27 Aprile 2009
Opere di Architettura
Centro Congressi “Magma Arts”, Adeje, Tenerife, Isole Canarie
Megaliti contemporanei e pietre d’invenzione
Le forme scultoree del Centro Congressi; scorcio sul profilo sbozzato dei corpi
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AMP Arquitectos – Felipe Artengo Rufino, Fernando M. Menis e José M. Rodríguez-Pastrana Malagón, in attivi sul territorio delle Canarie dal 1981, hanno realizzato edifici singolari, coerenti ed espressivi, spaziando tra temi diversi – residenze collettive, sociali e non, edifici pubblici, sistemazioni urbane – nei quali ricerca linguistica internazionale e specificità locale sono coniugate. Il riconoscimento e la valorizzazione del luogo, nelle sue forme tettoniche e paesaggistiche, è stata al centro della poetica dei progettisti e si è svolta mantenendo sempre un rapporto privilegiato con le maestranze di cantiere locali, consentendo così di approfondire la ricerca, anche sperimentale, relativa al rapporto tra materia e forma. Un’architettura che mostra le proprie radici e che pare una sintesi tettonica dei caratteri dell’isola.
L’opera “Magma Arts” conclusa nel 2005, è stata definita una “dichiarazione d’amore e di guerra” alla loro terra. “Guerra” perché esplicitamente avversa alla produzione senz’anima, senza raziocinio, senza forma, della speculazione immobiliare che nei territori battuti dal turismo internazionale soffoca l’ambiente; “amore” invece perché carica di pathos per quel territorio di così forte impatto, segnato dai crateri vulcanici nel cuore dell’isola, dalle sabbie scure, dal sole e dalle nuvole fugaci che scorrono verso l’oceano.
Nel 2001 erano conclusi i lavori del Palazzo del Governo di Tenerife a Santa Cruz dove già si trova adottato il potenziale espressivo del conglomerato di calcestruzzo in analogia alla pietra locale, mentre il cantiere per il nuovo Centro Culturale era avviato nello spazio semi-desertico all’estremo sud dell’isola, presso Adeje, confrontandosi con il primo progetto ma in un crescendo di scala.
Magma Arts Center, i ciclopici volumi
“Magma Arts”, un nome paradigmatico per questo complesso fondato sull’emergenza di pietre “architettoniche”, primitive e regolari allo stesso tempo, come appena sbozzate dalle rocce che si scorgono all’orizzonte.
Dodici elementi monolitici imponenti, dalla configurazione massiva nello svolgere funzione portante, e dalla superficie grezza, rude ad accentuarne il carattere, si svelano essere invece cavi, a celare all’interno spazi autonomi e funzionali: laboratori, impianti, servizi igienici, guardaroba ed elementi di servizio sono in essi racchiusi, non trattandosi infatti di blocchi in pietra naturale ma di calcestruzzo armato gettato in opera.
Lo spazio libero che nasce dalla disposizione della sequenza di blocchi-pilastro – “opera megalitica urbana” che evoca il cerchio di Stonhenge ma anche le poetiche novecentesche del beton brut – è una vasta hall, per 30000 persone, sorprendentemente trasformabile in nove sale minori da 300 posti tramite pannelli fonoassorbenti incorporati nelle pareti-armadio degli stessi pilastri monolitici, trattati a vista anche all’interno come nuda pietra.
I grandi blocchi di calcestruzzo architettonico: disegno schematico di sezione
All’apparente complessità formale dell’intervento corrisponde un sistema costruttivo semplice. I grandi massi fungono da basamento per sostenere la struttura metallica regolare, sostegno della copertura sovrastante, composta da travi quasi tutte di uguali dimensioni: placche di fibrocemento dal colore grigio chiaro per la prima volta usate in doppia curvatura per seguire il disegno complessivo del progetto.
Questa pietra ricostruita in opera per i ciclopici macigni, ricca di granulati autoctoni – frammenti di pietra “chasnera”, cenere vulcanica color grigio-sabbia -, cromaticamente progettata, compone un mosaico di superfici che talora mostrano l’impressione delle casseforme in legno, talora sembrano erose, vive, perché bocciardate con martello pneumatico.
Fernando Menis, principale supervisore al progetto e che dal 2004 persegue con il proprio studio professionale la medesima poetica del conglomerato di calcestruzzo a
vista, ha lavorato costantemente con un gruppo ristretto di professionisti unitamente a maestranza locali, traendo vantaggio dal limitato accesso alle tecnologie che l’importazione necessaria sull’isola induce e quindi adattando la tecnica alle esigenze pratiche. In questo caso, alla realizzazione dei grandi monoliti, il getto in opera piuttosto che la prefabbricazione è risultata estremamente conveniente.
Il comune processo di gettare entro casseri il materiale impastato in cantiere nella miscela progettata specificatamente, si fa suggestiva allusione alla trasformazione che subisce la lava convertendosi in pietra e conformando il paesaggio circostante.
La definizione statica dell’opera sono state necessarie complesse fasi di calcolo: la forma acustica della copertura – il centro congressi è anche auditorium e sala concerti -, l’ampio spazio libero tra i pilastri, il risultato complessivo delle forme percepibili dall’esterno. Il progetto ha richiesto diversi anni di elaborazione ed il succedersi di collaborazioni esterne in particolare con l’Università di Madrid. La fase creativa, come consuetudine nei progetti di Menis, ha preso le mosse dal modello in tre dimensioni: dalla scansione tridimensionale di un primitivo bozzetto in carta pesta e sabbia bagnata progressivamente ridisegnato e definito, sino a raggiungere le precise definizioni delle sezioni con piani curvilinei, rese possibile da Katia, il programma di modellazione tridimensionale reso noto da Frank Gehry nel progetto per Bilbao.
Il Magma Arts appartiene alla corrente di progetti nati sull’onda post-Guggheneim e mostra l’adattabilità delle tecnologie informatiche al linguaggio espressivo dei diversi materiali.
Qui la ricerca dei progettisti è dichiaratamente rivolta all’integrazione dell’edificio col suo intorno, dell’oggetto architettonico artificiale nell’ambiente: la materia è densa, le forme sono plastiche, piene, paiono appena indurite dal flusso tellurico o sbozzate di cava, si misurano con la riflessività dura e intensa del materiale conglomerato artificiale inestricabilmente connesso con quello lapideo fino a farsene simbolo.
di Veronica Dal Buono
L’accurata ricerca cromatica e tessiturale per le superifici
Progetto: AMP Arquitectos, Felipe Artengo Rufino, Fernando Martin Menis e José M. Rodríguez-Pastrana Malagón
Cronologia: progetto 1997; costruzione 1998-2005
Materiali: calcestruzzo faccia vista (strutture), pannelli in fibrocemento (copertura)
Produzione: Naturvex (elementi di copertura); Congress U.T.E. – Nesco – PPl (imprese di costruzioni)
Tecnologia costruttiva: cemento armato gettato in opera faccia a vista
Dati dimensionali: superficie 14 000 m2; superficie costruita 20 400 m2
Lavorazione: calcestruzzo gettato in opera in casseri lignei e bocciardato manualmente con martello pneumatico
(Vai a Fernando Menis)
27 Aprile 2009, 16:05
damiano.s
Potremo definire il Menis un architetto post tellurico?
Oppure è merito di Katia se tutto resta su mentre sembra che ti cada tutto in testa?