dicembre 2024
L M M G V S D
« Dic    
 1
2345678
9101112131415
16171819202122
23242526272829
3031  

Ultimi articoli

Ultimi commenti

Rubriche

Pubblico dei lettori

 

rss

 

 

Cantina Gorgo a Custoza, Verona
Bricolo-Falsarella associati

Porta
La porta d’accesso

L’intervento di Bricolo-Falsarella associati alla cantina Gorgo di Custoza presso Verona propone sull’affaccio principale la possente cortina litica, eseguita in muratura isodoma di grandi blocchi marmorei locali. Intenzionalmente si punta alla reinterpretazione di una tecnologia antica e tipica; essa in ambito veronese è proposta nelle diverse fasi congiungenti la romana alla contemporanea, ponendosi
quale riferimento di continua attualizzazione. A differenza della cantina vinicola di Gilles Perraudin a Vauvert in Francia (1998-1999), anch’essa in murature isodome ma di rimando a tipologie espressamente romane per distribuzione e tecnologie di copertura, protagonisti sono ora i marmi veronesi “perennemente indecisi fra il giallo ed il rosa”, espressione dei progettisti che piace particolarmente per la capacità di fotografare le cromie ammiccanti all’una ed all’altra tonalità, in base alle caratteristiche di cava ed alle condizioni d’irraggiamento.
Come l’opera francese citata, è questa un’architettura rapida nell’esecuzione, bilanciante le energie economiche riversate sulle scelte materiche con il contenimento dei costi di gestione e vita del cantiere. Non v’è necessità, salvo le minime simulazioni monolitiche poggianti su travatura metallica, di giunti a malta o connessioni fra conci. Sono esse evitate dalla gravità ponderale dei blocchi.

Prospetto
Pianta e prospetto principale

Riproponiamo, attingendo da occasioni diverse, le parole dei progettisti ad ottenere una breve descrizione. L’opera è la cantina Gorgo realizzata a Custoza sulle colline moreniche tra Verona ed il lago di Garda. Le murature portanti della cantina sono state realizzate utlizzando blocchi portanti in Pietra di Vicenza di dimensioni medie 200x100x60. I cornicioni le spalle e gli architravi sono invece stati realizzati in blocchi di Nembro Veronese. Si tratta di una rivisitazione di antichissime soluzioni murarie veronesi.
(…) Nelle fotografie di Alessandra Chemollo, che assediano questo piccolo testo, viene ritratta, da diverse angolazioni, una porta semiaperta che appare come bloccata in un gesto interrotto. E’ una metafora. E’ una porta pietrificata che allude ad una azione che si sta svolgendo in un tempo parallelo o in un passato indefinito. La porta di Custoza ci introduce all’interno di un’architettura declinata all’imperfetto, una narrazione, che si svolge in quel tempo ambiguo in cui gli scrittori incorrono quando vogliono confondere i tempi.
Emerge un’architettura senza tempo, fuori dalle mode, che rinuncia all’avanguardia e alle tentazioni delle nuove tecnologie, tuffandosi in una astratta arcaicità ancorata al luogo, che recupera antiche tecniche costruttive la cui vitalità non si è mai esaurita.

Dettaglio
Una fase della costruzione (Fotografia di Bricolo-Falsarella associati)

[photogallery]bricolo_album[/photogallery]

di Alberto Ferraresi

(Visita il sito sul lavoro di Bricolo-Falsarella associati)
(Visita il sito sui marmi veronesi)

commenti ( 9 )

5 Maggio 2007, 09:36

damiano.s

Vedo con piacere che l’esperienza maturata da Perraudin ha stimolato la cretività nostrana ad un nuovo approccio massivo con la pietra.
Sono stato però molto “turbato” dall’immagine del dettaglio dell’architrave.
Trovo stridente l’accostamento di un’idea classica di architettura con soluzioni che negano, ridicolizzando, la funzione dell’architrave.
Fosse questo ascrivibile ad un nuovo post-post moderno non lo so, certamente per l’architetto è stato, assieme alla metaforica porta di pietra, una caratterizzazione poetica importante.
A questo punto mi chiedo se abbia avuto un senso l’uso dei grandi blocchi in pietra, se abbia avuto un senso l’idea del muro isodomo.
La tentazione all’ornamento torna a galla nelle forme più impensate…

8 Maggio 2007, 00:05

Alberto Ferraresi

Gentile Damiano, anch’io sono rimasto colpito dallo sviluppo del dettaglio d’architrave. In parte la riabilitazione è stata nell’osservare le fotografie del prospetto finito e lo schema a disegno, in cui l’architrave non monolitico (forse anche troppo ardito sarebbe stato da realizzare in coerenza alla scelta isodoma), è dichiarato dalla geometria dei conci -che così posti cadrebbero- senza simularne la vera funzione portante. Sarebbe da approfondire con altri interventi di lettori e magari dei progettisti stessi il suo pensiero opportuno su post-postmoderno e tentazione all’ornamento. Grazie.

8 Maggio 2007, 20:12

Alfonso Acocella

Rimanderi il nostro Damiano al Cortile dei Pilastri Dorici di Villa Adriana (vedi L’Architettura di pietra p. 289) e si accorgerebbe che l’omogeneità e la monoliticità da sempre non sono valori inderogabili.
Anche nella di Tivoli Adriano si preoccupò dei risultati finali dell’opera più che dei mezzi/modi di conseguirli. Anche lì piattabande latero_metallche simulano architravi marmorei in semplici croste modanate.
Come dire a volte (anzi il più delle volte) i vestiti coprono i corpi … Più raramente i bei corpi si concedono orgogliosi della loro assolutezza.

10 Maggio 2007, 13:06

damiano.s

Quando richiamo alla chiarezza di una scelta poetica non mi voglio riferire ai modelli classici, anche se il primitivo sistema trilitico a trovato in età classica spettacolari applicazioni.
Inutile poi in questa sede e con tali interlocutori disquisire di quanto i romani hanno contribuito all’evoluzione e alla economizzazione dell’arte del costruire.
Mi riferisco invece al ritmo, alla melodia di un edificio.
Schoenberg ha fatto delle dissonanze una scuola, se sei in forma e ben riposato ti puoi anche ascoltare tutto un CD.
Io preferisco Rachmaninov

10 Maggio 2007, 16:30

damiano.s

… ha trovato…

10 Maggio 2007, 20:12

Alfonso Acocella

Ma i nostri autori della Cantina Gorgo a Custozanon non hanno da cosegnarci qualche loro riflessione a proposito del “discusso” architrave o di altre cose che investono l’opera e le scelte di costruzione ?
La conversazione (l’interattività) in rete ha senso soprattutto se assume il valore di un confronto per capire l’altro, per avere la possibilità di un dialogo con il diverso da sè.

10 Maggio 2007, 23:40

Filippo Bricolo

Torniamo da una piccola assenza e vediamo con piacere che il nostro intervento di Custoza ha provocato un’interessante dibattito.
Saluto gli interlocutori e mi provo con imbarazzo a dare qualche risposta.
Il mio imbarazzo nasce dalla constatazione che se mi trovo a dover spiegare un’architettura da noi realizzata forse vuol dire che non abbiamo fatto un bel lavoro. Credo infatti che l’architettura sia una sorta di linguaggio ed in quanto tale debba esprimersi da sè. Ogni spiegazione, ogni sottotitolo, ogni sovrascrittura è nel migliore dei casi una tautologia. Ma se è vero che bisogna sempre scusarsi prima di parlare d’architettura o di arte è anche vero che a volte vi sono rilevanti ragioni per non tacerne, e forse questa è una di quelle.
Anticipandovi le mie scuse tenterò di dire qualcosa di più di quello che le pietre non hanno saputo esprimere.
A Damiano dico che non abbiamo voluto in nessun modo ridicolizzare l’architrave. Non ci interessa far ironia attraverso l’architettura e anche se volessimo farlo purtroppo ci fa difetto la sapiente spregiudicatezza di Stirling o di Venturi.
L’architrave di Custoza nasce dalla necessità di superare una luce di 4 m di lunghezza ai fini di permettere il correto passaggio dei mezzi dell’azienda agricola. Abbiamo valutato numerose soluzioni come architravi giganti in pietra massiccia, cordoli in pietra precompressa, oppure travi in acciaio lasciate a vista. Una soluzione che stava per essere costruita prevedeva la realizzazione di un marcapiano in ca sabbiato sopra le prime tre fila largo come le murature sottostanti sopra il quale avrebbero dovuto essere posati le altre due fila ed il cornicione sommitale.
Alla fine abbiamo optato per una soluzione che desse un pò di mistero dichiarandosi laconicamente. Sono state posate tre Hem 120 alle quali sono stati appesi due conci larghi 60 cm e alti 25 cm in nembro scavati al loro interno. Ci è sembrato che i due conci, non appoggiandosi alle spalle ed essendo divisi in mezzeria, evidenziassero in modo palese e corretto la loro natura di rivestimento. Inoltre la esigua altezza dell’architrave rispetto al peso che doveva sopportare sembrava rendere ancora più ambiguo il portale. Per quanto ricordo credo che questa scelta oltre ad essere stata conseguneza di una ricercata coerenza espressiva sia nata dalla volontà di costruire un’architettura sospesa, senza tempo e declinata all’imperfetto.
…….forse, sto dicendo troppo.
Forse un padre non dovrebbe mai parlare dei propri figli.
Ma, d’altronde, i disappunti di Damiano, i soccorsi di Alberto ed il prestigioso appello del Prof. Acocella non permettevano il protrarsi di un silenzio.

31 Ottobre 2009, 11:55

alfonso vesentini

Resta una visione “globale” del consumo! Va ancora bene tagliare le montagne per arredare paesini e villaggi? E’ una domanda, non vuole esserer una risposta! Penso che se la materia prima fosse “contingentata” assumerebbe un valore diverso. Diventando anche preziosa ASSUMEREBBE UN’IMPORTANZA ADEGUATA CHE LE SPETTA. L’uso indiscriminato ne danneggia la qualità.

6 Novembre 2009, 18:48

Alberto Ferraresi

Gentile Alfonso Visentini, mi trova molto d’accordo sul fatto che occorra proporzionare il gesto allo scopo, nel senso che un generale maggior senso della misura (e del valore delle cose) in ciò che quotidianamente nella professione si fa, potrebbe allo stesso tempo attribuire più valore sia al materiale che all’architettura. Ma, per poter rilanciare la conversazione, le chiedo: chi dovrebbe poi valutare se l’intervento fosse meritevole di utilizzare un determinato materiale? E ancora: perchè nelle città sì e nei paesini e villaggi no?

Leave a comment





stampa

torna su