dicembre 2024
L M M G V S D
« Dic    
 1
2345678
9101112131415
16171819202122
23242526272829
3031  

Ultimi articoli

Ultimi commenti

Rubriche

Pubblico dei lettori

 

rss

 

 

Rifugio-centro servizi in località Faggio dei Tre Comuni a Bedonia di Parma*
Lucio Serpagli

Rifugio
L’arrivo al rifugio

Fra i giovani studi di progettazione italiani, quello di Lucio Serpagli a Parma si distingue nelle opere recenti per alcuni tratti sottesi, presenti in filigrana nelle realizzazioni e nei disegni: la naturalità materiale, la componente paesaggistica, l’attenzione compositiva ai primi segni d’acquisizione del suolo.
In questo caso pure le circostanze vanno nella direzione dell’accostamento equilibrato alla preesistenza naturale: la Comunità Montana delle Valli del Taro e del Ceno sull’Appennino Parmense commissiona sui propri terreni un edificio polifunzionale a servizio anche degli escursionisti attirati dal Monte Penna e dalle sue opportunità floro-faunistiche.
Ne scaturisce un progetto recuperante, specialmente nel suo basamento, parte della memoria sociale e civile dell’area. Infatti, come si tramanda, l’Appennino Parmense e Bedonia in particolare si segnalano da secoli per l’impiego di pietre locali adoperate in campo edilizio. Tre sono le riconosciute principali caratteristiche litologiche presenti: le rocce vulcaniche – si parla pure di un marmo Penna dal colore nero intenso – affioranti in tutto il territorio ed in particolar modo nella zona per l’appunto del Monte Penna (raggiunge un’altezza di circa 1735 m), le rocce arenarie in Val di Taro ed in particolare tra Carniglia e Trasogno (è nota la pietra arenaria di Carniglia) in cui s’è dunque sviluppata l’applicazione litica in copertura oltre ai setti murari, infine le rocce calcaree, utilizzate però esclusivamente per la produzione di calce, la cui lavorazione risulta oggi pressochè abbandonata.
La costruzione del Seminario di Bedonia ha fornito intorno al 1840 l’occasione per l’organizzazione delle lavorazioni dell’arenaria a livello pressochè industriale. I primi scalpellini giungono da Pontremoli, ma già nel 1852 Carniglia e i propri manovali hanno raggiunto un grado di specializzazione capace di garantire loro notorietà ben oltre la dimensione locale. Oggi ancora Bedonia ospita una mostra-simposio sulla pietra arenaria cui prendono parte artisti internazionali.
Alle rocce arenarie e vulcaniche locali ha fatto ricorso Lucio Serpagli per i setti caratteristici del nuovo rifugio, in cui la superficie scabra e naturale convive con le geometrie limpide e rigorose di progetto. Specialmente si sono utilizzati i trovanti ed i ciottoli di fiume rimanenti dalle lavorazioni di frantoio. Alle parole di relazione tecnica lasciamo la descrizione più ampia dei luoghi.

Scorcio
Uno scorcio del basamento

Se come ha evidenziato Adolf Loos, “la pianura richiede elementi architettonici verticali, la montagna orizzontali”, uno dei caratteri del costruire in montagna, in un ambiente che per la sua conformazione morfologica presenta molte difficoltà all’insediamento, è la definizione di un piano orizzontale o la conquista di un suolo piano, quale elemento connotativo di radicamento al luogo. L’edificio si costruisce attorno a un sistema geometrico che vuole, non solo tradurre le esigenze ambientali in una architettura rigorosa in grado di ottenere, con pochi segni, il massimo della performance energetica e di compatibilità con l’ambiente circostante, ma anche definire un nuovo rapporto con il luogo che non sia di semplice appartenenza linguistica. L’orientamento dell’edificio è caratterizzato da un allineamento con l’asse Nord/ovest Sud/Est sul quale si vanno ad impostare due muri (Nord Ovest) che, non solo servono come segni generativi di questo rifugio, ma vanno anche a costituire un basamento “forte” in grado di proteggere l’edificio dalle intemperie del clima severo della montagna. Dal lato opposto è stata realizzata una intercapedine che protegge la parte dell’edificio ipogea e dà luce ed aria a quelle parti che si troverebbero completamente interrate. Su queste riflessioni sono impostate le intenzioni progettuali di questa costruzione, localizzata a quota 1400 m. slm, in un complesso montuoso caratterizzato dalla presenza del Monte Penna. Sul serrato confronto tra strutture architettoniche ed ambiente si dà vita ad una riduzione linguistica e ad un’essenzialità formale, finalizzata a uno stretto dialogo tra la sagoma del costruito ed il crinale appenninico; l’intenzione progettuale è stata pertanto quella di delimitazione e definizione di un recinto, di un suolo piano ritagliato all’interno di un bosco di faggeti dove “posare” una sorta di capanna la cui forma semplice riprende l’archetipo della casa a due falde.
L’elemento generatore, che stabilisce l’ordine della composizione e che permette il passaggio dalla scala territoriale a quella dell’edificio, è il grande muro, perpendicolare ai percorsi pedonali, incastrato nella base. Esso diviene una quinta artificiale che dialoga con le quinte naturali costituite dalle alberature esistenti. Il rifugio – centro servizi si basa su pochi elementi semplici e simbolici: due volumi disposti su due livelli diversi, collegati tra di loro da una scala interna; al piano terra parzialmente interrato, è collocato il volume della cinta muraria, realizzato in pietra locale ed articolato in due ambiti funzionali: quello servizio-informativo e quello ristoro mentre al piano primo, sempre realizzato con il legno locale, è collocata la “capanna” destinata ad ospitare uno spazio collettivo. Il settore servizio-informativo, è articolato in un ufficio turistico di mq 16, una sala audiovisiva di mq 20, dove i turisti possono visionare filmati sulla flora e la fauna del Monte Penna prima di affrontare una escursione ed infine un piccolo deposito di mq 10 per le mountain bike. A fianco di questo settore è collocata la zona ristoro. Al piano primo è posizionato un volume a forma di “capanna”, un elemento collettivo, a servizio del rifugio e delle attività ad esso correlate. Vi si accede dall’interno del complesso attraverso una scala, posizionata nella zona ristoro, mentre dall’esterno tramite un sentiero in pioli di legno.

[photogallery]serpagli_album[/photogallery]
di Alberto Ferraresi

(Visita il sito della Comunità Montana Valli del Taro e del Ceno)
(Visita il sito del Comune di Bedonia – escursioni)
(Visita il sito del Simposio Internazionale di Scultura)

* Committente
Comunità Montana Valli del Taro e del Ceno, Parma
Faggio dei Tre Comuni, Bedonia
270 mq superficie complessiva
700 mc volume complessivo
2002-2003 progetto
2003-2006 esecuzione
Impresa Molinari Aldo s.a.s., Parma

commenti ( 13 )

22 Marzo 2007, 15:33

Andrea N.

Cosa succede alla “modernità” quando scende dalle lussuose navi in rotta verso la bianca Atene e decide di mettere gli scarponi per scalare le verdi vette della provincia? Il giovane Lucio Serpagli senza indugiare, con piglio severo e incantato, ci risponde che essa si trasfigura nell’archetipo rassicurante della capanna. Ma non quella tutta edenica del primo costrutture vitruviano, ne tantomeno quella cartesiana e a “fil di verzura” dell’abate francese, ma piuttosto quella più compatta e intessuta di materia del teorico tedesco. Peccato che di quest’ultima, il ben disegnato cottage-rifugio di Serpagli, non abbia quel tocco di esotica e ironica leggerezza che in questi casi, di revival, non guasterebbe (ma la committenza segue altre strade).
Saluti ci vediamo in “vasca” in città!

22 Marzo 2007, 19:55

damiano.s

Vedrei la Modernità alla deriva nell’Egeo piuttosto che in rotta sulle lussuose barche, e quest’opera equilibrata, armoniosa e contemplativa è come un timido riappropriarsi della poetica, un esercizio montano di sobrietà.
Sobrietà che vorrei anche in pianura….

24 Marzo 2007, 09:59

Alberto Ferraresi

Sì, condivido il parere di Damiano. La semplificazione formale è frutto da un lato della volontà di eliminare vari orpelli decorativi che possano sovrapporsi all’architettura, dall’altro un modo rispettoso di inserirsi limpidamente in un contesto dai valori espliciti. In questa ricerca di riduzione all’essenziale e su questo sfondo paesaggistico così importante i contenuti solidi di progetto emergono con maggiore chiarezza. Condivido anche il richiamo ai modi d’intervento soliti di pianura (padana) in cui vivo. Non vorrei che fosse proprio questa perdita di riferimento paesaggistico forte con cui confrontarsi nelle fasi di progetto ad indurre più o meno consapevolmente alla ricerca della non-sobrietà, di qualcosa di forzatamente eccezionale. Al contrario forse proprio la costante orizzontale della pianura dovrebbe spingere i progettisti a raccogliere la sfida più grande e difficile della ricerca d’equilibrata eccezionalità che ogni progetto per le sue peculiarità reclama, ma entro i margini sottilissimi che questa linea infinita d’orizzonte propone.

24 Marzo 2007, 22:12

Andrea N.

(Penso che sia banale ricordare che gli amici non vanno incensati ma provocati a fare sempre meglio, anche a rischio di essere volutamente poco generosi con le loro opere , e Lucio sà cosa voglio dire).
Per quanto rigurada invece le strenue difese dell’ormai melanconico “less is more” declinato negli ultimi anni dai “silenzi eloquenti” di chi rinnega le passate militanze tipologiche, o molto più semplicemente da chi si è ormai arreso agli appaganti estetismi del neo-minimalismo imperante, nell’era della fuga delle idee per quieto vivere, non risponderò rispolverando i datati sogni di evasione di massa negli spazi ipertrofici di messaggi, contenuti nelle invivibili architetture cartonate degli anni del “post”, ne tanto meno mi appellerò ad un non ben chiaro concetto di paesaggio, così difficile da afferrare senza cader preda delle illusioni romantico-bucolico-ecologiste di una natura che non c’è più, ma piuttosto farò appello, cercando di superare quella “politicamente corretta” linea d’orizzonte da tempo occultata dalle piccole o grandi cattedrali del lavoro agricolo, ai “sorvoli” dello spirito critico per restituire al progetto quella carica propulsiva in grado di mettere in discussione gli assetti consolidati, di una pratica disciplinare che sempre più oscilla tra fedeli integrati e anarchici e furiosi apocalittici, aprendoli alla logica, rischiosa ma appassionante, dei “mondi possibili” promossa solo dall’esercizio interpretativo e mai mimetico della realtà.

e, aspettando l’Aurora!…… avanti con la discussione………

26 Marzo 2007, 13:28

Alberto Ferraresi

Gentile Andrea, grazie della condivisione delle idee al blog.
Senza nessuna volontà di contraddittorio, ma solo per chiarire (anche a me) il mio parere: se c’è parziale intento provocatorio sulla base di conversazioni già attive, mi è difficile da esterno calibrare le risposte; non credo ci sia in chi scrive nè nel progettista alcun intento difensivo dell’intervento minimalista – se di minimalismo si trattasse non vedrei spazio nè per la polimatericità nè per le due falde – ma di riduzione a forme originarie sì da renderle maggiormente evocative; paesaggio e natura sono senz’altro oggi concetti vaghi ma in aree circoscritte, come in questo caso, esistenti nelle forme più tradizionali dei termini; riguardo l’orizzonte padano, non so se sia politicamente corretto, ma c’è e spesso chi progetta non ne tiene conto; circa infine ogni azione anche provocatoria che diriga in modo propulsivo allo scardinamento del consolidato ed alla sperimentazione sempre critica disciplinare mi allineo assolutamente in piena condivisione.

26 Marzo 2007, 22:21

Alfonso Acocella

Saluti a chi tiene viva la fiaccola della conversazione on line.
Non latito la discussione che seguo come lettore, essendo al momento (anzi da tempo) impegnato – e stremato – sul fronte dello slargamento del progetto di Architetturadipietra.it che si muove verso l’attualizzazione di Lithospedia e al suo interno, in particolare, del progetto Pietre d’Italia a cui l’opera di Lucio Serpagli si offre attraverso una lucida e icastica testimoninza.

27 Marzo 2007, 09:30

Andrea N.

Come diceva “Eminentz” l’importante è far parlare di sè….e la piccola e calibrata dimora nel bosco di Serpagli c’è riuscita……
traguardo raggiunto!
Grazie a tutti i partecipanti dell’allegra e amichevole schermata

30 Marzo 2007, 08:36

Pietro Manfredi

Un buon giorno a tutti. Come nuovo arrivato nel Blog di Architettura di Pietra mi presento e ringrazio chi mi ha rivelato l’esistenza di questo vivace dibattito virtuale. Per farmi conoscere non mi lancerò, schiavo forse dell’insicurezza dell’esordiente, in ragionamenti troppo complessi. Una semplice considerazione allora, con l’ obiettivo di raccogliere i vostri pareri. Da subito sono rimasto attratto da un tema che, sempre meno dichiarato e presente nei progetti di architettura contemporanea, penso costituisca una delle essenze e dei motivi di ricchezza non solo dell’intervento qui illustrato e discusso ma dell’architettura in generale; mi riferisco a quello del progetto come gesto di appropriazione di un luogo. Sono il muro con il basamento ed il piano orizzontale che questo descrive ad attuare l’atto di acquisizione che ogni progetto dovrebbe porre a propria origine. Insomma, la mia impressione è che la vera architettura di questo rifugio stia proprio nel muro-basamento senza il quale la capanna lignea perderebbe gran parte del proprio potere evocativo o addirittura non potrebbe esistere come tale; e forse la sobrietà, la semplicità, la linea minimalista scelte dal progettista e da voi tanto sostenute o contrastate corrono proprio nella direzione di porre in rilievo ciò che concretizza il gesto architettonico primario: il muro appunto Che ne pensate?
Grazie

30 Marzo 2007, 22:35

damiano.s

Benvenuto Pietro!
Vorrei che mi spiegassi meglio cosa intendi per architettura che si appropria del luogo.
Detta così potrebbe essere più un disvalore che un pregio.
Non è forse il luogo, l’ambiente, il paesaggio a cui l’architettura deve appartenere?
Non siamo forse stanchi di architetture usate per sbalordire, ostentare, pavoneggiare?
Sul Gehry “Creatore di sogni” o sui decostruttivisti del’ultima ora è fin troppo facile lanciare invettive, ma l’ultima cantina-hotel di Gehry, Casabella 752, riesce a superare limiti che pensavamo raggiunti…

2 Aprile 2007, 06:42

Alberto Ferraresi

Caro Pietro, benvenuto al blog. Toccando il tema dell’appropriazione del luogo in relazione al muro credo proprio tu abbia colpito nel segno. Questo sia per la specifica attenzione dichiaratamente posta dal progettista in tutta la sua ricerca ai sistemi tipici d’acquisizione del suolo, sia perchè oggettivamente questo basamento murario su cui poggia il rifugio anche allude in certo qual modo agli esempi classici del tempio, recuperando i rapporti di una tipologia tra le più auliche e contemporaneamente salde nel patrimonio d’area italiana.

15 Ottobre 2009, 15:04

LUCA S.MARIA

TANTE BELLE PAROLE TANTI BEI PROGETTI MA IL RIFUGIO FAGGIO 3 COMUNI CON MIO GRANDE STUPORE STA LENTAMETE MA PROGRESSIVAMENTE DISGREGANDOSI,SCUSATE MA NON RIESCO A CAPIRE QUALCUNO PUO SPIEGARMI?

27 Settembre 2010, 13:54

luca tornolo

mi spiace vedere tanti soldi sprecati inutilmente come quelli fatti nel rifugio..attualmente ne stanno spendendo altri per portarci l’acqua e non solo…mi chiedo come è possibile che nessuno faccia niente per porre fine a questa opera oscena e mal progettata,sarebbe meglio abbatterla che spendere soldi di noi contribuenti….

30 Luglio 2011, 19:06

fabrizio

Domani 31 luglio si pone fine alla presunta inutilità di un’opera che presenta la sua eleganza e la sua empatia con il bosco circostante. Viene inaugurato il rifugio CAI che rappresenterà un riferimento per chi vive la montagna in sobrietà e senza eccessi.
Siete i benvenuti.

Leave a comment





stampa

torna su