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29 Settembre 2008

Eventi

L’arancia assume corpo litico.
Claudio Silvestrin a Marmomacc 2008

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Una visualizzazione di studio del padiglione

L’arancia
Ci siamo lasciati con l’immagine di un’arancia. Nell’ambito disciplinare questa metafora visiva lanciata da Silvestrin ha almeno un precedente illustre. Bruno Munari infatti bene sostiene per l’arancia la candidatura ad oggetto di design, descrivendola nel breve, pionieristico scritto del 1963, contenuto in Good design, in prima edizione Scheiwiller, ora riproposto da Corraini Editore. Ma nel nostro caso, anzichè la corrispondenza precisa fra le parti – buccia, spicchi, semi – e l’oggetto di progetto, il senso della metafora è nel gesto di svestizione dagli strati esteriori dell’arancia, alla ricerca della verità al cuore del materiale. Il raggiungimento del cuore del padiglione rappresenta dunque il metaforico atto conclusivo del percorso compiuto da chi si domandi della natura propria dei materiali, come a chiedersi: quale l’origine della materia lapidea?
Sulla base rettangolare di 8 metri x 15, a partire da un blocco naturale di cava alto 3 metri, si snoda un nastro di pietra arenaria in spessore sottile. Esso conquista la piattaforma con movenze spiraliformi ricordanti in pianta quelle cristallizzate nelle conchiglie fossili e, dopo alcuni volteggi eseguiti senza toccare il suolo, finalmente si poggia, facendo della piattaforma proprio palcoscenico. Esso omaggia, citandoli nella particolare finitura eseguita ora artigianalmente, i lastricati storici delle città fra Emilia e Toscana, come a definire l’ambito geografico tipico d’estrazione della pietra serena e del colombino, materie prime di progetto. La pedana rialzata è frutto della collaborazione con Goldbach: sono stati realizzati appositamente elementi di 100 x 50 cm in solfato di calcio “maschiettati”, posati su piedini regolabili, capaci di sostenere il peso di 3500 kg/mq.
L’occasione del padiglione espositivo solo estende l’applicazione “a secco” del piano orizzontale cara al progettista nelle tipiche soluzioni puntuali per gli spazi intimi del bagno, dove particolarmente la doccia incarna ancora una volta il principio di riduzione essenziale degli elementi, l’annullamento d’ogni orpello accessorio: il piano è il medesimo del calpestio e l’acqua corrente è per così dire immediatamente ridata alla terra.
Una volta raggiunta la terra, il nastro lapideo ha acquisito corpo e sviluppo verticale importante, distinguendosi in alte pannellature di 2 metri. Tali pannellature definiscono una serpentina dai bordi solidi ed impedenti il traguardo visivo fino alla meta. Risultano dunque da subito chiari il percorso e l’esistenza del suo arrivo centrale; oltre a questo ogni altra cosa è solo immaginata, da esplorare e scoprire, inducendo per questa via il visitatore al movimento.

Il senso di sorpresa e l’allestimento
Al saggio di Luciana Mariotti Allestimenti all’inizio del XX secolo – La formazione di alcune categorie espositive prendiamo a prestito un passo introduttivo fondamentale: “(…) a partire dal Seicento-Settecento si è sedimentato un fattore-chiave dal punto di vista espositivo: (…) la ricerca e la teorizzazione della meraviglia, dello stupore, della curiosità anche orrifica e mostruosa. La meraviglia è definita da Descartes, (…) sorpresa improvvisa dell’anima, per cui essa si volge a guardare con attenzione quegli oggetti che sembrano rari ed eccezionali: trasformandola così in possibile strumento di conoscenza.”
Carattere proprio della tipologia del padiglione espositivo, la componente meraviglia è ingrediente anche del progetto di Silvestrin per Il Casone, pur misurata dalla volontà di farne attrice comprimaria, e non mai unica a discapito dei contenuti primi del progetto.
Il senso di sorpresa è presente a vari livelli. Alla scala del dettaglio costruttivo, ad esempio, stupisce per l’esecuzione il tappeto lapideo rigato, la cui lavorazione è eseguita a mano ottenendo una continuità di finitura fra lastre normalmente non perseguibile con i modi della sola produzione meccanizzata. In questo modo viene trasmessa la filosofia aziendale, ancora capace di coniugare l’artigianato all’industria.
Ugualmente stupisce, nell’avvicinarsi al cuore del padiglione, lo spiccare da terra dei pannelli lapidei concentrici, come eliminando il fattore ponderale a loro connaturato: la materia cioè, assottigliata ai suoi minimi spessori, acquista leggerezza e si stacca dal suolo facendosi nastro, poi divenendo cosa sola con la roccia allo stato naturale. L’elemento monolitico svettante al centro della piattaforma rettangolare di base s’impone per altezza; metaforica celebrazione dell’origine naturale della materia, diviene faro al pubblico entro l’intero spazio espositivo di Marmomacc.
D’elementi di sorpresa, infine, se ne apprezzano pure alcuni forse di visibilità più immediata ai conoscitori dell’intera opera di Silvestrin, ai quali potranno risultare insolite la rugosità del calpestio sopraelevato da un lato e, dall’altro, il disvelamento del messaggio espressivo di progetto a sola conclusione del percorso compiuto dal visitatore. E’ fatto salvo infatti l’atto contemplativo alla vista della rivelazione finale, ma questa, all’affacciarsi al padiglione, è lasciata solo intuire senza svelarsi da subito in modo palmare.

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I piani orizzontali della Maison B, in pietra Burgundy Beauval

I suoli
Riprendiamo dalla monografia edita da Octavo il breve saggio sul significato dei suoli nell’opera dell’architetto, londinese d’adozione. Dice Silvestrin: “Per me è molto semplice, il suolo ha il valore della terra. Non è che ci sia tanto da dire, io do valore alla terra. Nel mio lavoro ci deve essere la presenza della terra e non è un caso che, quando posso, uso materiali naturali come la pietra che non è un simbolo della terra, è terra… terra nel senso vero e proprio, la pietra è terra.
E’ come in un paesaggio, c’è l’erba, c’è la terra… nel mio lavoro visivamente si deve leggere la presenza della terra, che si tratti di una casa al piano terra o di un appartamento al nono piano.
Penso che faccia parte di questo aspetto di solidità e permanenza che è legato all’essere legato alla terra. Se io, per esempio, uso la pietra serena in un appartamento di Londra, c’è il senso della terra, il senso di camminare sul naturale… per me è importante.”
Nei vari progetti realizzati da Silvestrin la scelta del materiale lapideo e dell’esatta finitura è sempre variabile, atto di sensibilità del progettista ad interpretare ed esprimere sulla quinta orizzontale il carattere percepito degli spazi. In ciascun caso le lastre in grande formato sono un tassello, solo un tassello, funzionale all’armonia complessiva creata dal progetto. Con questa consapevolezza, d’essere cioè ancora una volta strumento d’una orchestra la cui musica è apprezzata solo nella migliore esecuzione complessiva, non è mai consentito all’esuberanza, per così dire, di un’essenza lapidea ad esempio particolarmente venata o dal colore fortemente acceso, di creare disarmonia alla visione d’insieme del progetto. I piani orizzontali risultano dunque sempre ben calibrati e controllati.
Non esauriscono però nel calpestio la forza propositiva: sono pure omogenei piedistalli per l’arte, sia essa l’arte scultorea, pittorica, d’alta sartoria, o come in questo caso quella del fare industriale. Ancor più, essi sono come palcoscenici per le estemporanee rappresentazioni poste inconsapevolmente in scena dai fruitori-attori dello spazio, unitamente agli oggetti esposti. La presenza del pubblico, pur imprevedibile in modo esatto, è importante elemento di progetto; Silvestrin, con i suoi tratti tipicamente minimi ed asciutti, ne riconduce le reazioni d’impatto con le scenografie costruite, a pochi comportamenti essenziali.
Gli allestimenti alla Hayward Gallery di Londra, od in abitazione privata alla Donnelly Gallery, od infine la grande parte degli Armani stores, ne sono un esempio.

La direzionalità
La chiarezza della meta è tema esistenziale centrale della ricerca di Silvestrin. Si traduce in spazi di progetto molto misurati, in cui il numero ristretto d’elementi – varchi verso specifiche inquadrature interne od esterne, fasci di luce, oggetti essenziali, sedute precisamente collocate, colori dosati in modo controllato e mai invasivo – unitamente alla loro connotazione, facilita sempre al fruitore la lettura dimensionale e direzionale dell’ambito in cui si venga a trovare.
Frequentemente la strategia prescelta è quella dei divisori bassi entro vani di grande dimensione, ad ammettere la comprensione immediata d’uno spazio ampio non appena vi si entri, e pure concedendo di farlo in modo eventualmente statico da seduti. Sovente la panca, precisamente collocata e realizzata a disegno, suggerisce la sosta: per la contemplazione, per la meditazione, per la comprensione.
Conseguente alla lettura dei flussi di deambulazione nello spazio, oltre a quella dei dosaggi della luce naturale/artificiale al suo interno, la linea curva è utilizzata da Silvestrin solo in occasioni davvero specifiche, come in ossequio alla monacale riduzione essenziale dei tratti.
Se escludiamo infatti gl’inserimenti curvi ad interpretare gli spazi voltati d’antichi edifici recuperati, nell’intera opera dell’architetto contiamo essenzialmente: la parete traslucida dell’appartamento londinese Barker-Mill, alcune quinte negli allestimenti alle opere di Mapplethorpe e Kapoor, infine taluni tratti espositivi lapidei degli Armani store, ad esempio a Londra. A nostro parere però mai, prima del progetto in costruzione al Marmomacc, la linea curva è stata protagonista dei progetti di Silvestrin come in questo caso.
Forse allora proprio dall’Armani store di Milano e passando per le esperienze di design litico – con particolare riferimento alle vasche ed ai lavabi scolpiti – si deve ripartire per approfondire questa tensione reciproca esistente fra pietra (e sua predisposizione all’essere scavata e scolpita), sinuosità della forma e Claudio Silvestrin.

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Il senso, lapideo, di direzione; il travertino di villa Neuendorf

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di Alberto Ferraresi

(Vai al sito di Claudio Silvestrin architects)
(Vai al sito de Goldbach)
(Vai al sito Casone)
(Vai al sito di Marmomacc)

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