversazione a più voci, ha consentito di individuare le coordinate entro cui muoversi: un’indagine scientifica che indaga, esplora e scopre i limiti della disciplina, (materiali, tecniche costruttive, composizione), e la creazione artistica che fa della poesia il mezzo per riconciliare le necessità pratiche dell’architettura con quelle spirituali dell’uomo.

Angelo Bertolazzi

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(Vai a Marmomacc)

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