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8 Novembre 2007

Eventi

International Award Architecture in Stone 2007
Sette racconti di pietra

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Pietra basaltica, ardesia norvegese, calcare Alconera, Marmo di Carrara, Granito di Alpedrete, Arenaria Bateig, Azul Extremadura, Rosa Porriño, tufo giallo campano; e ancora: tufo romano, pietra sperone, pozzolana, granito, pietra della lessinia, rosso ammonitico; pietre in grandi lastre sottili e in blocchi squadrati; posate a secco, con graffe metalliche, con sottili strati di malta; pietre sbozzate a fatica da artigiani o tagliate a controllo numerico; pietre simili e dissimili, provenienti da regioni lontane o prossime, tutte materie che hanno trovato forma e interpretazione nell’opera architettonica e che quest’anno con essa hanno condiviso il riconoscimento alle Architetture di Pietra. Il noto International Award Architecture in Stone, in corrispondenza della Quarantaduesima edizione di Marmomacc, quest’anno è stato conferito ufficialmente presso le nobili sale del Museo di Castelvecchio rendendo spettatori e protagonisti partecipi del magnetico spiritus del maestro Carlo Scarpa.
Il prestigioso premio giunto alla decima edizione è rivolto alle costruzioni che si distinguono per l’attenzione e la qualità attraverso la quale i sistemi lapidei danno corpo al progetto di architettura; e se inizialmente la pietra ha necessitato di tale occasione per un rilancio anche commerciale sul mercato, oggi, raggiunta per il materiale una nuova “maturità” linguistica, è proprio tale riconoscimento a porsi come una delle più importanti occasioni di ricerca ed approfondimento sul tema.
Al presente infatti l’utilizzo della pietra nell’architettura pare essere infatti divenuta una prassi per i grandi maestri – pur serbandoci ogni volta singolari sorprese – e proprio il riconoscimento sostenuto da Veronafiere, con la sua importante giuria, ne ha esplorato nel tempo i grandi temi ed i contesti geografici – si pensi a Abril, Campo Baeza, Hollein, Machado e Silvetti, Moneo, Isozaki, Pacheco e Clèment, Perraudin, Kuma, Silvestrin, Tàvora… – mettendone in luce il carattere innovativo ed il rapporto con la tradizione, aprendo senza dubbio anche alla pietra la scena contemporanea dell’architettura d’eccellenza.
Con occhio che si fa sempre più attento e penetrante, oggi il Premio va ad indagare anche ambiti complementari alle architetture poste sotto i riflettori spettacolarizzanti della pubblicistica, muovendosi ad individuare casi studio inattesi e con essi mutate espressioni, aggiornamenti o coniugazioni linguistiche.
Le architetture premiate nell’edizione 2007 sono attente al contesto, alle preesistenze, al territorio, alle tecniche e comunque portatrici di attualità; sono state definite “di periferia” o “silenziose”, ma basteranno poche righe ed un veloce sguardo alle loro pietre per capire come siano tracce, non così “marginali” e “nascoste”, di un linguaggio che anche lontano dai “centri” sta esprimendo la propria qualità con equilibrio e coerenza.
Come di consueto il Premio Internazionale viene conferito a cinque opere ex aequo realizzate negli ultimi due o tre anni, cui si aggiunge un premio “ad memoriam” del recente passato ed uno all'”architettura vernacolare” ed agli anonimi autori dell’architettura spontanea.
Le pietre che costruiscono le cinque opere selezionate, presentate da Vincenzo Pavan e Francesco Venezia in rappresentanza della giuria, lavorano sui “limiti”, affrontano condizioni “estreme”. Dal cuore dell’Atlantico ai Fiordi della Norvegia, toccando le sponde del Mediterraneo e raggiungendo il cuore dell’Europa, ciascuna a proprio modo e in contesti diversi e lontani, vincono i rischi inclusi nel progetto in modo convincente, senza cadere nella banalità, nella ripetizione nè nell’autoreferenzialità.
Conferire al loro insieme la gratificazione del premio è modo per dare visibilità, diffusione e istituzione al linguaggio della pietra, riconoscere nelle distanze i comuni tratti, gli aspetti di metodo e quindi le proprietà sintattiche e grammaticali nella cultura contemporanea.

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Basalto di Madeira per la passeggiata sul mare. Salinas, Madeira, 2005

Il nero basalto delle Azzorre, spaccato in conci e montato a secco elemento per elemento a divenire unificante materia, lega i frammentari volumi delle Piscinas do Atlantico a Madeira, regolarizzando la montagna stessa. Si tratta del progetto di Paulo David magicamente illustrato da immagini scattate dalla mano di Fernando Guerra che mostrano tutto d’un fiato l’intensità di un paesaggio dalla dominanza acquatica, di un mare difficile, dell’aggressività dell’aria salata e dell’asperità delle rocce vulcaniche. Il progetto prende forma da un muro, detto altrove un “muro topografico”, che limita il profilo terrestre segnando una promenade trincerata, sostiene la falesia e connette i volumi architettonici al contesto. Con coraggioso equilibrio tra sito e intervento progettuale, tra luogo e forma, le piscine di Câmara de Lobos si relazionano al mare ed all’asperità della costa affrontandoli con un’ampia piattaforma, terrazzamento a base cementizia, che ne umanizza la fruizione. E sempre l’Atlantico protagonista si svela filtrato dagli schermi a feritoie in legno del volume sospeso del ristorante. Così il paesaggio diviene anch’esso elemento del progetto.
Ma forse il progetto andrebbe ancor di più osservato giungendo dal mare. Allora il complesso tenderebbe a nascondersi, a confondere l’osservatore con il cromatismo mimetico delle superfici, con la forma astratta e irregolare dei volumi, rivelando ancor più come la natura sia stata affrontata con discrezione, senza offesa o tradimento.

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Il patchwork di ardesia. Monastero, Isola di Tautra, 2006.

Ancora un luogo d’acqua, ugualmente insulare, per un’altra opera, questa volta un mare fessurato dai fiordi naturali del Nord, silenzioso e mite. Inconsueta anche la funzione del nuovo edificio di Jensen & Skodvin, trattandosi di un monastero femminile cistercense in in assoluto una delle nazioni dove minore è la presenza di cattolici. Presso il Mariakloster di Tautra le tradizionali shingle in legno che vestono le strutture contadine norvegesi, sono tradotte in sottili lastre di Ardesia Otta Pillarguri, lo stesso litotipo cui ha reso recente notorietà in un ambiente invece lontano, la Boston Public Library (Machado+Silvetti).
Un tema complesso e non privo di problematiche, eppure la retorica della religiosità, con il suo carico di forme tradizionali e di precise necessità della committenza, è stata affrontata in modo non banale. E dove la struttura è in elementi lignei essa si ispira a quelle tipiche del territorio; dove essa è rivestita con una pelle sottile di elementi, le lastre a spacco ruvide e policromatiche alludono simbolicamente ai conci degli antichi monasteri cistercensi, rispondendo agli obiettivi di identità e spiritualità delle monache.
Ancora una volta luce, profondità del cielo, intensità del verde circostante tornano ad essere interpreti di un progetto che con mite personalità si introduce nel contesto componendo la varietà di spazi necessari alla vita quotidiana delle monache in un insieme di sofisticata semplicità.

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Stratificazioni di granito Rosa Porriño per la Muraglia Nazarí, Granada, 2006.

L’attenzione dell’architetto per chi lo ha preceduto, il tempo distante e vicino degli uomini e delle loro opere realizzate nel passato, è decifrabile nella riconoscibilità sottile con la quale il muro traforato di granito Rosa Porriño si armonizza e insieme si distingue rispetto ai toni ocra e rossicci che assume la muraglia Nazarì. La struttura fortificata è il segno che ingloba l’antico borgo gitano di Albaicín alla città storica e che una profonda valle separa dall’Alhambra. Siamo a Granada infatti quando nel XIX secolo un terremoto apre una breccia sul bastione in tapial calicastrado (tecnica costruttiva tradizionale che costruisce per strati successivi di una miscela di terra e pietre, la struttura interna della muratura; evidente traduzione iberica dell’opus caementicium romano), ed alla lacuna formatasi si aggiunge via via l’incuria del depositare resti e fare del vuoto una discarica. Spazio invece di transizione tra la città vecchia e la nuova, nonchè punto panoramico privilegiato con fondale verso il giardino del Generalife ed il grandioso monumento andaluso, la muraglia Nazarí chiedeva una ricucitura ed un’opera di risanamento generale.
Antonio Jimènez Torrecillas ha recuperato la continuità visiva originaria erigendo un nuovo muro, insieme superficie visibile e spazio frequentabile: due lame murarie accostate a formare un esiguo percorso, entrambe composte da una trama serrata di lastre di granito accatastate secondo uno schema in apparenza casuale che nell’insieme lineare e parallelo si accosta senza tangerlo al monumento originario. Il disegno della tessitura così tratteggiato attrae l’osservatore con la sua composizione falsamente disordinata di regolare discontinuità, come un’improvvisazione minutamente progettata. Allora la pietra si carica d’astrazione suggerendo un senso di transitorietà dove le parcelle di vuoto ritagliate tra una lastra e l’altra miscelano la luce tra interno e esterno della costruzione; la materia si alleggerisce ed il senso di solidità e sicurezza che da un muro solitamente ci si aspetta è destabilizzato attraverso una strategia che evoca senza dubbio scritture dell’architettura catalana (si pensi ricorrere all’impiego delle gelosie ed ai preziosi arabeschi traforati) ma con discreta e sincera contemporaneità.

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Medaglione cubista dal Banco de España, Madrid, 2006.

Nel panorama delle opere premiate a Verona si svela anche un Rafael Moneo presente in veste di autore “ancora non famoso”. Del progetto infatti per risolvere l’ampliamento della sede del Banco de España nella simbolica Plaza de Cibeles a Madrid, Moneo ricevette incarico nel 1979 e solo nel 2003 viene posata la prima pietra.
E se non fosse un occhio educato e attento ad osservare l’ensanche madrileno, il complesso sembrerebbe in assoluta continuità con l’impianto originario segnato indiscutibilmente dall’eclettismo storico di fine Ottocento. Continuità formale e materiale infatti per la soluzione d’angolo proposta – quattro varietà di lapidei tra Spagna e Italia – ma uno sguardo in prospettiva può rilevare la sottile cosmetica con la quale l’insieme è stato elegantemente interpretato. L’indizio è racchiuso nell’apparato decorativo dove gli elementi scultorei sono parafrasi degli originari, stilizzati, deformati, aggiornati nelle loro forme prima modellate al computer poi realizzate con macchine a controllo numerico, svelando all’osservatore la modernità dell’opera.
Luis Fernández-Galiano acutamente osserva “passare inosservati è più difficile che richiamare l’attenzione (…) ed è possibile che siano le opere più silenziose quelle che finiscono per ottenere maggior riconoscimento critico. È un atteggiamento che richiede eleganza di vita e abilità professionale: nessuno ha mai detto che sia facile volare sotto i radar”.

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Tufo campano per rimodellare l’abitazione. Pozzovetere, Caserta, 2007.

L’itinerario fra le opere che rappresentano la contemporanea migliore architettura in pietra finisce col ricongiungersi alle pietre italiane attraverso la casa bifamiliare realizzata da Beniamino Servino a Pozzovetere di Caserta.
La dimensione umana ed il rapporto onesto con il contesto, ritornano ad essere arbitri di campo; l’architettura si fissa attraverso il materiale ed il pensiero razionale che la previene è generatore di senso per il luogo, l’abitare e l’urbanità.
Il progetto si inscrive in un percorso di trasformazione del preesistente – una casa unifamiliare di modesto valore edilizio – dunque riscrivendone il racconto attraverso una attenta metamorfosi delle strutture dell’incompiuto fabbricato originale cui la committenza aveva a fatica dato vita. Accettando la condizione di marginalità urbana, la nuova casa si sviluppa come un volume compatto così coerente con l’edilizia locale, così affine alle forme dei casolari abbandonati del casertano, da marcare con minimale attenzione e cura il territorio. Allora la memoria iconografica dei muri sbrecciati, delle anomale combinazioni materiche, del senso di massività e forza delle strutture di quelle architetture ritornano nella tessitura compatta in conci lapidei che veste la struttura originaria. E la partitura delle facciate si arricchisce – nell’incasso di alcune finestre – dell’innesto di frammenti dei materiali di risulta del precedente progetto, sdrammatizzando il carattere complessivo del paramento che il Tufo Giallo Campano impone.

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Le grandi lastre che chiudono il fienile piccolo della Stalla del Modesto.

La giuria internazionale del Premio non dimentica di individuare un’opera del passato, memoria storica del ruolo della pietra come materiale identitario, portatore di valori. Ancora un ulteriore riconoscimento all’intelligenza collettiva che ha dato vita espressioni costruttive autonomamente divulgantisi per secoli.
Così con la decima edizione il premio “ad memoriam” è stato dedicato all’opera Mausoleo delle Fosse Ardeatine così ai suoi autori scomparsi: Nello Aprile, Cino Calaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino, Giuseppe Perugini. Monumento fuori dal tempo che attraverso il suo linguaggio espressivo privo di retorica, con sintetico valore simbolico reso possibile dall'”anticlassico” utilizzo dei materiali, si proietta oltre i vincoli del tempo superandolo per continuare a commemorare il tragico evento.
Il premio dell'”Architettura Vernacolare” invece ha raggiunto la Lessinia. In particolare un piccolo edificio rurale sorto nel momento stesso in cui è stato eretto; costruito senza “progetto” ma attraverso la straordinaria intuizione del contadino che si fa architetto e escludendo di aggiungere elementi in stile personale esegue la perfetta coincidenza tra programma funzionale e forma, realizzando la propria stalla. La “Stalla del Modesto” è opera esimia del panorama della Lessinia, attribuita a Modesto Paggi contadino, divenuta simbolo dell’intelligenza e creatività costruttiva dei montanari-architetti del veronese. È proprio in questa regione che la lastra di pietra locale come monolite – piuttosto che come concio – diviene l’elemento ordinatore del paesaggio. Scrigno di pietra e “opera totale”, in questo piccolo ma mirabile edificio l’architettura costruita da spesse lastre montate “a coltello” è architettura delle origini, “geologica”, e si mostra in tutta la sua essenziale e primitiva forza capace di insegnare anche al presente.

Alla proclamazione dei vincitori ed alla mostra dei lavori premiati svoltasi presso gli spazi della fiera veronese, ha fatto seguito la pubblicazione di un prestigioso volume edito da Faenza Editrice.
“Il senso della materia”, a cura di Vincenzo Pavan con saggi di Marco Casamonti, Luis Fernández-Galiano, Werner Oechslin, Vincenzo Pavan e Francesco Venezia, è la ricca fonte delle immagini qui documentate nonchè occasione di studio e ispirazione.

di Veronica Dal Buono

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Il Senso della Materia – The Sense of Matter
Il Sole24Ore BusinessMedia, Faenza Industrie Grafiche, Faenza, Ravenna, 2007
pagg. 157, italiano/inglese, euro 30,00

Link
www.marmomacc.it
www.faenza.com
www.faenzaig.com
www.jsa.no
www.ultimasreportagens.com

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