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Contemporaneità della caverna


Caverne a Matera (foto Alfonso Acocella)

Caro Alfonso,
Calces, libera associazione per la valorizzazione del centro storico di Calitri (Av), il 15 ottobre 2005 ha festeggiato il restauro di una caverna. L’evento muoveva le mosse da un brano di Bruno Zevi:

“Paradossalmente, si potrebbe affermare che, sotto il profilo linguistico, l’uomo moderno, in modo consapevole o inconscio, aspira a tornare all’esperienza cavernicola.
Infatti la caverna: non ha la facciata. Non sente il bisogno di chiudersi dietro un muro, si spalanca verso l’esterno. Oggi si mira ad aprire il “dentro” verso il “fuori”, magari schermandolo con lastre trasparenti; non distingue tra pavimenti, pareti e soffitti. Esalta la continuità che fascia lo spazio, senza tentare di inscatolarlo; non omologa le luci. Le capta, le filtra, le possiede, le gestisce, rifrangendole in ogni direzione su rozzi macigni; trionfa nei suoi spessori. Ovunque troviamo spacchi, buche, ferite e lacerazioni, dislivelli ossessivi. Si sale e si scende, non si cammina mai in piano. Ignorati gli angoli retti come gli insulti purismi accademici; non ha volume. Non posa sulla terra, le appartiene e vi si mimetizza….ma le caverne sono intrinsecamente diverse una dall’altra, autonome, scevre di modelli.
Tale è il “grado zero”, grammaticale e sintattico, della scrittura preistorica. Si dirama nelle capanne, nelle stazioni palafitticole, nelle strutture abitative dei nomadi, nei villaggi dei trulli e negli sbalorditivi scenari di Matera.”1

La caverna è fatta, all’ingresso, da pareti e volte in muratura di pietrame; il pavimento di pietra calcarea, il soffitto ha l’altezza di circa 4 ml. Nella parte retrostante, la muratura non esiste più.
I proprietari per i motivi più vari, nel corso dei secoli hanno eroso il tufo e ne hanno ricavato un anfratto. Il visitatore può osservare il vuoto spaziale modellato da grossi macigni che si tengono un l’altro, a conformare una specie di emisfera fatta di protuberanze e concavità. Predominano, così, i valori tattili e figurativi informali. Egli si sente ricoperto da una crosta di materiale spesso, denso e scuro, quasi immerso in una placenta primordiale.
Dal fondo dell’antro, lungo circa 20 metri, guardando verso l’ingresso, si nota la luce filtrare dall’esterno, che poi viene rifratta sugli spigoli irregolari delle pareti.
In tal fatta, il rimando a mondi primordiali o favolistici diviene ancora più intenso e ognuno può fantasticare la presenza di personaggi mitici o letterari.
Calces ha inteso celebrare a nuova vita questa caverna, ricavata nelle viscere del centro storico di Calitri, nei pressi dei palazzi Zampaglione e Berrilli, e rendere evidente una contrapposizione tra il mondo accademico delle fabbriche nobiliari e un’architettura drammaticamente moderna.
Penso, però, che il tuo libro non dia spazio sufficiente a questa architetture di pietra, realizzate per sottrazione, le cui origini si perdono nel tempo.
Manfredi Nicoletti, tempo fa, scrisse uno splendido libro sull’argomento (L’architettura delle caverne, Laterza 1980) in cui tra l’altro afferma: “Queste strutture annegano in un universo formale che programmaticamente rifugge da certezze: un paesaggio roccioso, scolpito in modi “sapientemente caotici” e naturalmente “ordinati”. Nella sua figurazione e contenuto, esso può interpretarsi come summa allegorica dei più veritieri caratteri del nostro pensiero. ”

Peppe Piumelli

1 Bruno Zevi, Controstoria dell’Architettura in Italia. Preistoria e Alto Medioevo, Tascabili Economici Newton. Prima edizione luglio 2005, pagg. 10-12.

commenti ( 3 )

28 Giugno 2006, 11:03

Giusepp Lorenzi

Bellissima la possibilità di riportare alla vita una caverna (ammesso che la vita l’abbia mai persa) scoprirne i segreti toccarne le superfici, ma soprattutto riprenderne possesso in quanto utero primordiale. Ciò rappresenta una grande possibilità di riavvicinamento alle proprie vere radici. In realtà credo che la caverna simboleggi soprattutto quell’utero terrestre dal quale ci siamo enormemente allontanati, la costruzione d’edifici sempre più grandi e soprattutto sempre più alti, non credo possa assolvere il ruolo protettivo al quali ogni uomo inconsciamente tende ad avvicinarsi, se le nostre radici devono idealmente affondare nella profondità della terra per trarne energia e nutrimento è altrettanto vero che la nostra parte più spirituale e creativa deve tendere a collegarsi a quel cielo che ci ispira e inspira. Viene però da chiedersi se l’eccessiva distanza fra il basso e l’alto non provochi uno scompenso nel quale l’uomo si trova sospeso incapace di unirsi ai due elementi primari e conseguentemente fra se e gli altri, aumentando quindi ulteriormente ogni distanza. Come si afferma nei vari trattati di medicina e filosofia cinese, l’uomo nasce fra l’incontro di terra e cielo senza i quali esso non può esistere. La caverna credo sia l’incontro condensato della terra (pavimento) e il cielo (soffitto) dei quali l’uomo prendeva possesso collocandosi al centro, quel centro che mi sembra sempre più mancante nelle relazioni odierne, siamo esse abitative od umane. Un’ultima cosa ancora, la caverna era momento d’unione e di racconto, i graffiti incisi sulle sue pareti rappresentavano un’arte naturale, semplice ma energeticamente ricca, potremmo dire che la caverna spesso diveniva inconsapevolmente una casa d’arte familiare e oggi che le nostre case si riempiono più di manifesti che d’opere d’arte sarebbe utile riappropriarsi di antiche abitudini, dando vita alle pareti e perchè no incidendo su di esse simboli e mondi di un inconscio e di una storia personale.

Giuseppe Lorenzi

28 Giugno 2006, 22:07

alfonso acocella

Dalla caverna alle cupole, in passo non sarà immediato nè veloce, ma alla fine l’apporto sarà romano (e quindi italico):
“Pseudocupole e rudimentali raccordi – evidenzia Sergio Bettini – esistevano, si può dire da millenni, nella pratica dell’umanità. Non poterono dunque nascere a Roma, perchè preesistevano alla stessa nascita di questa. Ma fu Roma a fare di questi elementi antichissimi, secolarmente spregiati, negletti dalla civiltà greca, il cardine di un nuovo linguaggio architettonico, atto ad esprimere la sua peculiare volontà di forma. (…) Con l’Impero di Roma tutto quell’immenso mondo, che l’Ellade aveva allontanato da sè mantenendolo in un limbo di "preistoria", irruppe entro gli argini della cultura – prese posto nella storia -, come un grandioso processo che durò poi per tutto il Medioevo.
Nell’architettura dell’Impero, si videro dunque affermarsi e potenziarsi pratiche tecniche come quella del cemento e schemi costruttivi come quelli dell’arco, della volta e della cupola: morfologie insomma e sintassi costruttive, per l’innanzi rimaste in margine alla storia dell’arte; e per tale via si vide costituirsi un linguaggio architettonico nuovo, del tutto non classico al senso greco, e di vitalità e coerenza non ancora esaurite. È chiaro che quel che con tale linguaggio s’esprime, è un senso formale che risponde ad una esigenza opposta alle regole del limite visibile greco: l’esigenza, anzi, di tendere e d’ampliare gli spazi interni degli edifici; la quale ha appunto come suo risultato di più elementare evidenza l’adozione di schemi non rettilinei come quelli della Grecia classica, ma curvilinei. Fin dalle origini l’intero organismo dell’edificio romano si viene configurando, anche nei riguardi delle planimetrie, in schemi dove prevalgono le linee curve, in costruzioni dove la copertura a volta è usata con una prevalenza, che diviene quasi una regola. È per rispondere a questo senso formale che Roma, invece di assumere e di potenziare il sistema della struttura trilitica, tanto più alla portata dopo l’immensa esperienza e l’esemplare insegnamento dei greci, va a raccogliere proprio negli oscuri, dimenticati recessi di una cultura rimasta per millenni sprovveduta e informe e non mai assurta a dignità di espressione artistica, gli elementi lessicali del suo linguaggio architettonico.” (1)

(1) Sergio Bettini, "Architettura romana e architettura ellenistica" p.5 in Lo spazio architettonico da Roma a Bisanzio, Bari, Dedalo, 1990 (ed. or. 1978), pp. 147.

7 Ottobre 2007, 18:52

anonimo

è bello il libro parla sopratuto di caverne. è bellissimoo!

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