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Ricami di pietra. L’opera muraria a secco del Salento


Muro lungo il litorale marino di Gagliano del Capo (Lecce) (foto di A.Acocella)
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Affidiamo, con piacere, la descrizione di tali permanenze litiche del paesaggio salentino alla scrittura accorata e partecipata di Luigi Ponzi, fissata nel volume Monumenti della civiltà Contadina del Capo di Leuca della Congedo editore:

Argini e muri di chiusura dei campi
“Le prime costruzioni rurali che da tempi remoti furono erette su questa terra di sassi, credo siano stati i muri a secco.
Pietra su pietra, costruzioni in funzione del materiale rinvenuto sul posto.
Dura fatica assoggettare la terra in questo estremo Capo.
Bonificarla, vuol dire rompere la roccia affiorante per liberare la terra rossa, rimuovere questa perchè il sole la fecondi. Una volta bonificata, liberata dai sassi, si ammucchiarono questi, senz’ordine, lungo i margini del campo.
Sorsero così i primi argini di pietre voluti dalla necessità e diventati limiti del campo medesimo.
Poi il mucchio informe di pietra prese un aspetto definito, prese forma e dimensioni, si sollevò dal terreno, si snellì, assunse delle particolari caratteristiche e funzioni specifiche a seconda dello scopo al quale venne destinato.
Per questo si sviluppo un’arte tutta particolare che da padre in figlio venne tramandata attraverso i secoli e che sarebbe veramente meritorio poter conoscere da che parte ebbe origine (…) Si recinse il campo e il muro assunse la funzione di chiusura per innumerevoli pezzi di terra, grandi e piccoli, smisurati e piccolissimi campi chiusi: “cisure” o “chisure”.”

Muri plebei
“Poi i muri plebei, tirati su dallo stesso contadino, che più accorto e più capace aveva rubato un pò di quell’arte allo specialista, quando, ragazzo trasportava a spalla la pietra adatta alla parte esterna della costruzione o quella minuta per il riempimento del muro. Muri plebei dunque e, per questo, rappresentanti più numerosi di queste costruzioni erette per la necessità di liberare il campo dal petrame, senza intenzione o pretesa di far opera d’arte.
Il tempo e gli elementi hanno sciupato e diroccato in parte le più antiche di queste opere rurali, la vegetazione spontanea impossessata di esse, l’asparagina (smilax aspera) arrampicatasi fin sulla pietra più alta, ha innalzato le sue infiorescenze dal profumo dolce e penetrante, e fatto pendere da lassù i suoi frutti a grappoli di fuoco.”

Muri patrizi con “scarpe” e “cappello”
“Muri vecchi che recingono tenute poderi appartenuti a casati di gran nome, sono muri gentilizi, sono muri nati dalla mano dei migliori artefici del luogo senza risparmio nè di materiale nè di tempo, rappresentano quello che di più perfetto ci sia rimasto in questo genere di costruzioni, eretti con maestria da artisti, dalle pietre tute uguali, sfaccettate alla stessa maniera, disposte in fila le une alle altre, in righe sovrapposte diritte ed eguali, collocate con un senso architettonico tutto particolare, che lasciano vedere uno stile.
Sono quei muri che non mancano di quei particolari accorgimenti dettati dall’arte e dalle consuetudini.
Poggiano su fondamenta adeguate all’altezza (“scarpa”) e terminano in alto con i “cappelli”, pietre più grosse, scelte alla bisogna, ben squadrate, situate in sommità del muro, in una riga orizzontale a completamento dell’opera.
In basso, a livello terra, sono attraversati da feritoie, “chiaviche”, distanti fra loro lunghezze variabili, che permettono il passaggio dell’acqua piovana, perchè questa nel suo flusso non arrechi danno al muro.
Ancora ad altezza variabile, nel muro medesimo sono stagliati in un certo numero dei piccoli nicchi quadrati detti “finesce”, che stanno ad indicare il diritto di proprietà dell’intero muro, che diversamente si intenderebbe per metà fra i due proprietari confinanti.
Sono questi i muri patrizi, hanno “scarpe” e “cappelli”.”

Trincee lungo il litorale marino
“Ancora pietrame, sbarramenti di pietre con altra funzione.
Non più limite, non chiusura, ma difesa delle culture contro gli elementi atmosferici, specie lungo il litorale marino, queste caratteristiche costruzioni presentano un’architettura tutta particolare che risponde perfettamente allo scopo dell’opera.
Sono brandelli di muro, “zinzuli de parite”, merletti di pietra, e difendono, come sentinelle avanzate, una nana pianta di fico, un tronco di ficodindia, un solo ceppo di vite, dalla salsedine marina, dallo scirocco umido e ventoso, dalla furia del mare.
Sono pietre su pietre, sembrano messe le une sulle altre per gioco da ragazzi, che al primo soffio di vento debbono venir giù tutte quante.
Da secoli sfidano lo scirocco impetuoso ricco di salsedine, che spinge i flutti del mare ad infrangersi sulle scogliere, che conobbero la nave di Enea. Ma queste trincee dalle mille feritoie sono ancora ritte al loro posto in righe uguali ed armoniche, lungo il declinare della scogliera, distribuite come ordini di armati pronti a fronteggiare il nemico. Trattengono la salsedine caustica, fermando la furia del vento, che arrecherebbero danno alla pianta, ma lasciano passare il flusso dell’aria, la brezzolina temperata che viene dal mare, che tanto giova all’anticipata maturazione dei frutti.”

Muri in forma di recinto
“Ancora pietre, sono muri che, fungendo da riparo e chiudendo pochi metri quadrati di suolo, formano “lu ncurtaturu” o “lu curtale” ove veniva custodito il bestiame: il vitello, l’agnellone, due pecore, una capra. Piccolo allevamento della famiglia contadina, che, quasi sempre, era una delle attività predominanti verso il capo di Leuca, Gagliano, Castrignano, Salignano, Patù, in quanto la terra offriva poco spazio coltivabile fra sasso e sasso.
Sono dei piccoli fortini quasi sempre di forma rettangolare, con muri alti fino a quattro metri, che verso gli angoli si elevano a forma di una prora di nave. Qualche volta nel muro perimetrale trovasi incluso il trullo, che era il ricovero del contadino, mentre nell’interno del “curtale” vi sono dei piccoli ricoveri per le bestie, un abbeveratoio, la pila e la greppia.”

Trulli
“I trulli sono delle costruzioni monocellulari col tetto a falsa cupola, costruite con pietre a secco, elementi antropogeografici, caratterisitici in questo ambiente di pietrame.
Questo tipo di costruzione, da circa un secolo, ha interessato i maggiorenti della cultura, sollevando incertezze e contraddizioni circa le sue origini. Mi limiterò a dire che sono delle costruzioni a falsa cupola, formata da anelli concentrici di pietre, orizzontalmente disposti gli uni sugli altri in modo tale, che a grado a grado ciascuno sporga di poco sul sottostante, dalla parte interna del cerchio, facendosi a mano a mano sempre più stretti fino alla sommità, così da chiudere lo spazio in alto con una grossa pietra piatta detta “chianca”.
L’origine di queste costruzioni è certo antichissima, probabilmente megalitica, dato che restano a testimonianza di questa ipotesi le “specche” che hanno relazione di somiglianza nella struttura e nella forma. Queste costruzioni, anche in questo estremo Salento, presentano delle varietà formali. La forma tronco-conica è presente specie nell’estremo capo di Leuca, mentre più a nord, verso Presicce, Salve, Matino e fino a Gallipoli e Otranto, predomina la forma a gradoni. ”

Liàme
“Non solo i trulli testimoniano un’architettura contadina nelle nostre campagne, quale dimora, sia temporanea che permanente, ma costruzioni posteriori sempre antiche e pur conseguenza di una necessità più stabile e più comoda sul campo sono le liàme.
Liàme significa casa di campagna con volte a botte.
Queste “casedde” sono di forma rettangolare, con i quatto muri perimetrali in pietre a secco mentre la volta a botte è in blocchi di pietra tufacea (“pizzi de carparu”) detti appunto “petre lamia”.
Queste costruzioni permettono una terrazza più spaziosa di quella del trullo, per i diversi usi, come essiccare fichi o esporre al sole baccelli di leguminose per renderli più secchi… per cui la liàma significa anche terrazza.
La scaletta che porta alla terrazza della liàma è ricavata esternamente sul lato più lungo di uno dei muri perimetrali.(…)
Da Tricase a Castro, da Presicce a S. Cesarea, da Gallipoli a Otranto e fino a Leuca, sotto un cielo di azzurro inconfondibile …questi abituri tutti danno uno scenario da favola.” (1)

Luigi Ponzi

(1)Le citazioni riportate si trovano, rispettivamente, alle pagine 23, 24, 24,25, 17, 29, 35 di Luigi Ponzi, Monumenti della civiltà contadina del Capo di Leuca, Galatina, Congedo Editore, 1991, pp. 104.
Più in genrale, sull’architettura in pietra a secco pugliese si vedano: Edward Allen, Pietre di Puglia. Dolmen, trulli e insediamenti rupestri, Bari, Mario Adda Editore, 1984, pp. 222; Angelo Ambrosi et al. (a cura di), Architettura in pietra a secco. Atti del I Seminario Internazionale, Fasano (BR), Schena Editore, 1990, pp. 578.

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