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Casa Alessi sul Lago Maggiore (1989)
di Aldo Rossi*


Veduta del Lago Maggiore (foto: Alfonso Acocella)

“Aldo Rossi era un laghista come me, amava ritirarsi a meditare e scrivere in una vecchia casa di famiglia sul Lago di Mergozzo, e questo ha facilitato i nostri primi rapporti nella primavera del 1980. Ha disegnato alcuni degli oggetti più rappresentativi degli anni ottanta (…) e questo facendo design come un hobby, attratto sempre dalla sua amata architettura costruita…”.1
Nel ricordo di Alberto Alessi è vivo il rapporto stretto che legava Aldo Rossi al paesaggio e alla cultura architettonica dei laghi lombardi sulle cui rive sorgevano ville romane e oggi, accanto a veri palazzi aristocratici quali Villa Borromeo, si trovano le fantasiose case di villeggiatura della piccola borghesia; quei laghi descritti appunto dallo stesso Rossi come “museo delle diverse esperienze architettoniche”.
Ed è a Suna di Verbania, con la realizzazione di una villa sulla sponda settentrionale del Lago Maggiore, che culmina il rapporto professionale tra il maestro e la dinastia degli Alessi, produttori di oggetti per la casa. L’architettura è fatta di grandi volumi essenziali, nettamente definiti ed accostati in un esercizio compositivo che distilla gli elementi fondanti delle romantiche residenze patrizie ottocentesche, affidandosi ad un misurato eclettismo di linguaggi e materiali.
La struttura dell’edificio è costituita da setti murari in pietra, costruiti secondo l’antica tecnica dei muri di “scagliola”. Questa lavorazione, oggi abbandonata, ritorna nelle ville attorno al lago ma affonda le sue radici in una tradizione costruttiva ben più antica, di lunga durata, che ha visto i contadini e gli artigiani dell’Alto Verbano e della Val Sesia dediti a realizzare le loro case, durante i mesi invernali, con gli scarti avanzati dal taglio dei grandi blocchi di granito cavati durante la buona stagione.
Nella fitta tessitura di questi muri, scaglie sottili di diverse forme, lunghezze e varietà cromatiche, si stratificano conferendo alla compagine muraria, pur eterogenea per quantità e qualità dei componenti, una sorta di omogenea pietrificata compattezza dalla superficie solo lievemente increspata. I materiali litici utilizzati sono molteplici: il granito Montorfano, il Baveno, la beola, il serizzo, nelle loro colorazioni plumbee, grigio argentee o a tratti sfumate di ocra gialla. Nel portale d’ingresso alla villa è ancora il granito, in forma di rocchi, a costituire le possenti colonne di un elementare “trilite” con architrave metallico: incisiva evocazione di un puro meccanismo statico.
Con pezzi speciali di laterizio, cotti nelle fornaci toscane dell’Impruneta, sono realizzati poi i balaustrini torniti e le colonne di impianto ottagonale del triplo ordine di logge aperte verso il lago. Nell’applicazione del laterizio, utilizzato anche nelle insolite cornici plastiche che al contorno delle finestre emergono dal piano murario litico, si fa ancora evidente l’ispirazione alla cultura architettonica del luogo e questa volta la fonte dichiarata dal maestro è quella delle sculture in terracotta del complesso processionale del Sacro Monte.


Vista della villa dalla strada (foto: Alfonso Acocella)
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Il riferimento all’architettura storica è ribadito nel corpo centrale della villa, nel trattamento degli spigoli della scatola muraria con il tradizionale motivo dei conci di pietra a corsi sfalsati, sistematicamente applicato a partire dai primi modelli palaziali del rinascimento italiano. Ma la citazione è sempre velata di ironia, ribaltato rispetto alla consuetudine appare infatti il rapporto tra la “finitezza” e la ruvidità delle diverse superfici architettoniche: laddove la tradizione affidava alla rusticità del materiale litico la comunicazione di un’idea di possanza degli spigoli che delimitavano campi murari fatti di pietre spianate o lisciati dall’intonaco, qui i corsi sfalsati sono un puro disegno dentellato fatto di conci bianchi e piatti che chiudono ai lati superfici granitiche a vista, vibranti per grana e cromia differenziata.

Davide Turrini

Note

*Il saggio rieditato è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
http://architetturapietra2.sviluppo.lunet.it/libro/
1Alberto Alessi, La fabbrica dei sogni. Alessi dal 1921, Milano, Electa, 1998, p. 52.

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