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7 Maggio 2013

Design litico

Quando il design scopre lo scalpellino informatico

English version


Pietre luminose, Polare, Lithos Design 2013, designer Raffaello Galiotto

Ancora incerto e controverso appare il radicamento dei materiali litici nel mondo del design. Anche in tempi recenti essi sembrano scontare delle difficoltà a inserirsi in aree di mercato a questo settore dedicate e nella stessa cultura progettuale su cui si sono sviluppati il design di prodotto e di interni.
Alcuni maestri contemporanei hanno indagato negli anni ’60, ’70 e ’80 del secolo scorso questi materiali, realizzando prodotti di elevata qualità estetica con alto tasso di creatività. Ma più che una vocazione ciò è apparso come un approccio legato a brevi e circoscritte opportunità, anche se per taluni non episodiche, come se a limitare l’espandersi di quell’indirizzo di ricerca si alzassero delle barriere così ardue che anche autori assai creativi e professionalmente capaci fossero scoraggiati ad andare oltre e “depistati” verso altri materiali ritenuti più performanti.
Certo, su ciò hanno sfavorevolmente giocato condizioni strutturali e culturali di contesto. Ossia una scarsa o nulla propensione del settore produttivo lapideo, indipendentemente dal livello economico e tecnologico sviluppati dalle singole aziende, a farsi coinvolgere dal mondo del design italiano, che pure a partire dagli anni ‘60 del ‘900 viveva in Italia una fortunata e quasi incontrastata ascesa sul mercato internazionale.
Archiviata la ricca tradizione artigianale pre-moderna e i suoi sistemi di trasmissione dei saperi, il settore lapideo ha cercato per decenni di coltivare quasi esclusivamente un mercato orientato alle superfici litiche piane, orizzontali o verticali che fossero, trattate o non trattate comunque bidimensionali, prive di ogni altro valore aggiunto se non quello di essere appunto di pietra: un materiale che si riteneva potesse soddisfare “di per sé” quei contenuti di pregio e di lusso che il mercato edilizio gli aveva destinato.
D’altronde anche un certo proibizionismo, mosso da motivazioni etiche, inibiva in architetti e designer la spinta a superare quella concezione della pietra capace di fare “di per sé”, ossia andare oltre la semplice lastra tagliata, squadrata e normalizzata in pochi essenziali formati. E dunque si sono dovuti attendere alcuni lustri prima che la ricerca interrotta dei maestri trovasse un nuovo flusso di energia che permettesse di “andare oltre”. Da un lato l’immissione nel mercato di macchine di lavorazione a controllo numerico computerizzato, con applicazioni specifiche per i materiali litici, aveva indotto la maggioranza delle aziende a dotarsi di questi nuovi strumenti di trasformazione. Dall’altro la comparsa sui tavoli informatizzati degli architetti di sofisticati programmi di modellazione tridimensionale hanno aperto nuove prospettive per il progetto litico. Ma ciò che ha reso più feconde queste scoperte e ne ha consentito un utilizzo creativo è stata la possibilità di connettere il progetto digitale tridimensionale con le nuove macchine di lavorazione realizzando un circuito assai efficiente tra ideazione e oggetto finito.
In questa straordinaria prospettiva la pietra iniziava a essere vista e indagata con uno sguardo diverso. Soprattutto nell’area del design non potevano sfuggire le nuove potenzialità di immaginazione creativa nell’atto progettuale offerte dai software di ultima generazione, contemporaneamente sul piano realizzativo si andava concretizzando la possibilità di trasferire antiche abilità artigianali alle macchine e a processi industriali capaci di replicare a velocità straordinaria oggetti formalmente anche assai complessi destinati a una produzione seriale.


Materia Litica, Lithos Design, designer Raffaello Galiotto

Si è così aperta una nuova realtà nella attività litica, definita dello “scalpellino informatico”, una fase in cui anche i prodotti lapidei – che per essere eseguiti richiedevano particolari competenze manuali artigianali – possono essere concretamente inseriti in un processo di produzione totalmente robotizzata. Un terreno questo su cui si cimentava da oltre un decennio la scuola di Claudio D’Amato dell’Università di Bari, orientata alla ricerca degli elementi della costruzione stereotomica a partire dai codici classici.
Da questo contesto prende le mosse il percorso litico di Raffaello Galiotto.
Sostenuto da una solida formazione maturata nell’industrial design egli intuisce precocemente i vantaggi di un trasferimento sui materiali lapidei del know-how metodologico e tecnologico fornito da quella disciplina. Non si tratta soltanto di allargare il campo di applicazione delle macchine informatizzate a un ambito di prestazioni ben più vasto e aperto rispetto a quel limitatissimo uso che normalmente se ne fa nei laboratori di trasformazione, quanto soprattutto di indagare le potenzialità latenti dei materiali litici sotto l’azione precisa del lavoro delle macchine stesse.
Ben diverso infatti è l’esito della incisione in profondità di uno stesso pattern sulla superficie di pietre o marmi di differente composizione petrografica. Su alcuni litotipi la fedeltà dell’esecuzione in termini di texture e precisione calligrafica può essere assai aderente al progetto, su altri invece il margine di imprecisione può produrre effetti non controllati che alterano il senso dell’opera; in altri casi ancora un’eventuale alterazione non voluta potrebbe invece imprimere impreviste qualità tattili sulla superficie litica. Analogo ragionamento va fatto per le macchine, anch’esse strumenti in fase evolutiva, da cui si può ottenere – modificando l’applicazione di utensili – effetti assai diversi, per cui alla fine lo “scalpellino informatico” agisce come il suo antenato manuale.


Drappi di pietra, Tulle, Lithos Design, designer Raffaello Galiotto

Attraverso l’interazione di tecniche e saperi nuovi, sempre più il designer prende nelle proprie mani il controllo diretto di tutte le operazioni necessarie alla realizzazione di un prodotto.
È chiaro però che l’esito formale finale non si ottiene sul tavolo di studio ma necessita di un accumulo di esperienze tecniche e creative sul campo che richiedono la creazione di un nuovo profilo disciplinare.
È in questa direzione che Raffaello Galiotto ha lavorato nell’ultimo lustro della sua attività di designer. Fondamentale per lo sviluppo del suo percorso è stato il radicamento in un’area di produzione litica, la Valle del Chiampo, un sito di antica tradizione artigianale del settore ma con una significativa presenza di imprenditori che hanno saputo reagire alla crisi degli ultimi anni puntando sull’innovazione e la ricerca.
Dalla prima esperienza di modellazione litica, che vede coinvolto un consorzio di aziende della Valle e che ha come tema la rielaborazione della grande cultura veneta del passato, Galiotto prende lo spunto per dispiegare un programma assai efficiente di strategia comunicativa sulle nuove potenzialità offerte dalla progettazione digitale integrata alle macchine a controllo numerico.
Le due mostre “Palladio e il design litico” del 2008 e “I marmi del Doge” del 2009 si rivolgono infatti prima di tutto ai produttori stessi che possono così sperimentare in concreto un nuovo e insospettato livello tecnologico di trasformazione dei loro prodotti. In secondo luogo propongono oggetti di alta qualità che forniscono alle aziende l’opportunità di presentarsi sul mercato internazionale con un catalogo assolutamente inedito e innovativo, ma contemporaneamente ispirato alla prestigiosa cultura classica del territorio veneto. Un’operazione quindi di innovazione e marketing che costituisce una solida base per una estensione sempre più pregnante del percorso di ricerca del suo autore.
A partire da queste esperienze l’esuberante creatività di Raffaello Galiotto si allarga in più direzioni, sperimentando con singole aziende, tra le quali in particolare Lithos Design, cicli di opere e prodotti in cui si fondono arte, design e architettura.
La mostra “Luce e Materia” (Marmomacc, 2011) e le collezioni realizzate con Lithos Design “Le Pietre Incise”, “Luxury”, “Muri di Pietra” e la più recente “Drappi di Pietra”, rappresentano altrettante tappe di un vasto programma che procede per nuclei tematici di ricerca aventi come contenuto il rivestimento modulare, la tridimensionalità, la leggerezza e l’impalpabilità, la traslucenza, la riflessione speculare, la massività stereotomica. La loro declinazione attraverso i diversi materiali litici sembra tracciare l’inizio di numerosi percorsi da riprendere, esplorare, approfondire. Tra questi uno dei più affascinanti è rappresentato dal cambio di scala dell’oggetto, ossia quel passaggio cruciale “dall’architettura del piccolo alla dimensione architettonica” a cui prima o dopo tutti i designer pervengono, e che anche Galiotto sembra si stia attrezzando ad affrontare.

Vincenzo Pavan

Il presente saggio è tratto dal volume Raffaello Galiotto. Design digitale e materialità litica, di Veronica Dal Buono, Melfi, Librìa, 2012.
Sempre su Architetturadipietra.it, è ri-editato l’intero volume in forma progressiva.

Vai al saggio precedente.

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7 Maggio 2013

English

When design meets the computerized stonemason

Versione italiana

The roots of stone materials in the world of design are still uncertain and disputed. Even now stone materials seem to struggle to enter into markets dedicated to this sector and to enter into the design mentality that develops products and interior decors.
A few contemporary masters investigated these materials in the nineteen sixties, seventies and eighties, making products that combined high aesthetic qualities with great creativity. But these efforts, more than a vocation, seemed to be approaches tied to brief and circumscribed, although for some not episodic, opportunities. It was as though strong barriers rose up to limit the expansion of this area of research. So strong that even extremely creative and professionally capable artists were discouraged from going forward and were ‘sidetracked’ towards more performing materials.
Structural and contextual conditions undoubtedly bore down on this. The stone processing sector had little or no desire, independent from the economic and technological levels reached by individual firms, to be involved in the Italian design world, even though Italian design had been enjoying fortunate and almost unchallenged success on international markets ever since in the nineteen sixties.
For decades the stone processing sector, having closed the books on its rich pre-modern crafting traditions and their systems for transmitting know-how, strove to exclusively cultivate a market dedicated to flat stone surfaces, whether horizontal or vertical, finished or rough but in all cases always two-dimensional and lacking any added value other than that of being stone: a material that was thought to contain ‘in itself’ the characteristics of luxury and value that the building market had assigned to it.
And we also have a certain prohibitionism, backed by ethic motives, that dampened the desires of architects and designers to overcome this concept of stone as being able to do it ‘in itself’, resisting going beyond the simple sawn slab, squared and standardized in a few basic formats. And so we have had to wait several decades before the research efforts of past masters, interrupted, found a new burst of energy that permitted this ‘going beyond’: on the one hand the market developed computerized numerical control machines with specific applications for stone materials, leading the majority of companies to equip themselves with these new processing tools; on the other hand architects began working on computerized drawing tables with sophisticated three-dimensional modeling programs, opening up new prospects for stone projects. What made these new discoveries even more fertile, permitting their creative use, was the possibility of connecting digital three-dimensional projects with these new processing machines, creating an extremely efficient circuit between conception and finished object.
Stone, in this extraordinary perspective, began being seen and investigated from a different standpoint. The design area, in particular, became keenly aware of the new creative potential for actions using the latest generation of software. It was able to simultaneously envision the possibility of transferring ancient handcrafting capacities to these machines and, at the same time, of having industrial processes that replicate, serially and at extraordinary speeds, even highly complex formal objects.

This has opened up a new reality for stone activities, defined as that of the ‘computerized stonemason’, a phase when even stone products – which once required special manual crafting expertise to be made – could now be efficiently inserted into totally robotized production processes. This has been an area of study for over a decade by the school of Claudio D’Amato at the University of Bari, searching for stereotomic building components starting from classic architectural codes.
Raffaello Galiotto’s stone path takes its beginnings from this context.
Galiotto, backed by solid experience in the world of industrial design, precociously saw the advantages of transferring the methodological and technological know-how furnished by this discipline to stone materials. And this was not merely a question of expanding the use of computerized machines to a much larger and more open sector of services compared to the extremely limited use normally practiced in processing plants. Rather, and above all, it was a question of investigating the latent potential of stone materials in the precision processing world of these machines themselves.
Quite different results, in fact, can come from in-depth engraving of the same pattern on stone or marble with different petrographic compositions. Fidelity of execution, on some lithotypes, is extremely close to the original project in terms of texture and calligraphic precision. On other types the margins for imprecision can generate uncontrolled effects that alter the meaning of the work. In yet other cases these eventual undesired alterations may give unforeseen tactile qualities to the stone surface. These same concepts apply to the machines as well: they are still instruments in development phases that can offer – by changing the tools that are used – extremely different effects. In the end the ‘computerized stonemason’ begins to act like his manual ancestor.
Designers, through this interaction of new techniques and new know-how, increasingly take direct control over all the operations required to make a product.
But it remains clear, however, that final formal results are not achieved on the drawing table: they need an accumulation of in-the-field technical and creative experience, something that begs for creation of a new intellectual discipline.

This is the direction taken by Raffaello Galiotto in his last five years as designer. A fundamental factor in his journey has been his roots in a stone production zone, the Chiampo Valley, which has both the ancient handcrafting traditions of this sector and also a substantial number of entrepreneurs who have reacted to the recent economic crisis by investing in innovation and research.
Galiotto’s first experience in stone modeling involved a consortium of business in the Chiampo Valley and had, as its theme, a rethinking of Veneto’s great culture of the past. He then takes a cue from this and goes on to unfold an extremely efficient communication strategy on the new potential offered by digital design integrated with numerical control machines.
His two exhibitions, ‘Palladio e il design litico’ in 2008 and ‘I Marmi del Doge’ in 2009 are aimed, firstly, at the stone processors themselves, who can concretely experiment with a new and unexpected technology for transforming their products. And, secondly, the exhibitions present high quality objects that permit businesses to present themselves to the international market with absolutely innovative and novel catalogues which are, at the same time, inspired by the prestigious classic culture of the Veneto territory. All of which becomes an operation of innovation and marketing that creates a solid base for the increasingly pregnant research path taken by its author.
The exuberant creativity of Raffaello Galiotto, starting from these experiences, spreads out in many directions, experimenting with individual businesses, including, in particular, Lithos Design, cycles of works and products which meld art, design and architecture.
The exhibition ‘Luce e Materia’ (Marmomacc, 2011) and the collections made with Lithos Design ‘Le Pietre Incise’, ‘Luxury’, ‘Muri di Pietra’ and, most recently, ‘Drappi di Pietra’, are a series of steps forward in a wide ranging program of themes: modular wall coverings, three-dimensionality, lightness and intangibility, translucence, mirror reflection, stereotomic massiveness. Their declination, through different stone materials, indicates the starting points of many paths for exploration, investigation and continuation. One of the most fascinating of these themes is the change of scale of objects: the crucial passage from “the architecture of littleness to the architectural dimension” that all designers come to, sooner or later, and that Galiotto himself seems now to be preparing himself to confront.

by Vincenzo Pavan

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6 Maggio 2013

News

Stéréotomie: les pratiques anciennes et nouvelles

Stereotomia: nuove e antiche pratiche prevede la costruzione di un oggetto in pietra massiva, a forma d’albero, autoportante.
Lo stage di 6 giorni prevede 2 parti: una informatica e una tradizionale, entrambe saranno sviluppate nei laboratori della SNBR a Troyes.
Durante la prima fase, la modellazione di computer grafica – parametrica e di produzione – verranno utilizzati
strumenti quali CAD / CAM / CNC. Durante la seconda fase di assemblaggio della struttura e prova di carico, saranno utilizzate tecniche tradizionali.
I risultati della esperienza di stage saranno messi in mostra al prossimo Marmomacc Verona (25-28 settembre 2013).

Lo stage si terrà dal 1 al 6 luglio 2013 e si rivolge agli studenti d’architettura, d’ingegneria dei materiali e agli appassionati della pietra fino a un numero massimo di 20/25 persone.

Contatti
Prof. Arch. Giuseppe Fallacara: www.atelierfallacara.it info@atelierfallacara.it
SNBR R&D.Bertrand Laucournet: bertrand.jym@gmail.com

Scarica il programma definitivo

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2 Maggio 2013

News

Design da Nordest

Design da Nordest
Chiampo, dal 10 al 26 maggio 2013

Una manifestazione sul ruolo del design nelle aziende organizzata in occasione dei 20 anni dello studio Raffaello Galiotto_industrial design.
Al di fuori dei canoni dell’autocelebrazione, l’evento, oltre a presentare le storie e i percorsi di 20 anni dell’attività del designer Raffaello Galiotto, intende rappresentare un momento di confronto locale, serio e soprattutto pragmatico tra aziende del territorio, università, associazioni di categoria ed esperti del settore sul ruolo del design nelle imprese in questo momento storico-economico.
“I vent’anni del mio lavoro – dichiara Galiotto – sono solo un’occasione, quasi un pretesto, per un evento che avevo in animo da tempo. Sono convinto che la forte identità di artigianato evoluto e di industria tipiche di questo territorio possa costituire un forte impulso per il riscatto delle aziende. E’ necessario, però, che si compia un balzo in avanti da parte di tutti, che si intreccino punti di vista e competenze, che si punti alla creatività e all’ingegno come segno distintivo di italianità. Questo fluire di pensiero può innescare una vera forza innovativa e vincente per tutti i settori produttivi senza distinzione. E’ questa la motivazione chiave di questo evento: incrociare competenze, rivelare il valore del design come leva competitiva, parlare al positivo. Design non è solo ricerca del bello, è ricerca di sistemi produttivi sostenibili, contenimento dei costi, tecnologia, in una parola innovazione”.

Fra gli altri appuntamenti, due i principali convegni organizzati:
17.05.2013 – ore 19:00 Il Design da Nordest,
Con la partecipazione di ADI Veneto e Trentino Alto Adige e importanti aziende del triveneto che del design hanno fatto un segno distintivo delle loro imprese.

24.05.2013 – ore 19:00 Il Design Litico
Con la presenza dei responsabili di Marmomacc, Università di Ferrara e i rappresentanti di aziende dei 3 più importanti poli del marmo italiani, Carrara Chiampo e Verona.
Il luogo scelto per l’evento è un fabbricato industriale che si sviluppa su una superficie di 500mq, suddivisa in area convegni e uno spazio espositivo, situato nella Valle del Chiampo (VI) città sede dello studio Raffaello Galiotto_industrial design e zona manifatturiera particolarmente ricca di aziende dal grande potenziale che negli anni si sono distinte in tutto il mondo. E’ stato volutamente scelto un luogo nel luogo, un posto tra le aziende in un contesto urbano e geografico particolarmente rappresentativo del tessuto economico del Veneto.

L’inaugurazione di Design da Nordest è prevista per il 10.05 alle ore 19:00 (Chiampo, Via A. Mazzocco, 52) con l’apertura di una mostra multimediale dotata di sistemi di realtà aumentata sulla storia, i percorsi e i prodotti di vent’anni di attività di Raffaello Galiotto.

Altre informazioni su: www.designdanordest.it

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29 Aprile 2013

Opere di Architettura

Vincenzo Latina
Padiglione di accesso agli scavi dell’Artemision di Siracusa


Fronte del padiglione su piazza Minerva

In passato, costruire sui resti e con i resti degli edifici antichi era una comune pratica di rigenerazione. L’architettura si offriva come forma di “risarcimento”, rimandando l’ineluttabile perdita finale degli edifici “ad un più lungo avvenire”. Oggi, invece, sembra qualcosa di “straordinario”, gli edifici sono simili ad elettrodomestici a scadenza preordinata, destinati ad alimentare future discariche.
La realizzazione del padiglione sui resti delle fondazioni del tempio ionico pone l’archeologia come materia attiva e fondativa dell’architettura. Marguerite Yourcenar, nelle “Memorie di Adriano”, offre una chiave di lettura rara sulla stratificazione e ricostruzione nei siti antichi. A tal riguardo scrive: “… milioni di vite passate, presenti e future, quegli edifici recenti, nati su edifici antichi e seguiti a loro volta da edifici ancora da costruirsi, mi sembra si susseguissero nel tempo, simili alle onde…”


Schizzo di studio

[photogallery]latina_album[/photogallery]

Da alcuni anni la città di Siracusa è impegnata attivamente in un vasto programma di interventi di riqualificazione urbana volti al rilancio qualitativo, economico, turistico e culturale. La realizzazione di un “piccolo” edificio a padiglione mette in luce un settore importante del tempio ionico (secondo l’interpretazione di alcuni archeologi dedicato ad Artemide), localizzato nel cuore dell’isola di Ortigia e corrispondente all’Acropoli della città antica.
Il tempio, in parte disvelato, è stato scoperto parzialmente, negli anni ’60, dagli archeologi Gino Vinicio Gentili e Paola Pelagatti, a seguito degli scavi precedenti alla realizzazione di un edificio comunale limitrofo all’area di progetto, ad opera dell’architetto Gaetano Rapisardi. Tale costruzione ingloba, al piano interrato, i resti delle fondazioni del tempio ionico, a cui si accede attraverso una scala di servizio interna all’edificio comunale.
Il Padiglione di accesso agli scavi del tempio ionico si pone in continuità con l’area scoperta negli anni ’60 del secolo scorso. Conterrà prevalentemente i numerosi reperti rinvenuti nell’area e renderà fruibili gli straordinari scavi archeologici inglobati negli edifici.
L’area di progetto, situata nel tessuto urbano, conserva un piccolo affaccio su “piazza Minerva”: era caratterizzata da un vuoto, o meglio da uno squarcio che interrompeva la continuità della cortina edilizia e conteneva all’interno alcuni resti di murature pericolanti, per lungo tempo puntellate, di un edificio comunale demolito negli anni ‘60 del secolo scorso. Vi era anche una grande cabina enel, un prefabbricato di cemento, a vista su piazza Minerva. Tale stato non rispondeva a nessun criterio di qualità; sul lato opposto, infatti, vi è l’eccezionale presenza della colonna d’angolo del peristilio del tempio di Atena, inglobato nel sistema murario della cattedrale.
Il progetto realizza, mediante lo scavo archeologico, il collegamento con un’area “sepolta”, oggi poco conosciuta, quella dei sotterranei dell’edificio comunale che custodisce parte della testimonianza millenaria dell’isola di Ortigia. In questa si individuano i resti delle fondazioni del tempio ionico, di alcune capanne sicule della tarda età del bronzo e la cripta della chiesa di S. Sebastianello.


Via Minerva vista da Giardino di Artemide

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Il progetto trova la genesi nell’area di sedime che è stata interpretata come genius loci creatore di spazi; il padiglione è concepito come un “monolite” di calcare duro, generato dal “magnetismo” delle vestigia sotterranee del tempio ionico e dall’ adiacenza dell’Athenaion. La colonna d’angolo di quest’ultimo dista dal padiglione soltanto 18,30 metri. L’interno del padiglione è caratterizzato dal forte movimento plastico, per cui l’androne di connessione e accesso al piano archeologico è stato immaginato come una cella aperta, ad interpretazione della memoria del nàos del tempio ionico che genera all’interno dell’edificio uno spazio “ipetrale”, simile ad un’opera di “scavo” attuata nella massa dell’edificio. I materiali e l’illuminazione interna del padiglione sono interpretate come evocazione contemporanea di un ipogeo, memoria delle Latomie del Paradiso di Siracusa. Il padiglione è caratterizzato dalla penombra e dalla luce misurata con parsimonia, che filtra attraverso una grande “lanterna” che diventa una camera di luce sugli scavi sottostanti; tale accorgimento accentua il carattere sotterraneo dell’intervento.
Al termine del percorso si scopre un piccolo giardino ombreggiato e fresco, una sosta deliziosa prima dell’uscita.
Nella Historia naturalis, Plinio il Vecchio racconta che il tempio di Diana, a Efeso, era scampato alle più violente scosse telluriche perché le sue fondamenta erano protette da “… uno strato di carbone e da un altro di velli di lana. Quando arrivavano le scosse, l’edificio sacro non ondeggiava paurosamente: scivolava dolcemente sul terreno, e rimaneva indenne …”
Gli allineamenti e le giaciture dei piani di appoggio esatti della struttura portante del padiglione sono scaturiti dalle peculiarità del sito, dal rilevato del piano di fondazione individuato dallo scavo archeologico stratigrafico. La notevole valenza archeologica del sito ha imposto la realizzazione di una peculiare struttura portante del padiglione, costituita da un sistema puntuale e circoscritto di “appoggi”, isolatori sismici elastomerici HDRB/LRB. Gli isolatori sono posizionati alla base dei pilastri della struttura portante del padiglione.
I sei isolatori antisismici installati sono ad alta dissipazione di energia in elastomero con nucleo in piombo, sono costituiti da strati alternati di elastomero ed acciaio, resi solidali mediante processo di vulcanizzazione e nucleo centrale dissipativo in piombo.
Sono stati installati anche due apparecchi d’appoggio multidirezionali in elastomero armato, costituiti da strati alternati di elastomero naturale ed acciaio laminato.
La struttura del padiglione, del tipo a telaio, non poggia direttamente sul sito archeologico ma su cuscinetti elastici e ha richiesto la realizzazione di un giunto sismico perimetrale all’edificio. Il giunto denota lo stacco dell’edificio dal suolo e conferisce alla compatta massa dell’edificio, “vestito” da un omogeneo strato di blocchi di calcare, un senso di levitazione.
L’apparente assenza della fondazione genera nell’edificio delle presenze invisibili, presenze che sembrano far lievitare l’edificio che come un magnete “risponde” al polo opposto.
Il padiglione determina una ricucitura urbana che ripristina la continuità dei fronti di piazza Minerva.
Il rivestimento perimetrale dell’edificio è caratterizzato da una trama ed una tessitura muraria poco enfatica che favorisce la strutturazione di un paramento murario e rimanda ad un carattere di tipo medievale o catalano. Sono i caratteri prevalenti che strutturano la composizione muraria di base di molti edifici di Ortigia, su cui si è innestato il barocco dopo il sisma del 1693.


Progetto. Sezione trasversale

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La trama e la tessitura del rivestimento evocano il paramento murario catalano della chiesa di S. Sebastianello. La chiesa era situata nell’area adiacente al padiglione e fu demolita per la realizzazione degli edifici comunali del Rapisardi. A tal proposito, su piazza Minerva si intende realizzare il fronte di un edificio “silente”, che ascolta il suono proveniente dagli straordinari monumenti limitrofi. Un unico accento è costituito da un taglio verticale nella parete che opera una connessione visiva e spaziale diretta tra i reperti del tempio ionico e la colonna d’angolo del tempio di Atena.

Il padiglione si pone in continuazione con il giardino di “Artemide”, limitrofo all’area di scavo, interno all’isolato. Il giardino è stata la prima fase di un intervento globale, che trova il suo completamento con l’assetto dell’area “libera” su
piazza Minerva, tramite la realizzazione del padiglione di accesso agli scavi del tempio ionico. Il giardino, secondo un processo di vivificazione della memoria storica e dell’immaginario mitologico, recupera le potenzialità di un’area fortemente stratificata. Tale spazio è stato così immaginato come “offerta” ad Artemide che, nell’immaginario mitologico, è rappresentata come dea vergine della fertilità, protettrice delle belve feroci, dei boschi e delle ninfe.

Dati di progetto
Progetto

Padiglione di accesso agli scavi dell’Artemision di Siracusa
Progettista
Vincenzo Latina con Silvia Sgariglia
Consulenti
Giuseppe Voza (consulente archeologo)
Collaboratori
I fase: Vincenzo Mangione, Luca Sipala.
II fase: Rossella D’Angelo, Cristina Speranza, Fabio Tantillo
Strutture
Nicola Impollonia
Impianti e illuminazione
Sirgen srl Floridia
Direzione lavori
Vincenzo Latina
Committente
Comune di Siracusa , ufficio per il centro storico
Imprese
ATI 2G Costruzioni srl & M.A.C. restauri srl, Agrigento
Localizzazione
Siracusa
Dati dimensionali
Padiglione 200mq, area sotterranea 1000 mq
Cronologia
progetto 2005-06
costruzione 2007-12

Fotografie: Lamberto Rubino

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23 Aprile 2013

News

Un progetto di urban design in pietra per il Quartiere San Lorenzo di Roma.

“Louder than bombs” è il workshop di progettazione promosso da Stone Academy e tenutosi a Roma dal 3 al 6 Aprile 2013, in occasione del settantesimo anniversario del bombardamento che ha coinvolto il quartiere di San Lorenzo durante la Seconda Guerra Mondiale.
Questo evento ha richiamato studenti provenienti da diverse corsi di Laurea di Architettura, Design ed Ingegneria – Ferrara, Mantova, Pescara, Roma -, con l’intento di sviluppare un progetto in grado di ridare vita al quartiere, utilizzando come materiale cardine la pietra.
La nascita del quartiere San Lorenzo risale al periodo compreso tra il 1884 e il 1888. La finalità della sua costruzione fu la realizzazione di alloggi per gli operai che arrivarono a Roma alla fine del secolo XIX, per supportare lo sviluppo urbanistico della città a cavallo tra i due secoli. Primi abitanti furono infatti ferrovieri, operai ed artigiani.
Il 19 luglio del 1943, in piena seconda guerra mondiale, fu il quartiere più colpito dal primo bombardamento degli alleati su Roma, con l’obiettivo di attaccare lo scalo merci ancora oggi attivo. Negli anni del dopoguerra, San Lorenzo continuò ad essere un quartiere popolare, ma dominato dalla piccola delinquenza.
San Lorenzo oggi, è un quartiere frequentato dagli studenti della vicina Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, animato da nu­merosi pub, ristoranti, birrerie e associazioni culturali.
Gli abitanti del quartiere si distinguono per la loro forte forza comunicativa, espressa attraverso messaggi impressi su supporti di varia natura (lenzuola, muri, serrande, etc.). Chiaro è il loro disappunto verso progetti di riqualificazione e riedificazione del quartiere, che porterebbero a radicali modifiche, privandoli della memoria del bombardamento.
A San Lorenzo sono state individuate sette aree di possibile intervento, attualmente consistenti in vuoti o in resti di scheletri strutturali.


Quartiere San Lorenzo, Piazza dell’Immacolata, zona pedonale e luogo d’incontro.

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Il corso di Laurea in Design del Prodotto Industriale di Ferrara, attraverso il laboratorio del secondo anno Product Design I, docenti Raffaello Galiotto e Vincenzo Pavan, affronta il tema dell’utilizzo dei materiali lapidei nel progetto contemporaneo di design.
Alcuni studenti del corso hanno partecipato al workshop di Stone Academy prendendo in esame tra i siti proposti quello denominato “Doppio Binario”, per la particolare conformazione planimetrica. L’edificio presente nella location è ricostruito solamente al primo livello, adibito ad attività commerciali, e offre una superficie sovrastante di 8500 mq.
L’idea sviluppata tende ad un progetto d’incontro tra architettura e design, uno spazio pubblico/privato a servizio del quartiere che potrebbe ripristinare l’integrità dell’edificio ed il suo valore. L’intero progetto nasce dall’iniziale evocazione del bombardamento dall’alto, identificato nell’immagine di bersagli, figure circolari che hanno dato vita ad un gioco di pieni e vuoti, positivo e negativo, che simboleggiano le “ferite” scavate nell’edificio. Tali principi sono stati ricreati attraverso lo sfruttamento di due livelli: il primo corrispondente alla quota dell’originaria copertura a terrazzo ed adibito a piazza, il secondo soprelevato di 110 cm che assolve la funzione di balaustra.


Rappresentazione schematica del lotto e idea di progetto

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Quale materiale per la realizzazione del progetto si è scelto il travertino romano. L’idea del bersaglio viene ricreata attraverso l’utilizzo di panchine modulari in pietra conformate ad arco che ricreano figure circolari di dimensioni diverse in base allo spazio occupato. La pavimentazione è pensata in Peperino, materiale che con la sua colorazione scura crea contrasto con le sedute, protette da coperture circolari metalliche, rivestite da elementi vegetali. Data la rara presenza di zone verdi nella frenesia del contesto urbano circostante, si è valorizzato il progetto con il rivestimento vegetale del volume sopraelevato, che prosegue sulla parete destra dell’edificio adiacente con una parete giardino. La parete sinistra invece, è rimasta incontaminata per lasciare evidenti i segni del crollo dell’edificio originario.
L’intero spazio, raggiungibile attraverso una scala a chiocciola ed un elevatore, presenta un’illuminazione a terra Led Rgb, che incrementa la suggestione suscitata dal luogo.
Il concept verrà sviluppato in vista della Mostra Internazionale Marmomacc, che si terrà a Verona a Settembre 2013.

di
Omar Azzalini
Luca Barbieri
Alessandra Bimbatti
Gaia Cervellati
Belinda Hajdini
Amalia Marasti
Ilaria Mori
Ivan Andres Rosas Saavedra
Celeste Volpi

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18 Aprile 2013

Design litico

Tecnologie digitali e talento creativo*

English version


Drappi di Pietra, Tulle

[photogallery]tulle_album[/photogallery]

Il designer contemporaneo deve saper fare buon uso delle possibilità proteiformi offerte dalle avanguardie industriali del presente. Oggi le attrezzature meccaniche non sono solamente statiche ma possono imparare dall’esperienza, o meglio venir “addestrate” a reagire ad uno specifico feedback. La ripetizione invariata di un’azione o di una funzione, sinonimo di “meccanicità”, è superabile quando è l’essere umano a dirigere il processo produttivo individuando gli input di miglioramento.

La frontiera innovativa dell’industria lapidea contemporanea è produrre artefatti che l’uomo artigianalmente non potrebbe mai realizzare. Elementi seriali nelle qualità estetiche e meccaniche, benché ottenuti lavorando su di una base materica naturale. Alle origini di tale ricerca di esattezza e costanza di risultato vi sono le sostanziali modifiche avvenute sia nel campo della produzione che nella fase di progettazione.
Nel design litico contemporaneo la forma, prima di materializzarsi, diparte dal disegno automatico informatizzato, magico strumento a creazione istantanea, o così si potrebbe pensare, di idee, di prefigurazioni, di modelli di un qualsiasi manufatto. Il software consente di realizzare disegni tecnici di precisione, genera immagini realistiche dell’artefatto sullo schermo del computer, in un secondo tempo trasferisce informazioni geometriche e dimensionali ai programmi di lavorazione per la produzione dei pezzi.
CAD (Computer Aided Design) significa “progettazione assistita da elaboratore”; la progettazione è strettamente congiunta alla produzione attraverso il sistema CAM (Computer aided manufacturing), ovvero “fabbricazione assistita da elaboratore”. In che modo, fino a che punto, il computer “assiste” realmente l’uomo in tali azioni? Certo la macchina affianca il designer consentendo la precisione nel disegno tecnico e fornisce informazioni agli utensili nella produzione e lavorazione del pezzo, ma sta alle facoltà concettuali umane il compito di indirizzare l’azione sia dell’elaboratore che della meccanica di produzione.
Questo è l’atteggiamento che possiamo riconoscere nella concezione, prototipizzazione e industrializzazione delle collezioni di design litico realizzate negli anni, con tenacia e creatività, da Raffaello Galiotto e Lithos Design.


Drappi di Pietra, Chiffon

Negli ultimi anni del XX secolo abbiamo assistito ad una particolare rivoluzione che partendo dai contesti industriali è penetrata sino a raggiungere le strutture di progettazione ed il settore della formazione. Nell’ambito del progetto, sia esso design di prodotto, di interni o architettura, i sistemi informatizzati di disegno, renderizzazione, prototipazione sono andati affermandosi offrendo sempre maggiore potenzialità prefigurative.
Il mondo del disegno digitale ha rivoluzionato il modo di pensare il progetto ponendo, come tutte le grandi trasformazioni, anche variabili di rischio. A repentaglio ne è risultato il rapporto tra l’intelligenza creativa e la corrispondente capacità realizzativa dell’uomo, trasferita dalla mano agli strumenti meccanici. Per dirla alla Richard Sennett, una minaccia verso lo sviluppo delle abilità dell’uomo artigiano1.

Le opportunità formali e materiali del disegno automatico, della modellazione tridimensionale e della “renderizzazione” (ovvero di simulazione della visione reale), appaiono oramai vaste e “spettacolari”. È sufficiente predisporre alcuni punti sullo schermo e trasmettere qualche comando a tastiera che un effetto prefigurativo, fatto di linee a due o tre dimensioni, può essere generato con grande facilità. Il progetto poi può essere modificato con estrema velocità e altrettanto velocemente lo si può cancellare, con minor conseguenze di quando il disegno veniva realizzato su supporto cartaceo.
Mutazioni, rigenerazioni, avvicinamenti e prospettive lontane, ricreabili alla velocità di un istante e infinitamente autogeneranti sono così a disposizione dei progettisti. E grande può risultare la fascinazione ipnotica per il gioco che linee e superfici vettoriali tracciano nel mondo immateriale, leggero, virtuale dello schermo.
Diverso, invece, quando l’invenzione e le idee incontrano la materia fisica, reale, pesante. E se la materia è la pietra l’impatto è ancor più singolare.


Taglio di elementi litici con macchine a controllo numerico

Gli strumenti informatici, nel campo della progettazione, hanno indotto un progressivo distacco tra la creatività e la capacità manuale dell’autore proprio per la velocità a completare l’idea ancora prima che essa sia realizzata. La simulazione visiva possibile a schermo è considerata infatti altamente realistica, indipendentemente dalla realizzazione tangibile di ciò che è rappresentato.
Se tali opportunità possono essere di stimolo senza dubbio alla generazione di forme sinora impensabili, la concezione prefigurativa resa possibile dai sistemi digitali può tuttavia porre il rischio di scarsa riflessione e approfondimento sulla qualità e valore delle cose.
La rappresentazione prima svolta su carta dalla mano era lenta e riflessiva e costringeva l’uomo a pensare e radicare nella mente l’effetto delle sue scelte. L’esecuzione dei segni, la ripetizione di tratteggi con precisione millimetrica, la correzione manuale degli errori, la scelta di colori e simbologie tra una gamma limitata di possibilità, era molto diversa dal testare librerie preconfigurate e pressoché infinite di trame, texture, colori, effetti di luce, campiture materiche.
In quest’abbondanza di opzioni possibili, cui si aggiunge la velocità esecutiva del disegno automatico che comprime i momenti riflessivi e creativi, si trova ad operare il progettista contemporaneo, correndo il rischio di risultare “assistito” dalle macchine piuttosto che indirizzarle e “piegarle” al proprio progetto. Nelle funzioni di default, preconfigurate, non si individua la soluzione; essa può risultare solo coniugando la conoscenza del materiale con la comprensione delle conseguenze che si possono ottenere attraverso le diverse impostazioni della macchina, guidando l’utensile alla precisa corrispondenza con l’idea prefigurata.


Taglio di elementi litici con macchine a controllo numerico

L’opera intera di Raffaello Galiotto svolta con Lithos Design sembra invece opportunamente governare tale sistema di rappresentazione. è evidente come il designer abbia padronanza degli strumenti, li sappia sottomettere e da essi non sia dominato. Individuando un proprio linguaggio, applicando scelte, Galiotto ribalta il processo e diviene il protagonista che governa, dialoga, “assiste” e dirige le macchine.
In particolare il lavoro svolto sul materiale lapideo è stato reso possibile dal know-how della giovane azienda vicentina.
A quest’ultima va il merito di essere fortemente dinamica, attiva e capace di mettere in valore le proprie risorse tecnologiche per raggiungere l’obiettivo del progetto, nel rispetto dei requisiti di produttività ed economia della produzione. Con un approccio che ancora guarda alla qualità dell’alto artigianato, Lithos Design sa unire il pensare e il fare, ritornando in progress continuo a rivisitare il progetto attraverso gli strumenti per realizzarlo e mostrandosi predisposta alle continue metamorfosi circolari del progetto. A suo vantaggio la conoscenza approfondita del materiale lapideo, trasferita puntualmente al designer per ottenere il risultato di una organica e armonica simbiosi.
Il rischio di discrasia, di disequilibrio, tra la prefigurazione del disegno attraverso la simulazione digitale e la corporeità fisica del prodotto è superato dalla conoscenza fisica della realtà materiale con la quale si opera, in questo caso propriamente le qualità specifiche dei materiali lapidei.
Il team di progetto e manageriale – il designer e le figure di Alberto e Claudio Bevilacqua titolari di Lithos Design – ha esperito direttamente con i sensi gli effetti della luce sulla materia, ha conosciuto attraverso l’esperienza tattile la matericità delle superfici dei diversi litotipi, sa come si comportano al calore, al vento, alle sollecitazioni strutturali, all’azione forte e incisiva delle macchine sul blocco.
Solo partendo da tali presupposti la simulazione digitale non è surrogato imperfetto del reale ma utile strumento di verifica e prova. Conoscendo intimamente le proprietà della materia litica, i condizionamenti e vincoli reali che essa può comportare, l’intelligenza e la creatività progettuale non hanno utilizzato l’elaboratore elettronico come strumento per rimuovere, o dissimulare, le difficoltà reali del progetto.


Drappi di Pietra, Foulard

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In un dialogo continuo, il processo messo a punto da Lithos Design configura e controlla prima il disegno, poi le informazioni da trasmettersi alle potenti macchine a controllo numerico, quindi le difficoltà che l’incontro tra gli utensili e la materia inevitabilmente genera, per modellare su di esse la precisione millimetrica che il sistema CAD/CAM consente.
I progetti di Raffaello Galiotto per Lithos Design sono pensati esclusivamente per essere realizzati a macchina, in serie univoche e omogenee che incontrano la naturale eterogenità dei vari litotipi. I risultati – serie di artefatti dalla precisione morfologica assoluta – sono resi possibili proprio dal controllo e correzione delle imperfezioni: incontro tra macchina e materia, libertà adattiva della pietra naturale e componenti meccanizzate. È proprio l’indeterminatezza e la peculiarità del materiale lapideo, lavorato dalla precisione degli utensili, a generare e determinare la bellezza degli oggetti. Solo in tal modo gli artefatti di design litico acquisiscono “carattere”.
La manipolazione e simulazione di oggetti generati e sviluppati all’interno degli schermi dei computer (e in apparenza come già compiuti), non deve sottrarre il progettista a revisionare, a riscrivere il progetto, mettendo in discussione il disegno attraverso l’auto-riflessività e reintroducendo elementi di variabilità e nuovi sviluppi. Solo in questo modo la ricerca non perde occasioni di avanzamento, di apprendimento, e l’ingegno umano rimane partecipe e non consumatore passivo di strumenti.


Drappi di Pietra, Organza

Raffaello Galiotto nel suo modo di progettare ritorna circolarmente al disegno, alla verifica in fase di produzione, al gesto manuale e allo studio delle proporzioni rispetto all’occhio e al corpo umano che il disegno automatico, infinitamente scalabile, non consente.
La grande sfida a cui rispondono i manufatti che incontriamo lungo il tragitto creativo svolto con Lithos Design, è continuare ad essere concepiti con qualità di alto artigianato, facendo uso corretto della tecnologia digitale e mediando attraverso conoscenza ed esperienza reale della materia.
Il designer, conservando pensiero e pratica come attitudini intimamente connesse, è teso a risolvere il conflitto tra la visionarietà e le abilità manuali e delle macchine.
Con impegno e dedizione, con costanza nell’individuazione dei problemi e della loro risoluzione, lascia il progetto aperto ogni volta, in una zona di confine, pronto ad accogliere la metamorfosi litica successiva.

Veronica Dal Buono

Nota
1 Richard Sennet, L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli, 2008, pp. 318 (ed. or. The Craftsman, New Haven & London, Yale University Press, 2008).

* Il presente saggio è tratto dal volume Veronica Dal Buono, Raffaello Galiotto. Design digitale e materialità litica, Melfi, Librìa, 2012.
Sempre su Architetturadipietra.it, verrà ri-editato l’intero volume in forma progressiva nel corso delle prossime settimane.

Vai al saggio precedente.

Aggiornata la Libreria Lithos Design

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18 Aprile 2013

English

Digital technologies and creative talent

Versione italiana

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A contemporary designer must know how to make good use of the protean possibilities that modern-day avant-garde industrial tools offer. Today mechanical tools are not merely static, but can learn from experience, or rather are ‘trained’ to react to specific feedback. The unvaried repetition of an action or a function, a synonym of mechanicity, can be overcome when a human being guides the productive process and identifies input for improvement.

The innovative frontier in the modern-day stone industry is to produce artefacts that man cannot make by hand. These are serial elements in their aesthetic and mechanical qualities, but have been obtained by working with a natural material. At the base of this research into precise, constant results, are the substantial changes that have occurred in both the fields of production and design.
In contemporary stone design, before the form materialises it begins with automatic computer design, a magical tool that instantaneously – one could think – creates or produces ideas, pre-representations and models of any artefact. Software creates precision technical design and generates realistic images of the object on the computer screen. It then transfers geometrical and dimensional information to manufacturing programmes in order to produce the artefacts.
With CAD (Computer Aided Design), design is closely linked to production through the CAM (Computer Aided Manufacturing system). In what way and to what extent can a computer really ‘aid’ a human in these tasks? Of course the machine supports the designer, allowing the production of precise technical design and providing information for tools in the production and manufacture of an artefact, but it is man’s conceptual faculty that guides the action of both the computer and the mechanics of production.
We can see this attitude in the concept, prototype creation and production of the design stone collections created over the years with tenacity and creativity by Raffaello Galiotto and Lithos Design.

Towards the end of the 20th century we saw a special kind of revolution that began in industrial contexts and penetrated the structures of design and training. In the design field – whether it is product design, interior design or architectural design – computerised systems of design, rendering and creating prototypes have become increasingly commonplace, offering a growing potential for pre-representation.
The world of digital design has revolutionised the way we think about design and, like all great transformations, it also has some elements of risk. The danger is to the relationship between man’s creative intelligence and his corresponding productive ability, which is now transferred from his hands to mechanical tools. In the words of Richard Sennett, it is a threat to the development of the craftsman’s ability.1

The formal and material opportunities offered by automatic design, three-dimensional modelling and ‘rendering’ (i.e. simulating real vision) appear vast and ‘spectacular’. We only need to put a few dots on the screen and press a few keys on the keyboard to create a pre-representational effect, made up of two or three-dimensional lines, with great ease. The design can then be modified extremely rapidly and cancelled just as quickly, with fewer consequences than when the design is on paper.
Mutations, regenerations, close-ups and faraway perspectives, created in an instant and infinitely self-generating, are at the designer’s fingertips. And there is a great hypnotic fascination in the interplay of lines and vectorial surfaces in the light, immaterial and virtual world of the computer screen.
It is different, however, when invention and ideas come into contact with real, physical, heavy material. And if the material is stone, the impact is even more striking.

Digital design tools have led to an increasing separation from the creative and manual ability of the author, because of the speed at which an idea can be completed before it is actually produced. The visual simulation possible on a screen is considered highly realistic, independent of the tangible realisation of what is represented.
If these opportunities are undoubtedly a stimulus to creating forms that were undreamt of before, the pre-representational conception made possible by computerised systems may, however, result in the risk of a lack of reflection and in-depth thought on the quality and value of objects.
Representation set down on paper by hand in the past was slow and reflective and forced the designer to think and root the effect of his choices in his mind. Drawing signs, repeating lines with millimetric precision, manually correcting errors, choosing colours and symbols from a limited range of possibilities was very different from testing pre-prepared and virtually endless libraries of weaves, textures, colours and material backgrounds.
Today’s designer works with this abundance of possible options, combined with the speed of automatic design, which compresses reflective and creative moments and he runs the risk of being ‘aided’ by machines instead of directing them and ‘bending’ them towards his design. There are no solutions in pre-set default functions; solutions can only be devised combining a knowledge of material with an understanding of the consequences that can result from different machine settings, guiding the tool to precisely correspond with the pre-set idea.

All Raffaello Galiotto’s work with Lithos Design seems, by contrast, to control this system of representation. The designer’s command of his tools is evident. He knows how to subordinate them and is not dominated by them. By identifying his own language and applying his choices, Galiotto turns the process on its head and becomes the central figure that governs, dialogues, ‘aids’ and directs the machines.
In particular, the work carried out in stone has been made possible as a result of the know-how of this young brand from Vicenza.
The company is extremely dynamic, active and able to exploit the value of its technological resources to achieve the aims of the design, while respecting productive and economic constraints. With an approach that still looks to high quality craftsmanship, Lithos Design knows how to combine thought and action, returning in continual progress to review the design through the tools arranged to create it, and remaining open to the continual circular metamorphosis of the design. Its advantage is an in-depth knowledge of stone, transferred precisely to the designer to obtain a result of organic and harmonious symbiosis.
The risk of imbalance between the pre-representation of the design through digital simulation and the physical corporeity of the product is overcome by the physical knowledge of the reality of the material that the designer is working with, in this case with the specific qualities of stone.
The design and management team – the designer and Alberto and Claudio Bevilacqua, owners of Lithos Design – have directly experienced the effect of light on material, they have discovered the material nature of different types of stone through touch, they know how it reacts to heat, wind, structural effects and to the strong and incisive action of machines on stone blocks.
It is only starting from these conditions that digital simulation is not an imperfect surrogate for reality, but a useful tool for verifying and testing. When one has an intimate knowledge of the properties of stone and the conditions and real constraints that it can pose, his intelligence and creativity in design do not use computer simulation as a tool to remove or dissimulate the real difficulties of the project.

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In an ongoing dialogue, the process developed by Lithos Design first configures and checks the design, then the information to be transmitted to the powerful, numerically controlled machines, finally the difficulties that this meeting between tools and the material inevitably generates – to create a model using the millimetric precision of CAD/CAM systems.
Raffaello Galiotto’s work for Lithos Design is designed exclusively to be produced on a machine, in univocal and homogeneous series that encounter the naturally heterogeneous nature of various types of stone. The results – series of artefacts of absolute morphological precision – are achieved by checking and correcting imperfections: a meeting between machine and material and the freedom to adapt natural stone and mechanical components. It is the indeterminate nature and special features of stone, precision moulded by tools, which produce and determine the beauty of the artefacts. Only in this way does stone design acquire ‘character’.
The manipulation of objects generated and developed on computer screens (and, apparently, already fully formed) does not mean that the designer should not revise and re-formulate a design. He should look at it critically, through self-reflection, and reintroduce elements of variability and new developments. Only in this way can research continue to advance and learn and human creativity remain an active, rather than a passive consumer of tools.

Raffaello Galiotto’s method of designing returns to the design in a circular manner, to checks during production, to manual gestures and to the study of proportions in terms of the eye and the human body, which computer design, with its endless scalability, does not allow.
The great challenge met by the artefacts produced along his creative path with Lithos Design, is to continue to be conceived with high quality craftsmanship, with a proper use of digital technology and a real knowledge and experience of material.
The designer, for whom thought and practice are still intimately linked attitudes, aims to resolve the conflict between his visionary nature and manual skill and machines.
With commitment, dedication and constancy in identifying and solving problems, he leaves the design open each time, in a borderline area ready to welcome the next metamorphosis of stone.

by Veronica Dal Buono

Note
1 Richard Sennet, L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli, 2008, pp. 318 (ed. or The Craftsman, New Haven & London, Yale University Press, 2008).

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15 Aprile 2013

Letture

Raffaello Galiotto
Design digitale e materialità litica

RAFFAELLO GALIOTTO
Design digitale e materialità litica
Veronica Dal Buono
Librìa, Melfi 2012
93 pagine
illustrazioni a colori
18,00 Euro
testo in italiano/inglese

Dopo aver esplorato le potenzialità di diversi tipi di materiali, la carica figurativa del lavoro del designer Raffaello Galiotto, unita alla felice e illuminata collaborazione di Lithos Design, raggiunge e sorprende il mondo del materiale lapideo. Questa straordinaria esperienza, che coniuga creatività e conoscenza approfondita della pietra, know-how tecnologico e ricerca continua, è raccontata con attenta sensibilità dall’autrice Veronica dal Buono, nel libro recentemente pubblicato e dedicato al giovane Designer, quinto volume della Collana Lithos, casa editrice Librìa. Attraverso il percorso che permette di riscoprire non solo le caratteristiche intrinseche e quindi materiche dell’elemento lapideo, ma anche il suo forte valore memoriale, si rivela gradualmente l’approccio che ha condotto alla realizzazione delle collezioni firmate da Galiotto, manifestazione delle potenzialità nascoste nella pietra. Esse, come sottolinea Pavan, sono esemplificazione del superamento del concetto che ha accompagnato l’utilizzo di questo materiale nella progettazione, considerato in grado di fare “di per sé “, al quale fino a pochi decenni fa veniva attribuito valore solo per il fatto di essere pietra esule da ogni tipo di lavorazione. Partendo da questo nuovo punto di vista trae origine il percorso di indagine del progettista e dell’azienda, spaziante dal rivestimento fino ad arrivare a veri e propri elementi strutturali che portano alla definizione degli spazi. Come anticipa la stessa autrice, nella prima parte del libro, la pietra si offre al designer quale massa profonda, suscettibile di definizione disegnativa, che scavata e incisa porta alla luce l’attributo della forma. Tenendo presente ciò, sfogliando le pagine del libro, si procede su una strada carica di elementi di sperimentazione e ricca di inediti, che permette di scoprire l’iter ideativo e creativo, processuale e produttivo delle diverse collezioni.


Raffaello Galiotto per Lithos Design

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Indispensabile per la progettazione diventa il supporto informatico, nell’accezione del designer industriale che non concepisce la lavorazione della pietra come faceva l’artigiano. Da essa vuole trarre l’anima e sfruttarne le potenzialità, evitando però quelle imperfezioni tipiche della lavorazione manuale. Come afferma lo stesso Galiotto non si può parlare di produzione artistica ma di design. Il designer industriale è un progettista che non mette mano direttamente all’opera ma la affida a un esecutore esterno, quindi non è la capacità manuale il fattore primario di resa dell’opera ma la congiunzione fra la visionarietà, la forza del progetto, la precisione e la forza dell’esecuzione meccanica. In questo senso l’apporto del design digitale risulta indispensabile, poiché attraverso esso il progettista mette forma alla materia naturale per dare origine a singolari risultati modulari dove la matericità litica si dissolve per dare origine ad apparati eterei, in cui la pietra trova ragione nella contrapposizione e nella diversa combinazione delle masse, degli spessori, delle superfici. Anche la luce, altro elemento naturale imprescindibile nella progettazione, si ritrova a definire la materia che, nei riflessi chiaro scuri, vede esaltate le linee morbide delle collezioni. Il percorso di Galiotto, come si scopre proseguendo nella lettura, è imprescindibile dal forte rapporto simbiotico con l’azienda vicentina, con la quale ha condiviso la stessa sensibilità di approccio nei confronti del materiale o meglio, come rivela nelle interviste riportate dall’autrice, un approccio ossequioso alla pietra, in quanto materiale straordinario e irripetibile, ricco di numerosi carichi semantici. In questo senso il libro non propone solamente un resoconto stilistico dell’opera del progettista, ma si avvicina a tematiche di forte contemporaneità, partendo dal rapporto tra azienda e designer, sottolineandone, laddove ci sia capacità di apertura e confronto, grande potenzialità, fino ad arrivare a trattare la lavorazione sostenibile del materiale lapideo, prerogativa indispensabile per chi si avvicina alla progettazione con responsabilità, toccando i temi della formazione artistica e dell’avvicinamento del design alla produzione industriale. Non solo semplice raccolta di immagini, questo libro diviene il racconto di come un approccio contemporaneo a un materiale antico, come la pietra, porti a straordinari risultati di equilibrio estetico e di poesia formale nella composizione.

di Federica Poini

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Lithos Design
Raffaello Galiotto
Librìa

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11 Aprile 2013

PostScriptum

INTERNI A TEMPO
Le nuove concezioni dell’albergo nell’era dei nomadi globali


Una camera dell’Hotel Silken Puerta America a Madrid, 2005. Interior design Zaha Hadid.

«”Tipo dei tipi” che unifica e sintetizza tutto quanto lo precede: Il Grand Hôtel internazionale della fine dell’Ottocento. È questo un prodotto della rivoluzione industriale, della strada ferrata, dell’internazionalismo e del continuo aumento dei traffici commerciali; ma lo è ancora della radicale trasformazione in senso borghese della società: materialismo trionfante, teoria del progresso illimitato, divinizzazione della ricchezza e del successo.
È il Grand Hôtel, tempio dei nuovi dei, sintesi grandiosa di questi valori; vi si onora quanto delle antiche gerarchie sopravvive ancora nel mondo – nobiltà, famiglie, regnanti, intellettuali ed artisti – ma vi si adora il borghese, il ricco per il solo valore della sua ricchezza. Qui l’ospite è ossequiato come un dio da uno stuolo di domestici, impersonali nelle impeccabili livree, che manifestamente venerano in lui il suo conto in banca. Ogni inchino ha il suo prezzo: il cliente lo sa, ed è soddisfatto nel vedersi riverito come di un riconoscimento del suo valore economico, e perciò del suo successo di vita.
È in questo periodo che il servizio alberghiero, divenuto sempre più complesso assume i caratteri di una scienza vera e propria: si precisano e si cristallizzano in rigidi codici le funzioni e la gerarchia del personale, si forma in ogni settore della conduzione una serie di vere e proprie leggi: dalle varie tradizioni alberghiere nazionali nasce una tradizione unitaria e completa, con valore universale»
1.

L’albergo moderno. Unicità vs ripetizione
Nella sua accezione canonica e convenzionale l’albergo è un edificio appositamente costruito (ma spesso anche risultato di rifunzionalizzazioni di costruzioni preesistenti) ed adeguatamente attrezzato per poter fornire un alloggio – e altri servizi – a pagamento a ospiti di passaggio per un soggiorno temporaneo.
Come organismo architettonico l’albergo ha assunto caratteri tipologici maturi solo in età moderna quando – a fianco di elementari strutture di ospitalità esistenti da secoli – si sono affermati i grandi alberghi urbani (insieme a quelli speciali legati al soggiorno di vacanza in località marine, montane, termali) alimentate dalle prime forme di turismo delle elite borghesi e cosmopolite ottocentesche.


Bagni delle camere dell’Hotel Silken Puerta America a Madrid, 2005. Interior design Zaha Hadid.

Il Grand Hôtel ne incarna la codificazione più prestigiosa attraverso i suoi saloni, gli spazi di rappresentanza e di convivialità che ne caratterizzano in senso aulico e monumentale il piano terra espanso, spesso, verso l’esterno delle terrazze, dei giardini, delle aree all’aperto, e – a volte visivamente – spalancato verso il paesaggio naturalistico.
La condizione di unicità e di elitarietà degli spazi di uso comune viene comunemente riproposta negli appartamenti privati organizzati generalmente nei piani superiori attraverso i linguaggi convenzionali di un classicismo reinterpretato attraverso le contaminazioni e gli innesti di un eclettismo stilistico tipico dell’epoca.
Nel modello del Grand Hôtel si assiste al trattamento elegante e sfarzoso degli spazi architettonici, degli arredamenti e complementi di servizio; un processo di “estetizzazione” e di “spettacolarizzazione” pervade tutti i luoghi, gli artefatti e i momenti cerimoniali del vivere temporaneo in questi grandi contenitori interpretabili come palcoscenici di rappresentanza delle elite borghesi emergenti.


Un interno dell’Hotel Silken Puerta America a Madrid, 2005. Interior design Zaha Hadid.

Lungo la prima metà del Novecento – con l’affermarsi della visione industriale della produzione di grande serie e sulla scia delle ricerche di riduzionismo figurativo e di razionalizzazione degli schemi spaziali e distributivi dell’architettura promosse dal Movimento Moderno – viene progressivamente codificata la nuova tipologia dell’hotel delle grandi catene alberghiere che si distacca sia dalla versione storicistica e monumentale del Grand Hôtel, sia dagli hotel di prestigio caratterizzati dall’unicità di luogo insediativo e di concezione architettonica, spaziale, arredativa.
Nella nuova forma di tipologica – generata da un approccio economico di tipo aziendale e rivolta a target di clienti rigorosamente individuati – emerge una visione che tende a codificare un prototipo di albergo ben definito e standardizzato nel linguaggio architettonico, nella configurazione degli spazi comuni e in quelli di uso individuale (le camere l’albergo), nei servizi offerti per il soggiorno temporaneo.


Le camere dell’Ice Hotel a Jukkasjarvi realizzate da Ake Larsson con altri scultori del ghiaccio, 2011.

La ripetizione dello stesso modello in città e luoghi diversi – con la reiterazione dei caratteri tipologici, formali, arredativi che accolgono e introducono i nuovi materiali e i prodotti dell’universo industriale – decreta il successo per decenni delle grandi catene alberghiere, in quanto portatrici di innovazione di immagine e di servizio presso una clientela medio-alta che cresce con l’aumentare degli scambi commerciali e dei viaggi nazionali ed internazionali.
Insieme alla gestione economica centralizzata di tipo aziendalista si afferma nelle grandi catene alberghiere la visione innovativa del marketing promozionale che fa leva sulla comunicazione, sulla creazione e valorizzazione di un’immagine coordinata.
Il concetto di standardizzazione e di replicazione su vasta scala (di spazi, finiture, arredi, servizi) scaturisce dalle esigenze di razionalizzazione di una produzione di tipo industriale capace di pervenire, da una parte, ad una riduzione dei costi di realizzazione degli hotel (e conseguentemente dei prezzi praticabili per i clienti con un equilibrato rapporto qualità-prezzo) e, dall’altra, a consolidare una immagine alberghiera facilmente identificabile e memorabile in cui gli ospiti si possano sentire a proprio agio in quanto accolti da ambienti sempre simili (se non uguali) e quindi familiari dell’hotel.


Il centro benessere del Grand Hotel Dolder a Zurigo, 2008. Interior design Norman Foster.

La stessa immagine architettonica, arredativa, comunicativa, ripetuta tante volte diventa caratteristica e peculiare delle catene alberghiere che realizzano strutture di ospitalità distribuite nel mondo intero.
Si anticipa, in nuce, con gli hotel cloni di se stessi, uno dei tanti “non-luoghi” della società globalizzata, dotati di ambivalenza e teorizzati dall’antropologo Marc Augè :
«I non-luoghi rappresentano l’epoca, ne danno una misura quantificabile ricavata addizionando – con qualche conversione fra superficie, volume e distanza – le vie aeree, ferroviarie, autostradali e gli abitacoli mobili detti “mezzi di trasporto” (aerei, treni, auto), gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, le grandi catene alberghiere, le strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali (…)
Paradosso del non-luogo: lo straniero smarrito in un Paese che non conosce (lo straniero “di passaggio”) si ritrova soltanto nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio, dei grandi magazzini o delle catene alberghiere».
2


Un corridoio-galleria del Grand Hotel Dolder a Zurigo, 2008. Interior design Norman Foster.

Gli hotel a tema nell’era dei nomadi globali
Mobilità, turismo, viaggi di lavoro, soggiorni temporanei e nomadismo globale oramai rappresentano sempre più l’epoca contemporanea in cui siamo immersi.
Come afferma Pierre Lévy: «L’economia contemporanea è una economia della deterritorializzazione o della virtualizzazione. Ricordiamo che il principale settore mondiale in termini di volumi d’affari è quello del turismo: viaggi, alberghi, ristoranti. Mai come oggi l’umanità ha consacrato tante risorse allo spostarsi, al mangiare, dormire, vivere fuori casa, ad allontanarsi dal proprio domicilio».3
Resta paradigmatica l’assenza – salvo rari e particolarissimi casi – di alberghi documentati adeguatamente nella letteratura critica o nelle storie dell’architettura moderna scritte lungo il secondo Novecento; la trattazione degli organismi alberghieri è stata in genere relegata nei manuali di tecnica alberghiera o nei manuali di progettazione edilizia attraverso l’approfondimento dei soli caratteri funzionali, dimensionali, distributivi.


Il ristorante e il lounge bar dell’Nhow Hotel a Berlino, 2010. Interior design Karim Rashid.

Disinteresse per un comparto dell’architettura ritenuto “commerciale” piuttosto che di ricerca e di sperimentazione? O, forse, settore ritenuto appannaggio degli interior designer piuttosto che degli architetti?
In realtà nell’esperienza contemporanea si assiste all’affermarsi di iniziative progettuali di alberghi la cui architettura e interior design assumono particolarissima rilevanza con il coinvolgimento di famosi architetti, designer, artisti, stilisti. Numerose anche le pubblicazioni recenti che affrontano (sia pur spesso attraverso libri prevalentemente d’immagini) l’illustrazione degli hotel contemporanei.
Nei nuovi alberghi sperimentali e di ricerca sembra potersi leggere il distillato delle metamorfosi legate ai nuovi riti ed abitudini che hanno investito la società globalizzata soprattutto le sue élite costantemente in movimento – per motivi di lavoro o di turismo – portatrici di nuove esigenze e di nuovi stili di vita connesse all’esperienze del viaggio e dell’abitare temporaneo.
Nella società fluida e deterritorializzata, insieme alla ridefinizione innovativa della camera o della suite d’albergo, è soprattutto la concezione del cuore pulsante degli alberghi (gli spazi di uso collettivo) ad essere rivista e reinterpretata attraverso innovative strategie di ospitalità, creatività e multiformi linguaggi.


Una camera e un bagno dell’Nhow Hotel a Berlino, 2010. Interior design Karim Rashid.

A partire dagli anni Ottanta del Novecento – a fronte della convenzionalità assunta dagli hotel delle grandi catene alberghiere si registra soprattutto negli “alberghi indipendenti” legati al target alto una tendenza innovativa indirizzata ad abbandonare ogni visione stereotipata e a reinterpretare l’immagine architettonica, la spazialità e il design d’interni, i servizi offerti per l’ospitalità al fine di incentivare la valorizzazione del rapporto emotivo cliente-albergo nel suo complesso.
I nuovi modelli più che agli hotel standardizzati e alla loro concezione “funzionalista-efficientista” guardano al fascino e all’attrattività esercitata storicamente dai grand hôtel con i loro spazi slargati, scenografici, interconnessi, capaci di fornire suggestioni, spunti per il rinnovamento dell’albergo. Chiaramente nei casi autenticamente innovativi lo sguardo rivolto verso i grand hôtel viene epurato di ogni “nostalgia”, di ogni ipotesi di riproposizione stilistica e negli spazi comuni dell’hotel contemporaneo si ricercano significati d’uso e di socialità declinati attraverso inediti assetti spaziali, originali soluzioni di interior design con l’innesto dei nuovi apporti delle tecnologie di servizio e di comunicazione che diventeranno sempre più portatori di riforme sostanziali dell’anima pulsante dell’organismo alberghiero.


Una stanza da bagno e un patio de La Sommità Relais Culti a Ostuni, 2004.

La tendenza generale vede riplasmare gli spazi comuni intorno alla centralità della hall dell’albergo, attraverso immissioni ed innesti di nuovi servizi, eventi, attività, artefatti tradizionalmente non contemplati.
Questa rivisitazione è rivolta agli ospiti degli hotel, ma sempre più “strizza l’occhio” ad un pubblico più ampio cercando in qualche modo di rendere permeabili e fruibili gli spazi interni ed interclusi degli alberghi rispetto a quelli esterni (aperti) della città o del paesaggio naturale in cui, a volte, si inseriscono.
È evidente che questa nuova visione impone ai progettisti di una sostanziale reinvenzione del modo di pensare e strutturare gli spazi interni quali elementi di richiamo per un pubblico “altro” rispetto a quello dei soli ospiti in soggiorno temporaneo.
Si delinea cosi, progressivamente, la tendenza degli hotel a tema – spesso fortemente autoriali, visto il largo coinvolgimento dello star sistem di architetti, interior designer, designers a cui si aggiungono anche altre figure creative quali artisti, stilisti, grandi chef. Hotel dotati di un valore di unicità e di forte identità.
La ricerca innovativa e sperimentale opera contestualmente sull’immagine dell’architettura – nella sua interrelazione con i vari contesti urbani o naturalistici – e sullo spazio interno plasmato da un progetto d’interior design indirizzato spesso ad enfatizzare un tema principale e dare vita ad un’atmosfera memorabile in cui assumono importanza crescente le componenti in grado di attivare esperienze multisensoriali (materiali, colori, luci, suoni…) con la messa in scena di artefatti ed “esperienze di vita” offerte agli ospiti (prevalentemente a pagamento).

di Alfonso Acocella

Note
1 Fabrizio Giovenale, “Alberghi” p. 8, in Pasquale Carbonara, Architettura pratica, Torino, Utet, 1954, vol. II;
2 Marc Augè, Non luoghi, Milano, Eleuthera, 1993, (Non-lieux, 1992);
3 Pierre Lévy, Il virtuale, Milano, Cortina, 1997, (Qu’est-ce que le virtuel?, 1995), p. 64

Bibliografia di riferimento:
Andrea Branzi, La casa calda: esperienze del nuovo design italiano, Idea Books, Milano, 1984, pp. 156;
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Giacomo Rizzi, Abitare essere e benessere. Architettura d’interni e psicologia, Milano, Led, 1999, pp. 140;
Walter A.Rutes, Richard H. Penner, Lawrence Adams, Hotel design: planning and development, New York, Norton & Co., 2001, pp. 422;
Donald Albrecht, New hotels for global nomads, London, Merrel, 2002, pp. 159;
Andrea Branzi, “Il mondo che cambia”, in Ida Farè, Silvia Piardi (a cura di), Nuove specie di spazi, Liguori, Napoli, 2003, pp. 168;
Giampaolo Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Milano, Franco Angeli, 2003, pp. 464;
Jill Entwistle, Designing with lights: hotels, Rotovision, 2000, pp. 160;
Gianluca Peluffo, Hotel: architetture 1990-2005, Milano, Motta, 2003, 279 pp. 279;
Gianni Gurnari, Hotel benessere. Lo spazio benessere nelle strutture ricettive, Bologna, Il Campo, 2005, p. 112;
Otto Riewoldt, New hotel design, London, Laurence King, 2006, pp. 239;
Giacomo Rizzi, Il benessere in hotel, Milano, Idea Books, 2007, pp. ;
Giacomo Rizzi, Hotel Experience, Savona, Dogma, 2009, pp. 206;
Nicola Lecca, New luxury hotel, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 208;
Martin Nicholas Kunz, Hotel di charme, Modena, Logos, 2010, pp. 648;
Tiziano Aglieri Rinella, Hotel design. Fondamenti di progettazione alberghiera, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 254.

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