31 Maggio 2009
Opere di Architettura
MuMoK, Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig (1986-2001)
di Ortner & Ortner*
L’inserimento urano del museo
Il Museo di Arte Moderna Fondazione Ludwig fa parte di un vasto complesso culturale, il Museumsquartier, sviluppato su 60.000 mq ed inserito nell’isolato barocco delle ex-Scuderie Imperiali. Del progetto di Fischer von Erlach, del 1716, resta inalterato il fronte di 350m affacciato sul Ring di Vienna.
E’ con il concorso indetto nel 1986 che inizia la trasformazione dell’intera area dell’Hofställgebude conclusasi nel 2001 con la realizzazione del Quartiere dei Musei, che comprende il Leopold Museum, il MuMoK, la Kunsthalle, mentre negli edifici storici sono stati ricavati lo ZOOM Kindermuseum, l’Architektur Zentrum Wien, il Quartier 21 (destinato a laboratori artistici) oltre ad un centro di danza e performance contemporanee, ad appartamenti per artisti, a ristoranti e bar.
Questo luogo di creatività transdisciplinare e di scambi relazionali è assimilabile per Ortner&Ortner alla complessità urbana, assunta come modello nella concezione strutturale del quartiere dei Musei.
Il MuMoK è un nuovo volume, autonomamente caratterizzato, ma in stretta relazione con il difficile contesto esistente. Nel sottile gioco delle rotazioni planimetriche – a differenza del Leopold Museum che ritrova l’asse imperiale degli edifici speculari disegnati da Gottfried Semper nell’Ottocento della Maria-Theresen-Platz, il Kunst-& Naturhistorischem Museum – il MuMoK è orientato in relazione al tessuto urbano di Neubau, un quartiere residenziale collegato con il MuMoK sia fisicamente, (attraverso passerelle) sia simbolicamente per la cultura industriale che rappresenta.
All’interno della corte i due volumi, uno chiaro ed uno scuro, abbandonano i riferimenti urbani e si presentano in posizione casuale – indipendente dall’ordine barocco – creando uno stimolante spazio di diversità. Restano di concezione classica: il volume compiuto in sé e le sue proporzioni, il senso di “oggetto” del manufatto che risulta enfatizzato attraverso il lavoro sulla forma e sul materiale.
Disegni di prospetto e texture delle superfici litiche
Il volume parallelepipedo del MuMok si presenta come uno scrigno traforato da pochissime aperture; impostato su una pianta di 30x50m, è concluso superiormente da una volta a vela sorretta da un solaio nervato; alla base “affonda” nel terreno staccandosi dalla superficie della corte.
Con grande precisione la pelle di pietra avvolge in maniera omogenea, senza soluzione di continuità, pareti e copertura. Gli spigoli verticali sono arrotondati con un raggio variabile: da 30cm fino a scomparire nella sommità, raccordandosi con le superfici voltate della copertura.
Un’opera – il MoMok di Ortner&Ortner – che ha abbandonato i riferimenti ordinari del lessico architettonico, privandoci di informazioni sulla sua scala dimensionale, celando la sezione interna e l’articolazione spaziale dell’organismo attraverso prospetti chiusi e imperscrutabili. Questo apparente silenzio comunicativo è controbilanciato dal graficismo della scrittura del rivestimento, alimentata dalle potenzialità e dalle suggestioni dell’estetica digitale; un random precisamente controllato (impostato su basi matematiche) che, ininterrottamente, sviluppa le proprie variazioni crescenti e decrescenti introducendo con parsimonia piccole aperture a feritoia, giunti, fughe e leggere differenze cromatiche.
L’ingresso del museo è ricavato grazie ad un arretramento della facciata, mentre l’unica eccezione nella composizione è una finestra a filo dalla quale, stando all’interno del percorso espositivo, è possibile godere del panorama urbano del Kaiserforum. L’ossatura portante del volume è costituita da una struttura a setti in calcestruzzo armato che articola l’edificio in vari livelli e spazi: le sale espositive concepite come ambienti neutri e flessibili, due maniche laterali di servizio ed un invaso spaziale a tutta altezza (rivestito di pietra basaltica accostata a superfici di ghisa e vetro temperato).
Scorcio urbano
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I piani dei prospetti esterni sono ottenuti con lastre in basalto di 10 cm di spessore, risultanti dal taglio a filo di sega effettuato con diamante, che danno vita ad una superficie porosa, semilucida, il cui colore antracite fiammeggiante – a contatto con l’acqua – diventa nero intenso.
La “scrittura” della tessitura dell’involucro è il risultato della sovrapposizione di layers diversi: le fasce orizzontali degli elementi di facciata sono di dimensione crescente verso l’alto nella ricerca di effetti prospettici particolari, mentre le fughe verticali fra le lastre del rivestimento (lasciate aperte al fine di creare un effetto chiaroscurale di incisione) sono di due dimensioni e profondità (10mm e 70mm) e, insieme alle finestre a feritoia, si rincorrono reciprocamente secondo una sequenza matematica in modo tale da non corrispondersi mai fra fasce orizzontali adiacenti. L’effetto complessivo ottenuto è quello di una caratterizzazione suggestiva dei vari prospetti litici impreziositi mediante segni verticali chiaroscurali.
Questa raffinata filigrana digitale è la struttura di montaggio degli elementi della pelle e del successivo layer: le lastre di pietra lavica (con dimensione costante e toni diversi) sono accostate all’interno di ogni filare, fino a far vibrare la superficie di leggeri chiaroscuri, tanto da sembrare megapixel. Il risultato è un felice effetto dinamico, vivo, che ne aumenta il carattere di oggetto di design, capace di contenere un luogo dedicato all’arte, “un deposito intelligente” nelle intenzioni di Ortner&Ortner.
Gabriele Lelli
*Il saggio è tratto dal volume di Alfonso Acocella, L’architettura di pietra, Firenze, Lucense-Alinea, 2004, pp. 624