25 Maggio 2007
Pietre d`Italia
Lo studio delle rocce. Le sezioni sottili
Sezione sottile di una roccia magmatica intrusiva
To see a world in a grain of sand
And a heaven in a wild flower
Hold infinity in the palm of your hand
And eternity in an hour
Wiliam Blake
Per arrivare a dare il nome scientifico ad una roccia, è fondamentale definirne con precisione i componenti. È solo in questo modo, infatti, che grazie all’aiuto di diagrammi compositivi, si arriva a stabilirne la corretta denominazione petrografica.
Tale tipo di indagine, effettuata da un geologo che abbia una specializzazione in petrografia, viene effettuata usando il microscopio da petrografia che consente di lavorare in luce trasmessa e polarizzata, e considerando quindi le varie caratteristiche dei singoli costituenti la roccia (colore, forma, rilievo, pleocroismo, sfaldature, propagazione della luce nel suo interno…) egli potrà arrivare a riconoscerne la genesi, i costituenti, e quindi a darle il nome petrografico.
In questa fase di lavoro, quindi, è necessario utilizzare apparecchiature molto particolari che prevedono una preparazione adeguata del campione roccioso che non può essere studiato tal quale se non in una indagine macroscopica, mentre per la nostra analisi microscopica esso dovrà essere in sezione sottile.
Ma che cosa è in realtà una sezione sottile e come la si ottiene? È una “porzione” di roccia tagliata allo spessore di 0,03 mm: molto sottile, quindi! tanto da consentire che la maggior parte dei minerali costituenti diventino trasparenti alla luce e quindi, proprio grazie all’uso del microscopio polarizzatore vi si possono effettuare tutta una serie di indagini che ne permettono il riconoscimento.
Sezione sottile di una roccia sedimentaria e di una roccia magmatica effusiva
Per la realizzazione di una sezione sottile si parte da un frammento di pietra che sia rappresentativo delle caratteristiche petrografiche della roccia da esaminare e se ciò non fosse possibile, occorrerà effettuare più sezioni sottili per lo studio del materiale.
La sezione sottile, ha uno spessore di 0,030 ±0,005 mm e dimensioni standard pari a 33 mm x 20 mm, che potranno essere eventualmente aumentate qualora si abbia da analizzare litotipi con granuli di dimensioni pluricentimetriche. Qualora la roccia risultasse non particolarmente coerente, è necessario iniziare tutta la nostra procedura di preparazione con un suo consolidamento.
Che venga realizzata per mezzo di macchinari particolari o a mano, in sintesi l’iter seguito per ottenere una sezione sottile è la seguente:
a) si parte con la preparazione della “caramella”, cioè del pezzo di roccia con un lato rettificato di dimensioni pari a 33×20 mm e spessore di pochi mm;
b) si fissa la caramella su un vetrino per mezzo di un collante ad indice noto;
c) nel momento in cui il sistema roccia e vetrino sono ben fissati, si procede con una mola diamantata o a mano fino a ridurre il suo spessore a 1 mm;
d) da questo punto in poi sarebbe preferibile concludere il lavoro a mano, ed utilizzando del Carborundum da 100 ?m si riduce lo spessore della sezione a circa 200 ?m (con questi spessori si inizia ad apprezzare la trasparenza dei minerali non opachi);
e) si passa all’uso del Carborundum con grana 60 ?m e si porta lo spessore del campione in preparazione a 100 ?m (quarzo e feldspati mostrano colori di interferenza chiari di secondo ordine);
f) con il Carborundum a grana di 12 ?m si giunge allo spessore finale di 30 ?m. Per essere sicuri di questo si controlla la sezione con il microscopio: il quarzo ed i feldspati dovranno presentare il loro tipico colore di interferenza di colore grigio, i cristalli di calcite, invece, rosa.
Sezione sottile di una roccia metamorfica
Ottenuto lo spessore voluto (solitamente con fatica e con il costante rischio di “perdere” la sezione), si passa al suo ricoprimento con un secondo vetrino, oppure con una lacca trasparente.
Si può quindi procedere nello studio del materiale per mezzo del microscopio, grazie al quale si analizzerà (come da normativa europea EN 12407) la sua tessitura, i suoi costituenti, le sue discontinuità….. Grazie a tali dati, dopo aver effettuato anche l’indagine macroscopica del campione, e per mezzo di diagrammi petrografici, il petrografo potrà dare la definizione petrografica della roccia che ci permetterà di collocarla in maniera inequivocabile all’interno di una delle varie famiglie che costituiscono il mondo delle rocce.
27 Maggio 2007, 16:26
Alfonso Acocella
Fotografare l’invisibile
Finora in Architetturadipietra.it abbiamo mostrato, guardato, osservato il mondo delle pietre sempre dall’esterno e da una certa distanza: a volte quali stati “informi” del mondo (e mondo esse stesse) altre volte “messe in forma”, configurate dall’uomo in paesaggi culturali, in artefatti di diversa scala e rilevanza.
Quanti viaggi, quanti passi, quante soste ed aggiustamenti del corpo per fotografare le figure solide e dure delle pietre: dalla scala sovrumana delle montagne fino ai più minuti frammenti. Milioni di scatti fissati su chilometri di pellicola e oggi, sempre più, in file elettronici continuano a parlarci del “volto esteriore” del mondo di pietra fatto di infiniti modellati, forme, colori, corrugazioni: montagne immacolate, scogliere a picco sui mari, spiagge di sassi, architetture compatte come monoliti, cippi segnaletici…
A fronte di chi, da due secoli, ha fotografato i volumi, le figure, le superfici delle pietre per cogliere la vita della materia e la rigogliosità delle sue forme esteriori vi è chi, invece, studia la materia, la fotografa attraverso l’oculare di un microscopio per cogliere i caratteri interiori più intimi e nascosti.
Se l’allontanamento (che poi è uguale all’elevazione) rispetto ai corpi di pietra corrisponde alla presa di distanza, alla volontà di catturare una configurazione, una forma significativa esteriore (o un insieme di forme) il movimento opposto corrisponde alla collisione, all’intrudersi addirittura nella materia litica.
Discendere nelle viscere della pietra segna la crisi di ogni visione nota e consuetudinaria. Si accede ad un altro mondo; all’orizzonte virtuale, del non visibile, ma del tutto reale.
Ecco allora che Anna Maria Ferrari, per avvicinarsi alle origini costitutive delle pietre, abbandona il mondo del visibile e attraverso le metodiche della petrografia contemporanea e i mezzi messi a disposizione dalla fotografia scientifica sceglie di inabissarsi in profondità nell’essenza della materia.
Con frammenti litici ridotti a spessori millimetrici (e, poi, progressivamente micrometrici), luce trasmessa e polarizzata, obiettivi in forma di zoom, si indaga su ciò che è impossibile scorgere a occhio nudo (ovvero su ciò che è dato conoscere solo nella specifica struttura microscopica): è come guardare la pietra attraverso una grandissima lente di ingrandimento: le forme della cultura visiva accumulate in decenni svaniscono, al loro posto appaiono nuove forme della materia che solo ora iniziamo a vedere.
Rispetto alle mille immagini di repertorio che ci inseguono attraverso i libri (e sempre più attraverso i media) avvicinandoci ad un “mondo rappresentato” le foto scientifiche – quelle che si producono con apparecchiature speciali nei laboratori delle industrie, degli istituti universitari, dei centri di studio – non sono ancora uscite dagli ambienti della ricerca per entrare nel vocabolario visuale delle persone comuni, anche se più recentemente iniziano a far capolino sulla stampa generalista e nei new media per quel valore di novità, di “mai visto prima”, di indecifrata e astratta figuratività.
A realizzare questo tipo di foto sono, in genere, gli scienziati, i ricercatori, i tecnici utilizzando strumentazioni e metodiche di analisi per vedere e studiare l’invisibile della materia, ovvero l’essere costitutivo delle sostanze.
Una particolarità di tale lavoro è legato al fatto che, oltre ad un percorso di conoscenza scientifica, spesso il medium di’indagine (ovvero la fotografia scientifica) assume di per se anche il fascino, il valore di risultato figurale bidimensionale inaspettato, attrattivo, quasi spettacolare.
In queste immagini il mondo dei componenti fortemente individuati e dei colori più variegati ci proiettano nella vita della materia, ci fanno guardare dentro (nel vero senso della parola) ricevendone l’impressione di coglierne la genesi, il momento magico e alchemico d’origine.
Sin dall’inizio della prefigurazione del progetto Pietre d’Italia inscritto in Lithospedia ci ha affascinato l’idea – condivisa subito con l’Autrice del post che qui commentiamo – di avvicinare le diversità dei saperi disciplinari facendoli dialogare e tentando di trascinare, in uno spettacolo di rete, ciò che in genere è solo repertorio iconografico di laboratori o di testi scientifici universitari.
L’orizzonte che inizia a mostrarsi con il post editato “Lo studio delle rocce. Le sezioni sottili” di Anna Maria Ferrari – geologa e responsabile di Geo Lab, Laboratorio petrografico in TENAX – è quello dell’avvio del progetto digitale della litoteca on line quale archivio elettronico nello spazio di Lithospedia.
Un progetto – quello di Pietre d’Italia – più volte “agitato” in Architetturadipietra.it sia pur svolgendolo da punti di vista diversi (culturali, identitari, economici) rispetto a quanto si vorrebbe evolvere insieme alla Ferrari e a quanti altri volessero unirsi nel percorso di ricerca e di divulgazione scientifica in rete.
Con l’esperta petrografa del Geo Lab il disegno concettuale di Pietre d’Italia imbocca la strada dell’attuazione e della rigorosità di trattazione dei litotipi italiani proiettandoli ben oltre l’orizzonte delle categorie commerciali, delle informazioni parziali, di una certa approssimazione alla conoscenza.
La novità che subito s’impone è il nuovo sguardo che la Ferrari getta sull’essere delle pietre. Le immagini poste a corredo del suo post ci fanno insorgere una domanda interiore: quanti sono gli stati della materia, quali i punti di osservazione e gli sguardi possibili per avvicinarsi e conoscere le pietre ?