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Casa Santilli a Blera (1992-1995)* di Elio Di Franco

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Casa Santilli
Casa Santilli a Blera

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“Sintetizzare in pochi segni l’architettura, affinchè diventino elementi ordinatori nel paesaggio, senza interferire con esso. Due muri paralleli in tufo contengono l’abitazione (…). Radicarsi alla terra optando per l’orizzontalità, scavando una corte ipogea delimitata da un muro curvilineo e da una rampa d’accesso al livello interrato. Un’architettura parzialmente “sommersa”.Un mimetismo che si concreta nella radicalità della geometria elementare. Utilizzare i materiali della tradizione locale.
Il tufo di Civita Castellana lasciato a vista: poroso, irregolare, scabro. Scelto per la sua espressività, per l’evidenza materica, per stemperare il rigore dei muri rettilinei con calcolata imprecisione di dettaglio”1.
Così, semplicemente, lo stesso Elio Di Franco descrive il progetto di casa Santilli, residenza unifamiliare immersa nella campagna viterbese. L’architettura è sostanziale, sobria, fortemente comunicativa e perfettamente intelligibile: chiara è la distribuzione delle funzioni e degli spazi residenziali posti in sequenza tra i due setti murari paralleli; evidente è la macchina strutturale composta dalle murature e dall’orditura lignea del tetto; sincero è l’uso dei materiali, il tufo pozzolanico, il legno di castagno, il laterizio dei coppi, il travertino delle pavimentazioni.
Oltre ad avvolgere gli interni domestici, i muri si prolungano per delimitare una zona pranzo all’aperto e un giardino privato quale prolungamento delle camere da letto; a delineare una “trama aerea” è posta, su tali spazi interesterni, la scansione delle capriate e dei travicelli del tetto, qui privati del manto di copertura, che prosegue ritmando una sorta di pergolato, una gabbia lignea che proietta la sua ombra mutevole sulle testate dell’edificio.
L’immagine della casa si delinea con questi pochi tratti salienti: al paesaggio rurale, alla sinuosità della sua orografia e alla calda amalgama di colori delle sue terre, si aggiungono solo i muri isodomi coperti da un unico lungo tetto a due falde. Ed è la presenza del cotto in copertura e ancor più quella del tufo locale, con il suo colore bruno rossiccio, a compartecipare dei caratteri cromatici più propri di questo angolo della Tuscia etrusca.
I blocchi tufacei che formano un dispositivo murario regolare sono tutti di uno stesso formato, delle stesse proporzioni del mattone pieno tradizionale ma di dimensioni ingrandite, e danno vita ad una tessitura di ricorsi che enfatizza lo sviluppo orizzontale delle pareti portanti protagoniste indiscusse dell’idea progettuale. I conci lapidei sono resi solidali da abbondanti letti di grigia malta cementizia. A marcare ulteriormente la struttura di una compagine muraria stratificata per fasce orizzontali è una profonda stilatura arretrata dei giunti paralleli al terreno che crea una teoria di linee d’ombra intercalate, ogni quattro filari di blocchi, da sottili liste di intonaco a coccio pesto.
Su questi piani murari, così delicatamente definiti nelle loro qualità di superficie, nelle loro valenze materiche e luministiche, Di Franco impagina un’elegante composizione di piccole feritoie e di ampi tagli finestrati con cui la casa si apre all’esterno.

Davide Turrini

Note
*Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624. http://architetturapietra2.sviluppo.lunet.it/libro/
1 Elio Di Franco, Scheda di progetto (dattiloscritto inedito), s.d., p.1.

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