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21 Settembre 2009

Opere di Architettura

Piano bar a Santa Maria di Leuca
di Ippazio Fersini*

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Il paesaggio roccioso del Capo di Leuca

Le più antiche costruzioni rurali, realizzate in tempi remoti dai Messapi sulle terre di pietre e di ulivi del Capo di Leuca, furono certo i muri a secco. Costruzioni erette in funzione del materiale ritrovato sul posto, sbarramenti posti a difendere le colture dal vento e dalla salsedine provenienti dal litorale marino; o ancora alti recinti chiusi, detti curtali, a costituire un sicuro riparo per il bestiame e spesso affiancati dal trullo, con la sua copertura a “falsa cupola”sotto cui trovava ricovero il contadino.
«Questa architettura è così intimamente connessa con il paesaggio pietroso da sembrare più che opera dell’uomo, formazione rocciosa spontanea della terra madre. (…) Non solo i trulli testimoniano di un’architettura contadina quale dimora sia temporanea che permanente, ma costruzioni posteriori, sempre antiche e pur conseguenza di una necessità più stabile e comoda sul campo sono le liàme. Liàma significa casa di campagna con volta a botte.
Queste casedde sono di forma rettangolare, con i quattro muri perimetrali in pietre a secco, mentre la volta a botte è in blocchi di pietra tufacea (piezzi de carparu) detti appunto petre lamia. Queste costruzioni permettevano una terrazza più spaziosa di quella del trullo, per i diversi usi, come essiccare fichi o esporre al sole baccelli di leguminose per renderli più secchi prima della trebbiatura, per cui la liàma significò anche terrazza»1.

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La struttura ricettiva e le nuove opere murarie a secco

È adottando i caratteri di quest’ultima tipologia di costruzione rurale che Fersini opera il ridisegno di alcune volumetrie su di un fondo rustico del litorale salentino. L’architettura, riorganizzata nella distribuzione interna per ospitare un locale di pubblico intrattenimento, è rimodellata in forma di blocchi cubici, definiti dai muri verticali lievemente inclinati e dalle terrazze piane sul tetto; la volumetria del costruito è ricondotta alla fine a quella immagine originaria, elementare, quasi spontaneistica di una architettura in pietra a secco che si regge soltanto per gravità.
I materiali lapidei locali, il tufo ed il calcare, rivestono la scatola muraria coadiuvati da malte leganti e commentati da finiture ad intonaco in bolo e cocciopesto. Se la rusticità del pietrame calcareo appena sbozzato definisce la parte basamentale dell’architettura, è il tufo tagliato in conci squadrati e spianati a rivestire l’ultimo piano del corpo principale, chiudendo l’edificio verso il cielo con una cornice aggettante laddove si trova la grande terrazza di copertura, pure pavimentata con grandi chianche tufacee.
Un sapiente dispositivo di conci regolari risolve inoltre le piattabande delle grandi finestre, unica deroga, giustificata dalla vocazione del locale e dalla sua ubicazione panoramica, ad una tradizione costruttiva fatta di scarse e piccole aperture in un paesaggio calcinato dal sole.

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La terrazza principale

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Calcare e tufo ritornano poi nelle pavimentazioni dei terrazzamenti e nei muretti di contenimento che ridisegnano il terreno all’intorno con lo scopo di operare un generale ripristino ambientale dell’area. È chiaro l’intento di mimetizzare l’architettura nel paesaggio circostante, di restituire al luogo la sua specificità di pendio roccioso immerso nella macchia mediterranea.

Alfonso Acocella

Note
* Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624.
1Luigi Ponzi, Monumenti della civiltà contadina del Capo di Leuca, Galatina, Congedo Editore, 1981, pp. 34-35.

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