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La manifattura degli alabastri di Volterra attraverso il XX secolo

Mascherone in Alabastro
Mario Urbani, mascherone in alabastro con finiture in metallo dorato, 1936

La grande crisi del XIX secolo
La fortuna che, dal 1850 al 1870, aveva accompagnato l’industria alabastrina cominciò a mostrare cenni di stanchezza a partire dal 1873, fino a sfociare nella generale crisi del settore che dal 1879 accompagnò l’alabastro fino all’inizio del nuovo secolo. Artigiani, commercianti e studiosi hanno espresso il loro giudizio in merito: fattori di crisi economici esterni alla particolare realtà litica del volterrano o deficienze nella qualità produttiva ed organizzativa, tendono a confondere le reciproche responsabilità.
Nel Maggio del 1879 venne istituita una commissione, con a capo il cav. Ricciarelli, avente il compito di giudicare alcune proposte sorte al fine di riordinare e migliorare la lavorazione della pietra di Volterra. I progetti presentati furono cinque: proibizione dell’esportazione della materia greggia, formazione di un unico grande deposito, di una fabbrica unica o comunque di una sorta di “lega” che riunisse fabbricanti, lavoranti e viaggiatori furono i temi principali, presentati nell’ottica di una nuova generale regolamentazione che riportasse l’equilibrio perduto nella produzione e nei commerci dell’industria volterrana1.
Queste proposte, spesso lontane dalle vere esigenze della classe artigiana, nel 1881, grazie all’opera dell’allora Sindaco di Volterra Maffei, portarono alla formazione di un primo Magazzino di Deposito2 che per i successivi quindici anni3 sviluppò una politica di sovvenzionamento della produzione più scadente, e dell’assorbimento di eccedenza di mano d’opera. L’operazione non ebbe molto successo, soprattutto per il fatto che non vennero dati limiti alla produzione e non venne creato un vero e proprio monopolio di acquisto, cosa che portò gli artigiani ad una sovrapproduzione di oggetti di basso costo e qualità, da poter vendere sia al “magazzino” che direttamente ai commercianti.
Ad eccezione di alcune botteghe come quelle di Giuseppe Bessi, Giovanni Topi e le fabbriche Mancini e Bolognesi, l’attività di questi anni si spostò verso una produzione di oggettistica scadente di gusto popolare, che pur non riducendo la quantità di merce prodotta e venduta, andò ad intaccarne il valore e la qualità.

La nascita della Società Cooperativa Artieri dell’Alabastro
Nel 1890, la crisi iniziò gradualmente a scemare. Negli ultimi anni il panorama dell’artigianato alabastrino si era gradualmente trasformato: la produzione stava ritornando alla tradizione delle botteghe artigiane ed il sistema commerciale dei “viaggiatori” stava perdendo la sua importanza.
Lo scenario produttivo rimaneva comunque debole, il pericolo di un imminente crollo portò presto i lavoranti ad esternare una seconda volta la necessità di riunirsi in un unico ente che ne salvaguardasse gli interessi e che contribuisse alla fortuna dei manufatti. Fu quindi nuovamente costituita una commissione atta allo studio di nuove dinamiche commerciali per il risollevamento dell’industria: questa, denominata “pro-alabastro”, grazie in particolare alla partecipazione di Onorato della Maggiore, un tempo intraprendente viaggiatore, portò alla formazione di una nuova società avente lo scopo di creare un monopolio della produzione: “Un magazzino unico al quale soltanto gli operai dovrebbero vendere i loro prodotti e dal quale soltanto i commercianti dovrebbero comprare la merce”4. Nacque così la Società Cooperativa Industriale degli alabastri, che si formò il 25 febbraio 18955 attraverso la disponibilità di un ingente capitale costituito dalla collaborazione degli stessi soci con il Comune di Volterra.
Solo dieci mesi più tardi la Cooperativa sembrava però già avviarsi al termine a causa della irrisorietà del capitale disponibile, della mancanza di una buona organizzazione di vendita e del controllo della materia prima. Fu Enrico Barbafiera che riuscì in extremis a salvare questa importante risorsa per l’industria volterrana: nel maggio 1899 questa si potè dire “fuori pericolo” grazie ad un ritorno ad un regime misto, alla diminuzione del numero dei soci, ad un considerevole ampliamento dei mercati esteri ed al rinnovo della produzione. Oltre ad un incremento delle opere scultoree, vennero introdotti nuovi modelli; in particolare la riproduzione di elementi architettonici come balaustri e colonne suscitò nuovo interesse da parte del pubblico.

Lampada in alabastro
Ruggero Merlini, lampada in alabastro. 1925 c.
(foto tratta da: M. Cozzi, Alabastro – Volterra dal Settecento all’Art Deco, Cantini ed., Firenze, 1986)

1900-1929: un trentennio di prosperità
L’inizio del nuovo secolo riportò vigore alla manifattura alabastrina; grazie in gran parte al contributo della Società cooperativa, nel 1904 circa, la crisi potè dirsi superata. La città di Volterra tornò a vivere del proprio artigianato, scaduto però in una produzione dozzinale di qualità mediocre che un articolo della rivista volterrana Emporium6 bene descrive: una cittadina dedita alla lavorazione del principale materiale donatole dalla propria terra, che ha pressochè abbandonato la produzione degli importanti oggetti artistici del diciannovesimo secolo, dando quasi esclusivo spazio ad una oggettistica da scrivania, a grossolane riproduzioni di personaggi storici ed elementi architettonici decorativi.
È sulla qualità dei manufatti che si comprese dover lavorare e progredire, per potersi assicurare una continuità nel ritrovato benessere; in primis, quindi, si doveva puntare alla “formazione”. Dal 1885 circa era maturata l’idea di una vera e propria scuola d’arte applicata all’industria, solo nel 1891 però questa assunse forma concreta con la nomina di tre principali insegnanti7. Fu in particolar modo Giuseppe Bessi che, direttore della scuola fino al 1910, ed insegnante fino al 1922, venne denominato “il Maestro”, divenendo una delle figure centrali della realtà volterrana di questi anni che, incentrando la propria attenzione sulla scultura a discapito dell’oggettistica, riuscì ad orientare il gusto della manifattura alabastrina per circa vent’anni. “Un percorso il suo, che, attraverso la particolare rapidità del modellato in gesso, il gusto nel fermare l’espressione all’istante, lo conduce ad un manierato impressionismo, ai primi del Novecento, tangente all'”arte nova”, ad un Liberty baroccheggiante8.
Nuovo interesse ed impegno che, con nuova intraprendenza portò ad impreviste fortune commerciali ed al riavvicinarsi alle principali Esposizioni Nazionali ed Internazionali9. Nonostante ciò si decise, nel 1906, di organizzare un’esposizione volterrana, che ebbe grande successo per l’indirizzo artistico che si andava affermando. La qualità dei prodotti subì un notevole progresso, informata spesso da stilemi provenienti dai nuovi movimenti culturali ed artistici che si svilupparono a livello nazionale durante i primi due decenni del secolo. Questi furono quindi caratterizzati dal continuo incremento delle vendite e dal generale miglioramento della produzione, che raggiunse tutto il mondo.

Vaso in alabastro
Angelo Mangiarotti, vaso in alabastro

Alabastro e design
Sul fronte dell’oggetto e del disegno industriale sembrava però mancare una guida; la produzione rimaneva legata all’ampio campionario esistente senza nuovi impulsi sperimentali. Ne è dimostrazione la difficile storia di Luigi Mengoli, abile ornatista, che nel 1910 subentrò con non poche difficoltà, alla direzione della Regia Scuola d’Arte applicata all’Industria. Ostilità nei confronti del Mengoli in realtà non troppo fondata, visto alcuni pregevoli lavori realizzati da lui e dai suoi pochi allievi che, seguendo una ormai inusitata linea ornatista, oltre a sperimentare nuove forme, testavano l’abbinamento dell’alabastro con altri materiali quali il ferro battuto, il bronzo ed il legno.
Gli anni ’20 riportarono comunque un certo interesse anche nei confronti dell’oggettistica. Importante fu un nuovo utilizzo dell’alabastro per l’illuminazione: plafoniere e diffusori per lampade elettriche realizzate con la pietra della castellina, che grazie alla sua trasparenza, si adattava egregiamente al nuovo impiego, contribuirono all’ampliamento degli orizzonti dell’industria alabastrina.
La manifattura volterrana continuava comunque a faticare nella ricerca di un vero e proprio rinnovamento linguistico. Colta dalla grande crisi del 192910 e dalla successiva inerzia del periodo bellico, la lavorazione stentò a risollevarsi negli anni a seguire.
Per quanto riguardava la ricerca di nuovi linguaggi, sporadici tentativi di risollevamento vennero fatti nei successivi decenni: dalla Triennale delle Arti Decorative di Monza del 1930, all’importante contributo dato da Umberto Borgna che, primo “designer” dell’alabastro, divenuto direttore tecnico-artistico della Cooperativa, dal’33 al 1940 partecipò in maniera determinante all’innovazione del linguaggio, recuperando l’uso delle pietre locali ritenute meno pregiate e studiandone nuovi abbinamenti e tecniche di lavorazione, per la creazione di manufatti di qualificata fattura ma di facile commercializzazione.
Una nuova fortuna degli anni Cinquanta sfociò nel boom produttivo degli anni Settanta, che presto riportò alla ricerca di nuove tipologie al servizio della qualità. Nel 1974 venne fondato il Consorzio Produttori dell’Alabastro con lo scopo di promuovere lo studio di nuove collezioni, venne creato un marchio di garanzia e, grazie al contributo della Cooperativa Artieri dell’Alabastro, ancora alla base di questa realtà produttiva, si cercò una nuova volta di sperimentare lessici innovativi per questo materia litica, attraverso la partecipazione di importanti designers.
La Società Cooperativa trovò nell’architetto milanese Angelo Mangiarotti la disponibilità alla ricerca di nuovi linguaggi11, il quale progettò e realizzò, insieme alla collaborazione degli artigiani volterrani, le interessanti collezioni “Élia” ed “Axia” che, pur portando nuovo gusto e raffinatezza all’oggetto in alabastro, non riscossero adeguato successo da parte del pubblico, che necessitava di prodotti maggiormente commercializzabili. Pur nell’aggravarsi della crisi, nuove collezioni di design vennero create negli anni successivi, importanti artisti come Ugo La Pietra, Carla Venosta, Elio di Franco e Prospero Rasulo, ispirati dal fascino della pietra volterrana, crearono interessanti oggetti che contribuirono quanto meno allo sviluppo culturale della realtà litica del territorio.

Sara Benzi

Vasi in alabastro
Angelo Mangiarotti, vasi in alabastro


Note
1 E. Fiumi, a p. 76 di La manifattura degli alabastri, (Nistri-Lischi ed., Pisa,1980) scrive: “le condizioni dell’industria andavano continuamente peggiorando. Quasi tutte le fabbriche furono costrette a chudere, determinando un numero impressionante di disoccupati, che provocarono seri tumulti”.
2 Questa società, organizzata in forma di cooperativa, era nata come tramite fra artigiani e commercianti, in maniera tale che le botteghe potessero sottrarsi dalla necessità di sottostare alle dinamiche di acquisto di commercianti privi di scrupolo.
3 La Società si sciolse il 26 aprile 1896.
4 M. Cozzi, Alabastro – Volterra dal Settecento all’Art Deco, Cantini ed., Firenze, 1986, p.128.
5 La Cooperativa venne avviata sotto la presidenza di Giulio Bianchi, accogliendo 472 operai e 35 apprendisti.
6 Aracne, “Gli alabastri di Volterra”, in Emporium, XXI,1905, pp. 460-471.
7 Giuseppe Bessi per disegno, figura e plastica; Amaddio Vignali per disegno architettonico e pittura decorativa; Antonio Pellicci per ornato.
8 M. Cozzi, op.cit., 1986, p.142.
9 Nel 1925, all’Esposizione Internazionale di Arti Decorative Moderne di Parigi, oltre alla partecipazione di alcune industrie volterrane, vengono presentate pregevoli opere di design che denotano un possibile salto qualitativo dell’utilizzo del materiale. Architetti e designers quali Louis Süe, Andrè Mare, Jaques- Emile Ruhlmann, Paul Follot e Pierre Chareau, presentano una ricca collezione di apparecchi d’illuminazione dove l’alabastro dialoga in maniera magistrale con argento, bronzo e ferro battuto.
10 Svariati articoli della rivista volterrana Il Corazziere, testimoniano la grande crisi che l’industria alabastrina attraversò nel corso degli anni Trenta.
11 A proposito delle collezioni di Mangiarotti, nella rivista “Casa” (n.3/1983), Carlo Santini scrisse l’articolo: Un Nuovo Destino per l’Alabastro.

Biobliografia:
– M. Cozzi, Alabastro – Volterra dal Settecento all’Art Deco, Cantini ed., Firenze, 1986
– Enrico Fiumi, “Il cinquantenario della Società cooperativa degli alabastri di Volterra (1895-1945”), in Rassegna Volterrana, XVII, 1946, pp.41-54.
– E. Fiumi, La manifattura degli alabastri, Nistri-Lischi ed., Pisa, 1980
– B. Hartmann, L’alabastro tra arte e produzione di massa –Storia di un artigianato artistico a Volterra, Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A., Pisa, 1993
– Articoli vari di Il Corazziere, anni 1932-1933.

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