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Produzione e cultura di prodotto 

SOFT-STONE. Fluttuanti spazi dedalici
Lo Stone Pavillon di Kengo Kuma per Il Casone al Marmomacc 2007

 

English version

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Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio: Narciso (1594-1596). Roma, Galleria nazionale d'arte antica

Il progetto è un viaggio, un'avventura. È come attraversare un confine sconosciuto avendo cura di dare coerenza alle scelte, ai movimenti, alle azioni. Il confine come condizione esistenziale entro cui si sviluppa l'azione prefigurata, finisce con assumere i caratteri di territorio liminare, luogo in cui diverse razionalità ed emozionalità agiscono, simultaneamente, secondo azioni dialetticamente orientate. Perchè è evidente che "le tecniche esecutive si presentano al fatto architettonico portatrici di quella struttura consistente dell'artefatto che non può essere disattesa, pena lo svuotamento, la banalizzazione dello stesso atto progettuale e creativo (...). La forma non ha mai un'assoluta libertà in quanto esiste, è pensata, manipolata, costretta ad esprimersi sempre a partire dalla natura della materia che la sostanzia"1
Ed è proprio alla materia e alle sue possibilità che vorrei ricondurre la "lettura" del Padiglione progettato da Kengo Kuma per Il Casone a Marmomacc. Se i materiali sono portatori di senso, di costruttività, di nessi combinatori, il lavoro architettonico compiuto da Kuma lo si può leggere proprio come un lavoro "sui materiali, a partire dai materiali".

softstone_2.jpg
softstone_3.jpg
Kengo Kuma & Associates, Stone Pavillion, Marmomacc, 2007

Nella sua configurazione il Padiglione è riconducibile a tre elementi fondanti: il pavimento galleggiante; il suolo labirinto; il celino specchiante.
Il piano di calpestio, una superficie litica vibrante di forma rettangolare allungata (13.0 m x 8.02 m), sviluppa una superficie di 104,26 mq ed è soprelevato di 20 cm circa. Composto da 900 lastre di pietra arenaria, della varietà 'giallo etrusco', il pavimento galleggiante è stato determinato, oltre che dalla necessità di integrare agevolmente l'impiantistica, dalla necessità di inglobare sotto il piano la fondazione continua del muro labirinto. La struttura del piano è formata da più livelli. Il primo, formato da pannelli di legno multistrato spessi 4 cm, è fissato su "piedi" d'acciaio regolabili, soluzione che agevola il controllo della complanarità. Sopra questo primo impalcato ne è disposto, sfalsandone opportunamente i giunti, un secondo realizzato con pannelli multistrato da 2 cm, sui quali sono fissati con silicone strutturale le lastre di pietra della pavimentazione. Gli elementi litici pavimentali, montati "a casellario, sono spessi 4 cm ed hanno una forma triangolare: base di cm 49,7 per altrettanti cm di altezza. Un giunto di 2 mm, a vista, separa lungo i tre lati lastre contigue.
In corrispondenza del muro labirinto gli elementi litici pavimentali sono realizzati con lastre di pietra serena larghe 23 cm e spesse 1,5 cm. Questa soluzione ha l'obiettivo di accentuare l'effetto di "galleggiamento" del muro, in ragione della diversa reazione della pietra alla luce. La varietà di pietra utilizzata, la grana, la geometria degli elementi, la tecnica con cui è stata lavorata, propone, per "assonanza", una continuità con la struttura in elevazione, con la tessitura a maglia triangolare. Il piano di calpestio è chiuso lungo il bordo da blocchi di pietra massiccia, che accolgono le lastre perimetrali entro apposite cavità. Le 900 lastre che configurano il piano sono state realizzate tutte con un processo di produzione artigianale, pezzo per pezzo. Questa scelta più che da necessità tecniche è derivata dalla volontà di "imprimere" sulla materia i segni del processo di trasformazione manuale. Superficialmente le lastre sono state levigate, lasciando in evidenza le piccole "imperfezioni", mentre lungo i tre lati è stata realizzata una bisellatura a mano.

softstone_4.jpg
softstone_5.jpg
Kengo Kuma & Associates, Stone Pavillion, Marmomacc, 2007

In continuità con l'idea di labirinto, che alimenta un'ambigua percezione dello spazio "sfondato", il "celino specchiante" produce un'ingannevole duplicazione dello spazio attraverso un artificio tecnico. Il soffitto a specchio è costituito da un pannello sandwich di circa 3 cm di spessore, su cui è disposta una pellicola di poliestere metallizzato. Tale pellicola ha qualità ottiche riflettenti in ragione anche del suo esiguo spessore (25 micron); qualità che si somma alle caratteristiche di sicurezza (prodotto ignifugo di classe 1), di facile manutenibilità e di riuso quasi totale dell'intero sistema. Il piano al quale è ancorata la "pellicola riflettente" è realizzato con legno multistrato, spesso 4 cm, irrigidito da una sovrastruttura di listelli di legno a sezione rettangolare di dimensioni 4 x 20 cm, disposti a maglia triangolare secondo un modulo di 120 x 120 cm. Il celino è ancorato in 15 punti ad una struttura di metallo formata da tre travi a sezione rettangolare di dimensioni 4 x 18 cm.
Nel soffitto sono integrati anche i corpi illuminanti, dislocati in corrispondenza del banco-reception e dei tavoli. I proiettori utilizzati sono del tipo ARC 1T1191 equipaggiati con lampade da 50 watt a bassa tensione, prodotti da Targetti. La soluzione con riflettori a vetro aperto è stata scelta anche per la posizione arretrata delle lampade che li caratterizza, dislocazione che garantisce una bassa luminanza. La distribuzione della luce e l'intensità massima dipendono, oltre che dalla potenza e dall'apertura di fascio, dalla bassa luminanza fornita dalla lampada alogena "dicroica". L'effetto di luce "morbida", calda, avvolgente, esalta le lunghe ombre, le sfumature, le tonalità cromatiche severe delle pietre. Analogamente al celino, anche nel pavimento galleggiante sono stati integrati alcuni corpi illuminanti: proiettori Exterieur Vert – Phenix equipaggiati con lampada alogena da 50 W. L'intensità della luce, degradante verso l'alto, produce alla base del muro una sorta di "sbarramento", restituendo un effetto di "galleggiamento del muro" labirinto. La relazione/re-azione tra la materia litica" e la materia luminosa è sottolineata dalle lunghe ombre che attraversano le "aperture", delle infinite "cavità interstiziali".
La superficie specchiante sovrasta il muro labirinto senza mai toccarlo: 1 cm di vuoto corre lungo tutto il perimetro. Questa soluzione produce un effetto di continuità delle pareti litiche, a tratti deformate, con uno sfondamento e un'amplificazione di senso delle stesse, in ragione anche della fluttuante percezione degli elementi fisici. La realtà e il suo doppio generano un senso d'indeterminatezza, di sospensione, di fluidità. Spazio reale e spazio virtuale si con-fondono dando luogo ad una "spazialità indefinita". Del resto il concetto di labirinto che ha governato ed orientato tutto il percorso progettuale conteneva in sè questo particolare germe. Labirinto deriva dal greco làbiros, cavità, ma esprime anche "dualità primordiale", elemento di connessione tra microcosmo e macrocosmo, tra cielo e terra. Simbolo, porta d'accesso ad una dimensione profonda: viaggio conoscitivo dentro se stessi. Il celino specchiante, come l'immagine di Narciso riflessa sull'acqua, ci "proietta altrove", ci svela un'identità nascosta, un'alterità, proprio come in uno "specchio
dell'anima", il doppio si materializzata attraverso le "proiezioni d'ombra", nella relazione che la materia vibrante intrattiene con la luce, con la sua immagine riflessa: alle pietre saldamente radicate al suolo fa da contrappunto l'ingannevole elevazione verso il cielo delle stesse. Ogni ordine sembra essere sovvertito, violato. L'immagine riflessa ci rivela, improvvisamente, l'ambigua forma della trama litica; trama mai certa, mai fissamente esplicitata. Artificiosità, stratagemma, intelligenza, ingegno, astuzia, furbizia, la tecnica tradotta in "inganno" si dà come prima formulazione di senso, logos. Alla visione diretta, univoca del mondo, Kuma preferisce una molteplicità di possibili significati, un'esperienza emotiva che attraversa ragione e passione, intuizione e sentimento, realtà ed immaginazione. Perchè "l'architettura è solo lo strumento attraverso il quale cerco di 'rivelare' un luogo"2.

Luigi Alini

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Vai a Kengo Kuma & Associates
Vai al sito Casone
Vai a SOFT-STONE. Origami di pietra
Vai alla Photogallery realizzata da un visitatore

Note
1 Alfonso Acocella. "Progettare in pietra. La costruzione fra tradizione ed innovazione"
2 Dichiarazione resami da Kengo Kuma durante un recente colloquio a Napoli.

 

16 Ottobre 2007

commenti (7)

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Lo Stone Pavillon di Kengo Kuma per Il Casone al Marmomacc 2007

 

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Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio: Narciso (1594-1596). Roma, Galleria nazionale d'arte antica

Il progetto è un viaggio, un'avventura. È come attraversare un confine sconosciuto avendo cura di dare coerenza alle scelte, ai movimenti, alle azioni. Il confine come condizione esistenziale entro cui si sviluppa l'azione prefigurata, finisce con assumere i caratteri di territorio liminare, luogo in cui diverse razionalità ed emozionalità agiscono, simultaneamente, secondo azioni dialetticamente orientate. Perchè è evidente che "le tecniche esecutive si presentano al fatto architettonico portatrici di quella struttura consistente dell'artefatto che non può essere disattesa, pena lo svuotamento, la banalizzazione dello stesso atto progettuale e creativo (...). La forma non ha mai un'assoluta libertà in quanto esiste, è pensata, manipolata, costretta ad esprimersi sempre a partire dalla natura della materia che la sostanzia"1
Ed è proprio alla materia e alle sue possibilità che vorrei ricondurre la "lettura" del Padiglione progettato da Kengo Kuma per Il Casone a Marmomacc. Se i materiali sono portatori di senso, di costruttività, di nessi combinatori, il lavoro architettonico compiuto da Kuma lo si può leggere proprio come un lavoro "sui materiali, a partire dai materiali".

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Kengo Kuma & Associates, Stone Pavillion, Marmomacc, 2007

Nella sua configurazione il Padiglione è riconducibile a tre elementi fondanti: il pavimento galleggiante; il suolo labirinto; il celino specchiante.
Il piano di calpestio, una superficie litica vibrante di forma rettangolare allungata (13.0 m x 8.02 m), sviluppa una superficie di 104,26 mq ed è soprelevato di 20 cm circa. Composto da 900 lastre di pietra arenaria, della varietà 'giallo etrusco', il pavimento galleggiante è stato determinato, oltre che dalla necessità di integrare agevolmente l'impiantistica, dalla necessità di inglobare sotto il piano la fondazione continua del muro labirinto. La struttura del piano è formata da più livelli. Il primo, formato da pannelli di legno multistrato spessi 4 cm, è fissato su "piedi" d'acciaio regolabili, soluzione che agevola il controllo della complanarità. Sopra questo primo impalcato ne è disposto, sfalsandone opportunamente i giunti, un secondo realizzato con pannelli multistrato da 2 cm, sui quali sono fissati con silicone strutturale le lastre di pietra della pavimentazione. Gli elementi litici pavimentali, montati "a casellario, sono spessi 4 cm ed hanno una forma triangolare: base di cm 49,7 per altrettanti cm di altezza. Un giunto di 2 mm, a vista, separa lungo i tre lati lastre contigue.
In corrispondenza del muro labirinto gli elementi litici pavimentali sono realizzati con lastre di pietra serena larghe 23 cm e spesse 1,5 cm. Questa soluzione ha l'obiettivo di accentuare l'effetto di "galleggiamento" del muro, in ragione della diversa reazione della pietra alla luce. La varietà di pietra utilizzata, la grana, la geometria degli elementi, la tecnica con cui è stata lavorata, propone, per "assonanza", una continuità con la struttura in elevazione, con la tessitura a maglia triangolare. Il piano di calpestio è chiuso lungo il bordo da blocchi di pietra massiccia, che accolgono le lastre perimetrali entro apposite cavità. Le 900 lastre che configurano il piano sono state realizzate tutte con un processo di produzione artigianale, pezzo per pezzo. Questa scelta più che da necessità tecniche è derivata dalla volontà di "imprimere" sulla materia i segni del processo di trasformazione manuale. Superficialmente le lastre sono state levigate, lasciando in evidenza le piccole "imperfezioni", mentre lungo i tre lati è stata realizzata una bisellatura a mano.

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Kengo Kuma & Associates, Stone Pavillion, Marmomacc, 2007

In continuità con l'idea di labirinto, che alimenta un'ambigua percezione dello spazio "sfondato", il "celino specchiante" produce un'ingannevole duplicazione dello spazio attraverso un artificio tecnico. Il soffitto a specchio è costituito da un pannello sandwich di circa 3 cm di spessore, su cui è disposta una pellicola di poliestere metallizzato. Tale pellicola ha qualità ottiche riflettenti in ragione anche del suo esiguo spessore (25 micron); qualità che si somma alle caratteristiche di sicurezza (prodotto ignifugo di classe 1), di facile manutenibilità e di riuso quasi totale dell'intero sistema. Il piano al quale è ancorata la "pellicola riflettente" è realizzato con legno multistrato, spesso 4 cm, irrigidito da una sovrastruttura di listelli di legno a sezione rettangolare di dimensioni 4 x 20 cm, disposti a maglia triangolare secondo un modulo di 120 x 120 cm. Il celino è ancorato in 15 punti ad una struttura di metallo formata da tre travi a sezione rettangolare di dimensioni 4 x 18 cm.
Nel soffitto sono integrati anche i corpi illuminanti, dislocati in corrispondenza del banco-reception e dei tavoli. I proiettori utilizzati sono del tipo ARC 1T1191 equipaggiati con lampade da 50 watt a bassa tensione, prodotti da Targetti. La soluzione con riflettori a vetro aperto è stata scelta anche per la posizione arretrata delle lampade che li caratterizza, dislocazione che garantisce una bassa luminanza. La distribuzione della luce e l'intensità massima dipendono, oltre che dalla potenza e dall'apertura di fascio, dalla bassa luminanza fornita dalla lampada alogena "dicroica". L'effetto di luce "morbida", calda, avvolgente, esalta le lunghe ombre, le sfumature, le tonalità cromatiche severe delle pietre. Analogamente al celino, anche nel pavimento galleggiante sono stati integrati alcuni corpi illuminanti: proiettori Exterieur Vert – Phenix equipaggiati con lampada alogena da 50 W. L'intensità della luce, degradante verso l'alto, produce alla base del muro una sorta di "sbarramento", restituendo un effetto di "galleggiamento del muro" labirinto. La relazione/re-azione tra la materia litica" e la materia luminosa è sottolineata dalle lunghe ombre che attraversano le "aperture", delle infinite "cavità interstiziali".
La superficie specchiante sovrasta il muro labirinto senza mai toccarlo: 1 cm di vuoto corre lungo tutto il perimetro. Questa soluzione produce un effetto di continuità delle pareti litiche, a tratti deformate, con uno sfondamento e un'amplificazione di senso delle stesse, in ragione anche della fluttuante percezione degli elementi fisici. La realtà e il suo doppio generano un senso d'indeterminatezza, di sospensione, di fluidità. Spazio reale e spazio virtuale si con-fondono dando luogo ad una "spazialità indefinita". Del resto il concetto di labirinto che ha governato ed orientato tutto il percorso progettuale conteneva in sè questo particolare germe. Labirinto deriva dal greco làbiros, cavità, ma esprime anche "dualità primordiale", elemento di connessione tra microcosmo e macrocosmo, tra cielo e terra. Simbolo, porta d'accesso ad una dimensione profonda: viaggio conoscitivo dentro se stessi. Il celino specchiante, come l'immagine di Narciso riflessa sull'acqua, ci "proietta altrove", ci svela un'identità nascosta, un'alterità, proprio come in uno "specchio
dell'anima", il doppio si materializzata attraverso le "proiezioni d'ombra", nella relazione che la materia vibrante intrattiene con la luce, con la sua immagine riflessa: alle pietre saldamente radicate al suolo fa da contrappunto l'ingannevole elevazione verso il cielo delle stesse. Ogni ordine sembra essere sovvertito, violato. L'immagine riflessa ci rivela, improvvisamente, l'ambigua forma della trama litica; trama mai certa, mai fissamente esplicitata. Artificiosità, stratagemma, intelligenza, ingegno, astuzia, furbizia, la tecnica tradotta in "inganno" si dà come prima formulazione di senso, logos. Alla visione diretta, univoca del mondo, Kuma preferisce una molteplicità di possibili significati, un'esperienza emotiva che attraversa ragione e passione, intuizione e sentimento, realtà ed immaginazione. Perchè "l'architettura è solo lo strumento attraverso il quale cerco di 'rivelare' un luogo"2.

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1 Alfonso Acocella. "Progettare in pietra. La costruzione fra tradizione ed innovazione"
2 Dichiarazione resami da Kengo Kuma durante un recente colloquio a Napoli.

 

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Lo Stone Pavillon di Kengo Kuma per Il Casone al Marmomacc 2007

 

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Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio: Narciso (1594-1596). Roma, Galleria nazionale d'arte antica

Il progetto è un viaggio, un'avventura. È come attraversare un confine sconosciuto avendo cura di dare coerenza alle scelte, ai movimenti, alle azioni. Il confine come condizione esistenziale entro cui si sviluppa l'azione prefigurata, finisce con assumere i caratteri di territorio liminare, luogo in cui diverse razionalità ed emozionalità agiscono, simultaneamente, secondo azioni dialetticamente orientate. Perchè è evidente che "le tecniche esecutive si presentano al fatto architettonico portatrici di quella struttura consistente dell'artefatto che non può essere disattesa, pena lo svuotamento, la banalizzazione dello stesso atto progettuale e creativo (...). La forma non ha mai un'assoluta libertà in quanto esiste, è pensata, manipolata, costretta ad esprimersi sempre a partire dalla natura della materia che la sostanzia"1
Ed è proprio alla materia e alle sue possibilità che vorrei ricondurre la "lettura" del Padiglione progettato da Kengo Kuma per Il Casone a Marmomacc. Se i materiali sono portatori di senso, di costruttività, di nessi combinatori, il lavoro architettonico compiuto da Kuma lo si può leggere proprio come un lavoro "sui materiali, a partire dai materiali".

softstone_2.jpg
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Kengo Kuma & Associates, Stone Pavillion, Marmomacc, 2007

Nella sua configurazione il Padiglione è riconducibile a tre elementi fondanti: il pavimento galleggiante; il suolo labirinto; il celino specchiante.
Il piano di calpestio, una superficie litica vibrante di forma rettangolare allungata (13.0 m x 8.02 m), sviluppa una superficie di 104,26 mq ed è soprelevato di 20 cm circa. Composto da 900 lastre di pietra arenaria, della varietà 'giallo etrusco', il pavimento galleggiante è stato determinato, oltre che dalla necessità di integrare agevolmente l'impiantistica, dalla necessità di inglobare sotto il piano la fondazione continua del muro labirinto. La struttura del piano è formata da più livelli. Il primo, formato da pannelli di legno multistrato spessi 4 cm, è fissato su "piedi" d'acciaio regolabili, soluzione che agevola il controllo della complanarità. Sopra questo primo impalcato ne è disposto, sfalsandone opportunamente i giunti, un secondo realizzato con pannelli multistrato da 2 cm, sui quali sono fissati con silicone strutturale le lastre di pietra della pavimentazione. Gli elementi litici pavimentali, montati "a casellario, sono spessi 4 cm ed hanno una forma triangolare: base di cm 49,7 per altrettanti cm di altezza. Un giunto di 2 mm, a vista, separa lungo i tre lati lastre contigue.
In corrispondenza del muro labirinto gli elementi litici pavimentali sono realizzati con lastre di pietra serena larghe 23 cm e spesse 1,5 cm. Questa soluzione ha l'obiettivo di accentuare l'effetto di "galleggiamento" del muro, in ragione della diversa reazione della pietra alla luce. La varietà di pietra utilizzata, la grana, la geometria degli elementi, la tecnica con cui è stata lavorata, propone, per "assonanza", una continuità con la struttura in elevazione, con la tessitura a maglia triangolare. Il piano di calpestio è chiuso lungo il bordo da blocchi di pietra massiccia, che accolgono le lastre perimetrali entro apposite cavità. Le 900 lastre che configurano il piano sono state realizzate tutte con un processo di produzione artigianale, pezzo per pezzo. Questa scelta più che da necessità tecniche è derivata dalla volontà di "imprimere" sulla materia i segni del processo di trasformazione manuale. Superficialmente le lastre sono state levigate, lasciando in evidenza le piccole "imperfezioni", mentre lungo i tre lati è stata realizzata una bisellatura a mano.

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Kengo Kuma & Associates, Stone Pavillion, Marmomacc, 2007

In continuità con l'idea di labirinto, che alimenta un'ambigua percezione dello spazio "sfondato", il "celino specchiante" produce un'ingannevole duplicazione dello spazio attraverso un artificio tecnico. Il soffitto a specchio è costituito da un pannello sandwich di circa 3 cm di spessore, su cui è disposta una pellicola di poliestere metallizzato. Tale pellicola ha qualità ottiche riflettenti in ragione anche del suo esiguo spessore (25 micron); qualità che si somma alle caratteristiche di sicurezza (prodotto ignifugo di classe 1), di facile manutenibilità e di riuso quasi totale dell'intero sistema. Il piano al quale è ancorata la "pellicola riflettente" è realizzato con legno multistrato, spesso 4 cm, irrigidito da una sovrastruttura di listelli di legno a sezione rettangolare di dimensioni 4 x 20 cm, disposti a maglia triangolare secondo un modulo di 120 x 120 cm. Il celino è ancorato in 15 punti ad una struttura di metallo formata da tre travi a sezione rettangolare di dimensioni 4 x 18 cm.
Nel soffitto sono integrati anche i corpi illuminanti, dislocati in corrispondenza del banco-reception e dei tavoli. I proiettori utilizzati sono del tipo ARC 1T1191 equipaggiati con lampade da 50 watt a bassa tensione, prodotti da Targetti. La soluzione con riflettori a vetro aperto è stata scelta anche per la posizione arretrata delle lampade che li caratterizza, dislocazione che garantisce una bassa luminanza. La distribuzione della luce e l'intensità massima dipendono, oltre che dalla potenza e dall'apertura di fascio, dalla bassa luminanza fornita dalla lampada alogena "dicroica". L'effetto di luce "morbida", calda, avvolgente, esalta le lunghe ombre, le sfumature, le tonalità cromatiche severe delle pietre. Analogamente al celino, anche nel pavimento galleggiante sono stati integrati alcuni corpi illuminanti: proiettori Exterieur Vert – Phenix equipaggiati con lampada alogena da 50 W. L'intensità della luce, degradante verso l'alto, produce alla base del muro una sorta di "sbarramento", restituendo un effetto di "galleggiamento del muro" labirinto. La relazione/re-azione tra la materia litica" e la materia luminosa è sottolineata dalle lunghe ombre che attraversano le "aperture", delle infinite "cavità interstiziali".
La superficie specchiante sovrasta il muro labirinto senza mai toccarlo: 1 cm di vuoto corre lungo tutto il perimetro. Questa soluzione produce un effetto di continuità delle pareti litiche, a tratti deformate, con uno sfondamento e un'amplificazione di senso delle stesse, in ragione anche della fluttuante percezione degli elementi fisici. La realtà e il suo doppio generano un senso d'indeterminatezza, di sospensione, di fluidità. Spazio reale e spazio virtuale si con-fondono dando luogo ad una "spazialità indefinita". Del resto il concetto di labirinto che ha governato ed orientato tutto il percorso progettuale conteneva in sè questo particolare germe. Labirinto deriva dal greco làbiros, cavità, ma esprime anche "dualità primordiale", elemento di connessione tra microcosmo e macrocosmo, tra cielo e terra. Simbolo, porta d'accesso ad una dimensione profonda: viaggio conoscitivo dentro se stessi. Il celino specchiante, come l'immagine di Narciso riflessa sull'acqua, ci "proietta altrove", ci svela un'identità nascosta, un'alterità, proprio come in uno "specchio
dell'anima", il doppio si materializzata attraverso le "proiezioni d'ombra", nella relazione che la materia vibrante intrattiene con la luce, con la sua immagine riflessa: alle pietre saldamente radicate al suolo fa da contrappunto l'ingannevole elevazione verso il cielo delle stesse. Ogni ordine sembra essere sovvertito, violato. L'immagine riflessa ci rivela, improvvisamente, l'ambigua forma della trama litica; trama mai certa, mai fissamente esplicitata. Artificiosità, stratagemma, intelligenza, ingegno, astuzia, furbizia, la tecnica tradotta in "inganno" si dà come prima formulazione di senso, logos. Alla visione diretta, univoca del mondo, Kuma preferisce una molteplicità di possibili significati, un'esperienza emotiva che attraversa ragione e passione, intuizione e sentimento, realtà ed immaginazione. Perchè "l'architettura è solo lo strumento attraverso il quale cerco di 'rivelare' un luogo"2.

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1 Alfonso Acocella. "Progettare in pietra. La costruzione fra tradizione ed innovazione"
2 Dichiarazione resami da Kengo Kuma durante un recente colloquio a Napoli.

 

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Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio: Narciso (1594-1596). Roma, Galleria nazionale d'arte antica

Il progetto è un viaggio, un'avventura. È come attraversare un confine sconosciuto avendo cura di dare coerenza alle scelte, ai movimenti, alle azioni. Il confine come condizione esistenziale entro cui si sviluppa l'azione prefigurata, finisce con assumere i caratteri di territorio liminare, luogo in cui diverse razionalità ed emozionalità agiscono, simultaneamente, secondo azioni dialetticamente orientate. Perchè è evidente che "le tecniche esecutive si presentano al fatto architettonico portatrici di quella struttura consistente dell'artefatto che non può essere disattesa, pena lo svuotamento, la banalizzazione dello stesso atto progettuale e creativo (...). La forma non ha mai un'assoluta libertà in quanto esiste, è pensata, manipolata, costretta ad esprimersi sempre a partire dalla natura della materia che la sostanzia"1
Ed è proprio alla materia e alle sue possibilità che vorrei ricondurre la "lettura" del Padiglione progettato da Kengo Kuma per Il Casone a Marmomacc. Se i materiali sono portatori di senso, di costruttività, di nessi combinatori, il lavoro architettonico compiuto da Kuma lo si può leggere proprio come un lavoro "sui materiali, a partire dai materiali".

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Nella sua configurazione il Padiglione è riconducibile a tre elementi fondanti: il pavimento galleggiante; il suolo labirinto; il celino specchiante.
Il piano di calpestio, una superficie litica vibrante di forma rettangolare allungata (13.0 m x 8.02 m), sviluppa una superficie di 104,26 mq ed è soprelevato di 20 cm circa. Composto da 900 lastre di pietra arenaria, della varietà 'giallo etrusco', il pavimento galleggiante è stato determinato, oltre che dalla necessità di integrare agevolmente l'impiantistica, dalla necessità di inglobare sotto il piano la fondazione continua del muro labirinto. La struttura del piano è formata da più livelli. Il primo, formato da pannelli di legno multistrato spessi 4 cm, è fissato su "piedi" d'acciaio regolabili, soluzione che agevola il controllo della complanarità. Sopra questo primo impalcato ne è disposto, sfalsandone opportunamente i giunti, un secondo realizzato con pannelli multistrato da 2 cm, sui quali sono fissati con silicone strutturale le lastre di pietra della pavimentazione. Gli elementi litici pavimentali, montati "a casellario, sono spessi 4 cm ed hanno una forma triangolare: base di cm 49,7 per altrettanti cm di altezza. Un giunto di 2 mm, a vista, separa lungo i tre lati lastre contigue.
In corrispondenza del muro labirinto gli elementi litici pavimentali sono realizzati con lastre di pietra serena larghe 23 cm e spesse 1,5 cm. Questa soluzione ha l'obiettivo di accentuare l'effetto di "galleggiamento" del muro, in ragione della diversa reazione della pietra alla luce. La varietà di pietra utilizzata, la grana, la geometria degli elementi, la tecnica con cui è stata lavorata, propone, per "assonanza", una continuità con la struttura in elevazione, con la tessitura a maglia triangolare. Il piano di calpestio è chiuso lungo il bordo da blocchi di pietra massiccia, che accolgono le lastre perimetrali entro apposite cavità. Le 900 lastre che configurano il piano sono state realizzate tutte con un processo di produzione artigianale, pezzo per pezzo. Questa scelta più che da necessità tecniche è derivata dalla volontà di "imprimere" sulla materia i segni del processo di trasformazione manuale. Superficialmente le lastre sono state levigate, lasciando in evidenza le piccole "imperfezioni", mentre lungo i tre lati è stata realizzata una bisellatura a mano.

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Kengo Kuma & Associates, Stone Pavillion, Marmomacc, 2007

In continuità con l'idea di labirinto, che alimenta un'ambigua percezione dello spazio "sfondato", il "celino specchiante" produce un'ingannevole duplicazione dello spazio attraverso un artificio tecnico. Il soffitto a specchio è costituito da un pannello sandwich di circa 3 cm di spessore, su cui è disposta una pellicola di poliestere metallizzato. Tale pellicola ha qualità ottiche riflettenti in ragione anche del suo esiguo spessore (25 micron); qualità che si somma alle caratteristiche di sicurezza (prodotto ignifugo di classe 1), di facile manutenibilità e di riuso quasi totale dell'intero sistema. Il piano al quale è ancorata la "pellicola riflettente" è realizzato con legno multistrato, spesso 4 cm, irrigidito da una sovrastruttura di listelli di legno a sezione rettangolare di dimensioni 4 x 20 cm, disposti a maglia triangolare secondo un modulo di 120 x 120 cm. Il celino è ancorato in 15 punti ad una struttura di metallo formata da tre travi a sezione rettangolare di dimensioni 4 x 18 cm.
Nel soffitto sono integrati anche i corpi illuminanti, dislocati in corrispondenza del banco-reception e dei tavoli. I proiettori utilizzati sono del tipo ARC 1T1191 equipaggiati con lampade da 50 watt a bassa tensione, prodotti da Targetti. La soluzione con riflettori a vetro aperto è stata scelta anche per la posizione arretrata delle lampade che li caratterizza, dislocazione che garantisce una bassa luminanza. La distribuzione della luce e l'intensità massima dipendono, oltre che dalla potenza e dall'apertura di fascio, dalla bassa luminanza fornita dalla lampada alogena "dicroica". L'effetto di luce "morbida", calda, avvolgente, esalta le lunghe ombre, le sfumature, le tonalità cromatiche severe delle pietre. Analogamente al celino, anche nel pavimento galleggiante sono stati integrati alcuni corpi illuminanti: proiettori Exterieur Vert – Phenix equipaggiati con lampada alogena da 50 W. L'intensità della luce, degradante verso l'alto, produce alla base del muro una sorta di "sbarramento", restituendo un effetto di "galleggiamento del muro" labirinto. La relazione/re-azione tra la materia litica" e la materia luminosa è sottolineata dalle lunghe ombre che attraversano le "aperture", delle infinite "cavità interstiziali".
La superficie specchiante sovrasta il muro labirinto senza mai toccarlo: 1 cm di vuoto corre lungo tutto il perimetro. Questa soluzione produce un effetto di continuità delle pareti litiche, a tratti deformate, con uno sfondamento e un'amplificazione di senso delle stesse, in ragione anche della fluttuante percezione degli elementi fisici. La realtà e il suo doppio generano un senso d'indeterminatezza, di sospensione, di fluidità. Spazio reale e spazio virtuale si con-fondono dando luogo ad una "spazialità indefinita". Del resto il concetto di labirinto che ha governato ed orientato tutto il percorso progettuale conteneva in sè questo particolare germe. Labirinto deriva dal greco làbiros, cavità, ma esprime anche "dualità primordiale", elemento di connessione tra microcosmo e macrocosmo, tra cielo e terra. Simbolo, porta d'accesso ad una dimensione profonda: viaggio conoscitivo dentro se stessi. Il celino specchiante, come l'immagine di Narciso riflessa sull'acqua, ci "proietta altrove", ci svela un'identità nascosta, un'alterità, proprio come in uno "specchio
dell'anima", il doppio si materializzata attraverso le "proiezioni d'ombra", nella relazione che la materia vibrante intrattiene con la luce, con la sua immagine riflessa: alle pietre saldamente radicate al suolo fa da contrappunto l'ingannevole elevazione verso il cielo delle stesse. Ogni ordine sembra essere sovvertito, violato. L'immagine riflessa ci rivela, improvvisamente, l'ambigua forma della trama litica; trama mai certa, mai fissamente esplicitata. Artificiosità, stratagemma, intelligenza, ingegno, astuzia, furbizia, la tecnica tradotta in "inganno" si dà come prima formulazione di senso, logos. Alla visione diretta, univoca del mondo, Kuma preferisce una molteplicità di possibili significati, un'esperienza emotiva che attraversa ragione e passione, intuizione e sentimento, realtà ed immaginazione. Perchè "l'architettura è solo lo strumento attraverso il quale cerco di 'rivelare' un luogo"2.

Luigi Alini

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Note
1 Alfonso Acocella. "Progettare in pietra. La costruzione fra tradizione ed innovazione"
2 Dichiarazione resami da Kengo Kuma durante un recente colloquio a Napoli.

 

16 Ottobre 2007

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