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16 Ottobre 2005

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Le forme nella materia


Intradosso di volta leccese (foto di Alfonso Acocella)

Le forme nella materia
“La forma non è che una veduta dello spirito, una speculazione sull’estensione ridotta all’intellegibilità geometrica, fino a che non vive nella materia. (…)
Nel momento in cui affrontiamo il problema della vita delle forme nella materia, noi non separiamo l’una nozione dall’altra, e, se pure ci serviamo dei due termini, non è allo scopo di dare una realtà obiettiva ad un procedimento d’astrazione, ma, anzi, è per mostrare il carattere costante, indissolubile, irriducibile d’un accordo di fatto. Così la forma non agisce come un principio superiore che modelli una massa passiva, giacchè si può pur sostenere che la materia imponga la propria forma alla forma. Così pure non si tratta di materia e di forma in sè, ma di materie al plurale, numerose complesse, cangianti, aventi un aspetto e un peso, sorte della natura, ma non naturali.
Da quanto precede si posson trarre parecchi principi. Il primo, è che le materie comportano un certo destino o, se si vuole, una certa vocazione formale. Esse hanno una consistenza, un colore, una grana. Sono forme, come dicemmo, e per ciò stesso, chiamano, limitano o sviluppano la vita delle forme dell’arte. Sono scelte, non soltanto per la comodità del lavoro, oppure, nella misura in cui l’arte serve ai bisogni della vita, per la bontà del loro uso; ma anche perchè si prestano ad un trattamento particolare, perchè danno certi effetti. Così la loro forma del tutto bruta, suscita, suggerisce, propaga altre forme e, riprendendo un’espressione apparentemente contraddittoria che i capitoli precedenti permettono di comprendere, perchè le liberano secondo la loro legge. Ma giova osservare subito che questa vocazione formale non è un determinismo cieco, poichè – e qui è il secondo punto – quelle materie così ben caratterizzate, così suggestive ed anche così esigenti riguardo alle forme dell’arte sulle quali esercitano una specie d’attrazione, si trovan da queste, di rimbalzo, profondamente modificate.
Così si stabilisce un divorzio tra le materie dell’arte e le materie della natura, anche se unite tra loro da una rigorosa convenienza formale. S’assiste allo stabilirsi d’un ordine nuovo. Sono due regni, anche se non intervengono gli artifici e la fabbrica. Il legno della statua non è il legno dell’albero; il marmo scolpito non è più il marmo della miniera; l’oro fuso è un metallo inedito; il mattone, cotto e messo in opera, è senza rapporto con l’argilla della cava. I colori, l’epidermide, tutti i valori che agiscono otticamente sul senso tattile, sono cambiati. Le cose senza superficie, nascoste dietro la scorza, interrate nella montagna, bloccate nella pepita, inglobate nella mota, si sono separate dal caos, hanno un’epidermide, aderito allo spazio ed accolto una luce che la lavora a sua volta. Anche se il trattamento subito non pure ha modificato l’equilibrio ed il rapporto naturale delle parti, la vita apparente della materia s’è trasformata.”
Henry Focillon

Henry Focillon, "Le forme nella materia" p. 52 in Vita delle forme, Torino, Einaudi, 1990 (tit.or. Vie des Formes suivi de Éloge de la main, 1943), pp. 134.

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