13 Novembre 2005
Ri_editazioni
Involucri di pietra tra tettonica e leggerezza*
Facoltà di medicina a Murcia (Spagna) di Sancho-Madridejos
fg123
Involucri
Il tema degli involucri si presenta attualmente estremamente stimolante, per i significati che questi assumono e per i valori ed i messaggi che comunicano nell’ambito della città contemporanea.
La facies degli edifici ha sempre ricoperto un’importanza notevole, ma negli ultimi anni lo studio sullo strato di separazione fra gli spazi interni e quelli esterni, è andato configurandosi come uno fra i più avanzati campi della ricerca e della sperimentazione in architettura.
Al di là delle varie tendenze, anche molto diverse fra loro, si può riscontrare, infatti, una comune, costante e trasversale attenzione alla pelle degli edifici (figg. 2 e 3) che si presenta sempre tecnologicamente molto complessa e che li caratterizza profondamente.
In questo settore estremamente attivo, forse più che in altri, il progresso tecnologico ha influito anche sui linguaggi progettuali, offrendo nuove potenzialità ai progettisti, fornendo nuovi materiali o nuove possibilità di utilizzare quelli esistenti, sia naturali, sia di sintesi.
Tutto questo ha parallelamente contribuito a generare riflessioni e discussioni, talvolta anche assai accese, sulle loro modalità di impiego più corrette e opportune dal punto di vista compositivo e culturale.
Gli involucri di pietra
Questo è particolarmente evidente nel caso dei materiali lapidei, i marmi, i graniti, le pietre e i travertini, che sono profondamente radicati nella nostra tradizione costruttiva (fig. 4) e da sempre sono stati scelti per le loro caratteristiche prestazionali, di durabilità e di estetica, che li rendono unici ed ineguagliabili.
Si sono sempre adattati perfettamente alle evoluzioni millenarie della tecnologia costruttiva ed hanno sempre rappresentato una scelta carica di significati per ogni "corrente" e linguaggio progettuale.
Oggi l’industria, oltre alle lavorazioni più tradizionali, offre anche la possibilità di realizzare lastre sottili con spessori minimi, fino a 7 millimetri (fig. 5).
Vengono tagliate direttamente dal blocco, poi sono rinforzate con un processo di impregnazione sottovuoto con fibre di carbonio o resine epossidiche e l’applicazione di reti in fibre di vetro.
Le resine penetrano all’interno delle cavità naturali del materiale e lo rinforzano, garantendo caratteristiche di resistenza pari alle lastre con spessore tradizionale, tagliate fino a 75 millimetri.
Con questi interventi si ottengono materiali talmente diversi da quelli di partenza, da poter essere considerati nuovi prodotti, praticamente industriali.
Questa sottilissima pelle di pietra che riveste la struttura viene montata sopra uno strato isolante "a cappotto" in sistemi ventilati di facciate avanzate (fig. 6), che garantiscono elevate caratteristiche prestazionali dal punto di vista igrotermico, acustico e funzionale, senza perdere le caratteristiche tecnologiche e l’aspetto, propri dei materiali lapidei.
Le lastre vengono appese a sottostrutture semplici o snodate in acciaio inossidabile o alluminio tramite ancoraggi meccanici invisibili ad alta efficienza (fig. 7), anch’essi in acciaio inox, di facile montaggio, regolabili in tre dimensioni e che non creano tensioni interne al materiale.
Le sottostrutture sono fissate alla struttura portante dell’edificio tramite fissaggi puntuali con tasselli ad espansione geometrica, chimici o con profili direttamente annegati nel getto di calcestruzzo.
Le lastre lapidee formano così uno strato (fig. 8) che viene montato a secco e può essere smontato per le periodiche operazioni di manutenzione, può essere anche sostituito e, in estrema analisi, anche riutilizzato in altri edifici, vista la completa separabilità del sistema dalla struttura.
Questa tecnologia permette anche di ricoprire le facciate degli edifici esistenti senza smantellarle, di cambiarne la pelle, migliorandone non solo l’aspetto, ma anche il rendimento in estate ed anche in inverno.
Tettonica e leggerezza
L’utilizzo dei materiali lapidei, con l’applicazione di queste nuove tecnologie, porta naturalmente ad una serie di riflessioni sul ruolo stesso che essi hanno sempre rivestito in passato e su quello che rivestono oggi.
Si pone, infatti, sempre più la questione del contrasto fra la loro onestà ed il loro valore strutturale da un lato (figg. 9 e 10) ed il loro mimetismo di facciata e di semplice strato esterno indipendente dall’altro (fig. 11).
Questo contrasto pone il progettista contemporaneo in una posizione difficile, divisa fra la tettonica tradizionale e consolidata in pietra e la leggerezza estrema dei nuovi rivestimenti, quasi una sfida ai materiali che simbolizzano ed esprimono per eccellenza la gravità.
Nel panorama architettonico, infatti, alla tridimensionalità stereotomica naturale propria della pietra si contrappone, attraverso tutta una serie di gradazioni intermedie, una pelle bidimensionale (fig. 12), che appare come tesa, con scansioni geometriche e spesso traslucida e priva di aggetti.
In alcuni casi viene utilizzata per simulare la totale monoliticità del volume dell’edificio, senza mai svelare la propria sottigliezza; in altri resta sottile e planare, movimentata dalle differenti texture e tonalità che solo la pietra riesce ad offrire.
Comunque, in generale, si tende a sottolineare la totale indipendenza dell’involucro dall’edificio, che appare come l’ultimo strato di un pacchetto estremamente complesso che racchiude e confina gli edifici.
Allo stesso tempo il progettista si trova in una posizione che è anche divisa fra le scelte tecnologiche tradizionali e le esigenze legate al tema, attualmente assolutamente imprescindibile, della sostenibilità.
Le nuove soluzioni, infatti, garantiscono un utilizzo maggiormente consapevole dei materiali lapidei, che sono una risorsa antichissima e preziosa, ma non rinnovabile e come tale devono essere impiegati.
Oggi si presenta la possibilità di ottenere un maggior numero di lastre dallo stesso blocco che permette quindi di limitare l’impatto ambientale nelle delicate fasi di estrazione in cava prima e di trasporto e di spedizione poi.
Questo garantisce anche una maggiore uniformità delle caratteristiche tecnologiche ed estetiche del materiale e permette un contenimento dei costi, specialmente con i materiali pregiati, fattore molto apprezzato dal mercato, che destina alle costruzioni risorse sempre più limitate.
Questo doppio dualismo porta a posizioni e soluzioni diverse: nelle varie tendenze si va quindi dalla tensione verso un utilizzo a volte esasperato dei materiali lapidei che ne fa perdere le caratteristiche principali, alla conservazione ed un recupero, a volte poco sostenibile, delle tradizioni costruttive.
Forse c’è la necessità di un compromesso, di un punto d’incontro fra la concezione classica della firmitas percepita e lo sviluppo tecnologico, fra le esigenze compositive e quelle sociali e produttive: ma il mestiere del progettista è profondamente legato a queste realtà e con esse da sempre deve confrontarsi e interagire.
La conoscenza tecnica deve portare infatti a padroneggiare i nuovi sistemi, a esprimere nuove esigenze ai produttori e a migliorare la qualità e le caratteristiche di quelli esistenti.
Anche lavorando su elementi che possono apparire minimi e secondari, ma che riescono a fare la differenza.
Per conservare la percezione della tridimensionalità della pietra, infatti, possono anche bastare la sovrapposizione e lo sfalsamento della pur sottile pelle di rivestimento, o la sottolineatura degli imbotti delle aperture, che creano gli effetti di ombra che conferiscono spessore alla facciata (fig. 13).
Oppure si possono anche utilizzare degli elementi con spessori maggiori per dettagli che restituiscano il "peso perduto" all’involucro rivestito.
Altrimenti, all’estremo opposto, si può anche scegliere di puntare proprio sulla percezione chiara ed aperta della pelle di pietra svelata, della sua leggerezza e sottigliezza estreme (fig. 14), ma per scelta precisa, non perchè lo impone la tecnologia.
Tutto dipende dalle scelte compositive e soprattutto dai messaggi che si vuole che l’involucro trasmetta ai fruitori, ma sempre utilizzando al meglio la tecnica, senza rimanere da essa condizionati.
Conclusioni
Queste nuove tecnologie sono dunque fondamentali e devono essere sviluppate ed utilizzate nel miglior modo possibile per ottenere la massima affidabilità dei materiali lapidei nel tempo nei sistemi di facciata e di involucro.
Però non devono assolutamente essere accettate in maniera acritica o eccessivamente vincolata alle esigenze industriali e produttive delle aziende di componenti.
I progettisti non devono, infatti, diventare semplici assemblatori di soluzioni preesistenti e preconfezionate per esigenze di mercato, ma devono riappropriarsi del loro ruolo appunto di progetto e assumere conoscenza, consapevolezza e controllo di queste nuove risorse tecniche.
Al di là delle scelte progettuali fondamentali e legate alla propria sensibilità, i progettisti devono quindi interagire con le aziende nel processo di ricerca, progettazione e realizzazione dei vari componenti che compongono il sistema dell’involucro (lastre di materiale lapideo, ancoraggi meccanici e sottostrutture), per pervenire a soluzioni nuove e rispettose, da una parte delle caratteristiche profonde dei materiali e della loro tradizione e dall’altra delle esigenze collettive della sostenibilità.
di Lorenzo Secchiari
(*) Relazione presentata nella Terza sessione (Rapporto tra linguaggi e materiali dell’architettura) del Primo Congresso nazionale Ar.Tec. Associazione per la Promozione dei Rapporti tra Architettura e Tecniche dell’Edilizia “Intersezioni e mutazioni nei rapporti tra architettura e tecnica, organizzato a Roma dal 2 al 4 Dicembre 2004 dal Dipartimento di Architettura ed Urbanistica per l’Ingegneria dell’Università degli Studi “La Sapienza”.
(Vai a Ar.Tec )