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Idee per la qualità del prodotto


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AA.VV., Harvard design school guide to shopping, Tashen Gmbh, Kohln, 2001

Il design industriale sembra una disciplina lontanissima dal mondo della pietra. Nell’era post-industriale mentre la pietra sembra un materiale legato alla tradizione, il design accelera le sue specializzazioni in applicazioni sempre più connotate dalla tecnologia in campi specifici ed interdisciplinari.
Tuttavia le tecnologie di supporto ai processi materiali ed immateriali di progettazione e sviluppo dei prodotti sembrano, al contrario, convergere sia nel campo del design che nell’area litica.
Infatti, in entrambe i settori, assumono sempre maggiore importanza quelle innovazioni capaci di promuovere qualche significativo avanzamento nel processo di progettazione e produzione.
Ciò era fino ad ora inimmaginabile, perchè si instaura un apparente paradosso fra il Design e la pietra, dove il primo normalmente inteso come abbreviazione del termine anglosassone industrial design, nell’accezione italiana disegno industriale, che va tradotto più correttamente con l’espressione “progettazione per la produzione industriale”, indica l’insieme delle attività di ricerca, ideazione e progettazione, finalizzate alla realizzazione di un qualsiasi prodotto da offrire sul mercato, tanto materiale (per esempio oggetti quali una sedia o un’automobile), quanto immateriale (come nel caso di un software o un audiovisivo)1 e la seconda, da millenni, legata al costruire. La questione di fondo, che in genere viene asserita, è che i due mondi sembrano distanti, come separati anni luce: la scala del prodotto sembra così diversa, o almeno così si pensa, da quella dell’architettura.
Tuttavia la parola inglese design significa progettazione e indica un insieme concertato di conoscenze, azioni, metodologie e strumenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo, che rappresenta l’aspetto fondamentale di ogni attività di progettazione per l’industria 2. Anche la pietra oggi è il risultato di un processo industriale e lo è ormai anche l’architettura, con buona pace di chi oppone argomentazioni contrarie in merito.
Comunemente il termine design viene tradotto in italiano con “disegno” e questo porta a scambi di significato e di interpretazione delle attività e delle professionalità legate al design, per cui si tende a pensare che il design riguardi soltanto il disegno della forma e dell’apparenza di un prodotto. In realtà si tratta di un processo completo e articolato che dalle primissime fasi di esplorazione e generazione di un’idea (nota come “concept design“) si svolge fino alla definizione finale di un prodotto e la sua collocazione sul mercato3. Per accumunare design e pietra, tuttavia, bisognerebbe davvero dimostrare che il metodo del design possa essere adattato dal cucchiaio alla città.
Nella corsa del design verso la specializzazione in applicazioni sempre più specifiche, esso genera continuamente settori nuovi, apparentemente connotati anche da metodi progettuali diversi: fashion design, food design, transport design, visual design, retail design, ecc.
La visione tradizionale del progetto di design, che è legato al mondo della produzione industriale degli oggetti d’uso e dell’arredo subisce una sorta di “effrazione morfologica”4, non solo formale, ma anche sostanziale: perchè rimane il fatto che nel campo del design la forma è sostanza5.
Lo spazio tecnologico6 dal quale trae i propri strumenti il progettista di oggi è, infatti, caratterizzato da opzioni convergenti. In particolare tali opzioni sono riferite alle tecnologie dell’informazione e comunicazione (ITC), le quali evidenziano impatti simili in tutti i settori applicativi del progetto. Tra le conseguenze più significative possiamo osservare le seguenti tendenze:

  1. La tendenza a non sviluppare più la progettazione in modo lineare-sequenziale, bensì, proprio grazie alle tecnologie di progetto, in modo di nuovo integrato e, per la prima volta, reticolare-relazionale. Cioè osserviamo che il processo di progettazione non è più caratterizzato da una sorta di divisione del lavoro di tipo industriale, quanto piuttosto, da un aumento di complessità delle decisioni di progetto le quali devono tenere conto di dati di fatto7 relativi alle diverse aree che un progetto coinvolge. Ci si riferisce in particolare a processi di sviluppo basati sul performance design.
  2. La tendenza ad operare a scala reale: la continuità spaziale offerta dai presupposti informativi ITC consente di non utilizzare le convenzioni di scala dimensionale, ma di “vedere l’oggetto” della progettazione al vero e contemporaneamente in tutte le sue dimensioni (2D, 3D, geografiche, descrittive degli attributi, ecc.). La scala dimensionale è una convenzione che si tende ad utilizzare, ormai, solo al termine del processo decisionale per rendicontare e comunicarne gli esiti mediante la produzione di copie cartacee degli archivi digitali del progetto sviluppato a scala reale. Da notare che, da un punto di vista informativo-logico, con la stampa e la necessaria definizione di scala e dei simboli associati si opera sul piano logico una selezione e proiezione dei dati rispetto al loro insieme sulla base di criteri definiti e di convenzioni tradizionalmente relazionate ad una certa scala del disegno.
  3. Il progetto tende a non avere più un autore: questo fenomeno si collega a quanto affermato da chi8 raffronta il libro con l’ipertesto, affermando che quest’ultimo, a differenze del primo, non ha più un autore perchè non è più riconducibile ad un’unica opera di scrittura, bensì ad una scrittura collettiva. Anche il progetto post-industriale sembra assumere una tale connotazione proprio perchè orchestrato da una rete di attori che utilizzano tecnologie distribuite ed interattive.
  4. La tendenza a comprendere (to intelligence, ingl.) e trattare il prodotto del processo di progettazione come un oggetto, a prescindere dalla sua natura e dimensione. Non importa che si tratti di un aspirapolvere oppure di un edificio, lo si affronta con un primo approccio di tipo “concept” direttamente in 3D ed in modo che sia già caratterizzato nella forma da eventuali tecnologie o materiali dominanti. Alcuni esempi:
  1. Un telefonino che sembra un palmare, ha molte delle sue funzioni e registra filmati, si connette con la rete per scaricare musica…
  2. mentre con il computer si può telefonare, mentre si lavora, si “chatta”9, si mandano e-mail e si scrive su un blog del web
  3. e con un lettore multiformato si può scaricare un intero hard disk di 6 GB e oltre che ascoltare musica e vedere anche un film!
  4. Un altoparlante che sembra una pietra (in un progetto di centro commerciale americano di J.Jerde)
  5. Un edificio che sembra una scultura pop fatta di lattine riciclate (il museo Guggenheim a Bilbao)
  6. Un grattacielo che sembra un gadget di un sexy shop (la torre Agbar a Barcellona)
  1. La tendenza ad adottare forme neo-organiche e zoomorfe10 in un nuovo stile bio-barocco. La libertà di concezione spaziale derivata dalla potenza algoritmica del calcolo messa a disposizione delle tecnologie di progetto, offrono la possibilità di adottare forme e, quindi, strutture complesse. Dalla forma che non è solo immagine ma anche sostanza si genera l’innovazione nei sistemi complessi, ad imitazione della natura. Tale concetto è assai più simile all’approccio olistico al progetto che ha caratterizzato il Rinascimento Italiano che non a quello dell’epoca industriale, ossessionato dai vincoli tecnologici ed ideologico-formali della linearità cartesiana.
  2. La tendenza ad un rapporto di cross fertilisation tra progetto e cultura nelle sue diverse espressioni. Anche questa tendenza è comune sia al mondo del design che a quello dell’architettura. Tale relazione è evidente ad esempio già nel fashion design italiano degli anni 1954-1961: l’ispirazione dichiarata ai luoghi ed ai Beni Culturali Italiani trova precisi riscontri nelle collezioni di Emilio Pucci11 e di altri stilisti italiani dell’epoca fino alle ispirazioni street style della moda delle ultime stagioni. Ancora di più è evidentissima nella creazione della cucina12, oggi ribattezzata food design, ad opera dei grandi chef da Paul Bocuse13 a Fernand Andria e dei giovani che sperimentano le nuove tecnologie come Roberto Carcangiu14. Anche in architettura, benchè l’era dell‘International Style abbia cercato di negarla, tale relazione esiste inevitabile e diretto, in particolare dove è la pietra il materiale di costruzione: il barocco siciliano, leccese, ed il calcare di quelle terre; il barocco romano ed il travertino, le architetture del Brunelleschi e la pietra serena di Firenze. Infine le attuali tendenze nel settore dell’arredo evidenziano anch’esse una relazione particolare con il territorio e la sua cultura con il recupero dei materiali ed il re-design di oggetti tradizionali ri-qualificati come “sostenibili”, in quanto, appunto, permangono nella loro significatività i valori territoriali che li hanno generati nel tempo.
  3. La tendenza a non considerare più come illimitata la possibilità di creare prodotti sulla base di semplici meccanismi di induzione di bisogni, che a differenza di quanto accadeva nel periodo industriale, difficilmente funzionano in un mercato saturo come quello attuale. Il nuovo mercato post-industriale non considera più il concetto di consumatore medio tipizzabile, bensì pone al centro il cliente specifico, in un contesto di mercato molto più dinamico e caratterizzato da segmentazioni molto articolate o da nicchie15. Si tende perciò a progettare prodotti “su misura” piuttosto che “standard”. Anche questa tendenza è in fin dei conti ascrivibile tra gli impatti delle tecnologie di progetto, perchè queste sono capaci di gestire efficacemente sia i molteplici dati in entrata, sia le più complesse verifiche del progetto, sia il suo riesame e la validazione del prodotto in condizioni d’uso16 ed infine l’assistenza post-vendita del prodotto (garanzia, assicurazione, manutenzione).
  4. La tendenza ad orchestrare la produzione mediante reti di fornitura che organizzano la produzione della fabbrica virtuale formata da imprese diverse, le quali operano con varie tecnologie in luoghi anche remoti del pianeta e, presto, anche dello spazio. Ad esempio: la facciate litiche dei grattacieli sono cavate in Italia, spesso lavorate in un altro paese Europeo e quindi montate negli USA o in estremo oriente.
  5. Infine la tendenza ad adottare tecnologie di progetto che offrono la possibilità di orientare la progettazione del prodotto ad-hoc sulla base sia delle esigenze esplicite di qualità, mediante la definizione di requisiti del prodotto, che implicite, tali da rappresentare le attese di qualità non ancora definite del cliente, anche se appartenente ad una nicchia molto piccola, ma pur sempre identificabile17.

Possiamo concludere che tutte le tendenze elencate sono allo stesso modo in atto sia nel campo del design che nel settore litico18.
Questo scenario è la conseguenza di una convergenza che caratterizzata dallo spazio tecnologico ormai inevitabilmente globale dove si verifica che esso ha la capacità di assimilare i metodi di progetto del design e dell’architettura sulla base della nuova codifica culturale post-industriale. Ciò influisce sui prodotti modificando la loro qualità finale nel senso del superamento dell’istanza seriale legata all’industrialismo, per approdare ad una serie di nuove possibilità da sperimentare con reciproche incursioni del design e del settore litico.Idee per la qualità del prodotto.
Sulla base delle tendenze attuali il processo di progettazione si è modificato ad un punto tale da aumentare la propria influenza sul risultato in modo determinante.
Le tecnologie di progetto aprono la possibilità di nuove sperimentazioni con minori costi e, soprattutto, nelle situazioni produttive caratterizzate da reti di fornitura orchestrate mediante sistemi informatizzati di manifattura ed esecuzione19, si nota che le barriere invisibili che generalmente ostacolano la disponibilità dei dati, accurati, tempestivi e sincronizzati, per creare le informazioni di progetto e produzione possono essere rimosse. In questa nuova condizione si può progettare la qualità del prodotto:

  • sulla base dei precisi riferimenti culturali collegati a specifici mercati
  • per piccole serie o prodotti personalizzati
  • in tempi molto rapidi
  • con costi relativamente bassi ed ampie marginalità positive
  • in accordo con i requisiti specificati dal cliente ed anche impliciti nel target.

Il settore litico oggi, specie in Italia, offre grandi possibilità di applicazione per questi concetti innovativi di design del prodotto perchè si può collocare in una intersezione fra cultura e mercato che dà luogo a qualità specifiche del prodotto corrispondenti alle attese di potenziali clienti del mercato globale. Un approccio progettuale adeguato, capace di un fine tuning rispetto a queste tendenze deve, pertanto, essere in grado di cogliere con efficacia, sia in termini formali che sostanziali in entrambe i settori questa opportunità.
Questo è quello che noi progettisti del III millennio vogliamo fare, lasciando, come Ulisse e i suoi compagni i porti domestici del conformismo accademico e professionale per iniziare un viaggio in mare aperto per la esplorazione di nuovi approdi della creatività tecnologica.Maria Antonietta Esposito

Note
1 http://it.wikipedia.org/wiki/Design#Note_storiche, 06-03-2006.
2 Ibidem.
3 Ibidem.
4 Virilio P., L’orizzonte negativo, Edizioni Costa & Nolan, Milano, 1986.
5 Trabucco F., Cos’è la forma?, in gelati sorbetti, granite e Firenze: dal Buontalenti al Barattolino, conferenza AIC – Firenze Pitti, 13-10-2005.
6 Antonelli C., Cambiamento tecnologico e teoria dell’impresa, Torino, Loescher,1982. La diffusione dei principali contributi sull’argomento risale agli anni 70: v. Freeman C., The economics of industrial innovation, London, Penguin Book, 1974; Prodi R., La diffusione delle innovazioni nell’industria italiana, Il Mulino, 1971; Saraceno P., Effetti del progresso tecnico sull’economia industriale, sta in Brugger ( a cura di), Letture di gestione della tecnologia, Scritti di Carbonaro – Club Turati / ENI, Milano, Franco Angeli, 1974; L’origine di qtuesti studi è dovuta alle teorie esposte negli anni ’30 da Shumpeter J.H., The teory of Economic Development; Cambridge, Mass, Harvard University Press, 1934; Business Cycles, New York, Mc Graw Hill, 1939; gli ultimi contributi di Shumpeter riguardano quel fenomeno che oggi indichiamo come globalizzazione dei processi di diffusione dell’innovazione:Technical Innovation and Long Waves in the World Economic Development, Futures, vol.13 n.4, Agosto 1981 e n.5 Ottobre 1981.
7 UNI EN ISO 9001:2000, Sistemi di gestione per la qualità- Requisiti , punti 7.3.2, 8.4
8 Rifkin J., L’era dell’accesso, 2000, op. cit. in Acocella A., Bit di pietra, architetturapietra2.sviluppo.lunet.it/wp, 03-02-2006.
9 Neologismo apocrifo generato da popolo della rete tratto dal neo-verbo inglese to chat (discutere in uno spazio telematico con altri utenti che vi si possono registrare).
10 Aldersey-Williams H.,Zoomorphic new animal architecture, Laurence King Publishing Ltd, London, November 2003.
11 Collezione Palio (1957), Monreale (1955), il famoso carrè Cupola (1964-65), Esposito M.A., Stile e qualità – Il caso Emilio Pucci, conferenza Creatività è Design, Novembre 2004, non pubblicato.
12 Ballarini G., La creazione della cucina. Orme biologiche nell’esperienza gastronomica, Accademia Italiana della Cucina, Roma, 2005.
13 Zizza-Lalu E.M. et Alii, Paul Bocuse. Le feu sacrè, Glènat, Grenoble,2005.
14 R.C. Food Consulting S.a.s.; v. Barrichella P., Carcangiu R, Esposito M.A., Le Tecnologie del gelato, DVD per la giornata AIC sulla cucina del freddo, 2005.
15 AA.VV., Riflessioni sui consumi al giro del millennio, sta in Micro e Macro Marketing, Rivista del Il Mulino, n.3/ 2000. In particolare v. Collesei U., Consumi e consumatori nell’Italia che cambia, pp.343-348; Romano D., Forme di consumo e stili in Italia, pp.387-396; Farrell J.J., One Nation under goods, Smithsonian Institution, 2003.
16 UNI EN ISO 9001:2000, Sistemi di gestione per la qualità- Requisiti , punti 7.3.4-5-6
17 Esposito M.A., architetturapietra2.sviluppo.lunet.itblog, 26-01-2006, 10:33:57
18 Turrini D. , architetturapietra2.sviluppo.lunet.itblog
, 22-11-2006, 13 :01
19 MES (Manufacturing Execution Systems), Esposito M. A., Design e fabbrica virtuale, non pubblicato.

commenti ( 8 )

20 Marzo 2006, 23:17

damiano s.

Fermo restando che la creatività, per sua natura, non potrà mai essere tecnologica, ma soltanto frutto delle pulsioni emotive e della ragione, vorrei brevemente soffermarmi su come il design litico sia timidamente apparso in questi ultimi anni.
Parlo dunque di prodotti a catalogo di alcune pioniere aziende italiane – tutte facenti parte del settore arredo-bagno, settore sul quale sembra esista un unanime consenso nell’utilizzo della pietra – non di aziende propriamente del settore che, vivendoci in mezzo lo posso sostenere, conoscono una atavica arretratezza culturale.
Forse per prima ha cominciato l’azienda Boffi con la collezione "I Fiumi" di Claudio Silvestrin, la sua grande vasca da bagno in pietra scavata frutto delle precedenti esperienze progettuali, a seguire l’azienda Antonio Lupi con ancora il tema delle grandi vasche di pietra e di riusciti lavabi dalla percezione massiva di Carlo Colombo. Parallelamente la Rapsel e l’Agape ripropongono, con l’ausilio di importanti nomi dell’architettura come E. Souto de Moura, M. Thun , A. Mangiarotti, Benedini Ass., il tema del lavamani in pietra.
Bisogna pur considerare che un "oggetto di design" funziona se c’è un adeguato supporto commerciale che ne permetta la distribuzione, condizione che solamente aziende consolidate e di un certo peso strutturale riescono a garantire.
Fatto sta che questi riusciti oggetti in pietra hanno innescato un processo emulativo, spesso pietosamente emulativo, nella ricerca di nuove forme applicative della pietra all’interno dell’ambiente bagno.
Quali altri siano i settori che si possano interfacciare con il design litico non mi è facile scorgere, non credo comunque possano avere successo la bigiotteria o le applicazioni stravaganti.
Uno spazio aperto potrebbe essere quello dell’arredo urbano, limitato forse dall’alto costo dei manufatti in pietra o dalla loro scarsa tecnologia produttiva.
C’è del lavoro da fare, c’è un materiale da esplorare.

21 Marzo 2006, 20:17

Maria Antonietta Esp

Sono d’accordo con damano, che ringrazio dle suo intervento fulmineo ed appropriato sul tema, soprattutto per la sua affermazione che un "oggetto di design" funziona se c’è un adeguato supporto commerciale che ne permetta la distribuzione, condizione che solamente aziende consolidate e di un certo peso strutturale riescono a garantire.
E’ per questo che questo blog è importante: le aziende sono presenti ed interagiscono con noi.

21 Marzo 2006, 21:02

alfonso acocella

Vorrei provare a slargare il problema evocato dal termine “commercializzazione” richiamato da Maria Antonietta Esposito che rischia nella sua sinteticità di poter essere interpretato riduttivamente.
La commercializzazione di un prodotto industriale che sia veramente tale implica attività abbastanza complesse e sostanzialmente interrelate, coordinate, monitorate, modificate (soprattutto oggigiorno) nel tempo.
La tecnica contemoporanea del marketing ci consegna la processualità del ciclo di origine dei prodotti – fra “fabbrica” e mercato – che va sotto la teoria delle 4 P: prodotto, prezzo, punto vendita e promozione.
Alla fine troviamo promozione. Ma ci chiediamo (e lo chiediamo ai lettori) cosa oggi sia la promozione. E’ solo pubblicità (spot televisivi, pubblicità tabellare, cartellonistica stradale ecc. ecc. ) ?
Non crediamo proprio che queste forme comunicazional-promozionali tipiche dell’era industriale siano la nuova frontiera dell’economia del mondo globale.
La Cultura (o più spesso la pseudo-cultura) è diventata la piattaforma abilitante, la nuova forma di veicolazione e di valorizzazione commerciale dei prodotti.
Cultura in senso lato: spettacolarizzazione, teatralizzazione, raggiungimento degli strati intimi, seduzione (show business e incursioni neuro-corporali insomma)…

22 Marzo 2006, 09:36

Maria Antonietta Esposito

Alla precisazione di Alfonso Acocella aggiungo un ulteriore commento relativo alla “creatività tecnologica”, concetto ampio e complesso, che varrebbe la pena di discutere approfonditamente. In breve vorrei porre una posizione che vede come fondamentale la tecnologia per l’ideazione del prodotto. Cio e’ sempre piu chiaro nella societa post indutriale, descritta come “era dell’accesso” da J.Rifkin, infatti e’ appunto l’accesso alla tecnologia che costituisce la discriminante fondamentale al passaggio del millennio. Pensiamo ad un settore come quello della comunicazione in cui prodotti nuovi, come questo blog, nascono dalle possibilità offerte proprio dalla tecnologia. Tornando ai settori dei prodotti materiali essi sono altresì sempre più dipendenti quanto alla loro cartteristiche dalle possibilita offerte al progetto dalle tecnologie sia materiali che immateriali ormai strattamente congiunte in una visione di processo che la gestione per la qualita del prodotto comporta.

22 Marzo 2006, 11:36

alfonso acocella

Commenti e posizioni rilasciati in altri forum di discussione possono essere utili anche in questo che evolve attraverso i commenti di damiano e di maria antonietta i concetti di “tecnologia” e “creatività”. Argomenti sui quali ritengo, fra non molto tempo, cercheremo di indirizzare il percorso di slargamento disciplinare e relazionale del Blog litico.
Allora in questo senso – attraverso un copia e incolla che il medium digitale ci consente – replichiamo ed implementiamo di poco quanto gia comunicato:
A breve nascerà, da una costola del blog_architettura di pietra (ma sempre al suo interno) il "Network / Creativi / Intercreatività". Un social network slargato di confronto fra competenze transdisciplinari in rete pensato proprio per discutere di creatività, di innovazione tecnologica a servizio delle idee (e non a monte delle idee) e per aggregare progettualità altrimenti prive di collegamenti, di potenziali scintille ideative, processuali.
L’internet partecipata e relazionale, come quella che stiamo tutti insieme evolvendo, è la nuova frontiera di produzione/ridistribuzione di idee dal basso, oltre che di reale democrazia inforamtiva/comunicativa.
Questa visione del web (che altro non è che il suo ritorno alle origini, non ci stancheremo mai di ripeterlo) può produrre nuove intersezioni dialogative, idee, confronti culturali ma anche prodotti (litici e non litici, materiali o immateriali poco importa) ed economia.
I concetti di base inerenti alla filosofia abilitante di cross fertilisation posti alla base del Network / Creativi / Intercreatività saranno esplicitati più avanti per condividerli collettivamente.

31 Marzo 2006, 15:57

Giorgio Campana

Il concetto di progettazione industriale sembrerebbe essere, alla luce di una prima e frettolosa analisi, un qualcosa di sostanzialmente distante dal mondo litico.
Se non proprio fratelli, però, questi due settori sono quanto meno fratellastri poichè, pur mantenendo proprie peculiarità, come puntualmente analizzato da Maria Antonietta Esposito presentano numerose analogie soprattutto nell’approccio del progettista alla fase di progettazione e sviluppo.
Come già ricordato, il design rappresenta oggigiorno un settore multidisciplinare che, al contrario di quanto suggerisce la fuorviante traduzione italiana del termine industrial design, affronta una molteplicità di aspetti legati sì alla forma del prodotto ma che ne approfondisce anche tutti gli aspetti legati alla definizione finale del prodotto […] ed a tal proposito l’avvento delle information communication technologies rappresenta oramai un passaggio obbligato per tradurre il frutto delle pulsioni emotive e della ragione […] in prodotti concreti che grazie all’ausilio del 3D (cad/cam) raggiungono oramai un avanzatissimo stadio di definizione già nelle primissime fasi dell’iter progettuale.
Vorrei porre l’accento sull’aspetto più rilevante di questa rivoluzione: la democratizzazione delle tecnologie che sono oggigiorno un bene cui è sempre più facile accedere grazie alle reti di dati, prime tra tutte il world wide web.
Appare oramai improbabile, dunque, pensare solo per un istante di dissociare il concetto di creatività da quello di tecnologia poichè significherebbe negare un evidenza oggettiva e tangibile; se è vero che la creatività è frutto di processi cognitivi legati indissolubilmente alla sensibilità progettuale propria di ogni designer è altresì vero che la tecnologia fa sì che tali processi cognitivi possano essere tradotti in prodotti concreti che hanno raggiunto negli ultimi anni un elevatissimo livello di audacia formale e concettuale.
Le idee fin qui esposte ritengo possano essere applicate indistintamente al mondo del design industriale, dell’architettura o della pietra […dal cucchiaio alla città…]
Sento, infine, di voler precisare un pensiero esposto nei giorni scorsi all’interno di questo blog:
[…Quali altri siano i settori che si possano interfacciare con il design litico non mi è facile scorgere, non credo comunque possano avere successo la bigiotteria o le applicazioni stravaganti …]
Voglio immaginare solo per un attimo che Boffi, Antonio Lupi, Rapsel o Agape, prima ancora di avviare la propria sperimentazione nel mondo litico, avessero pensato […Quali altri siano i settori che si possano interfacciare con il design litico non mi è facile scorgere, non credo comunque possano avere successo l’arredo bagno o le applicazioni stravaganti …]… Si sarebbe rischiato, così, di relegare il mondo litico nell’ambito prettamente architettonico, rendendo vane le osservazioni e le esperienze fin qui fatte.

Giorgio Campana

2 Aprile 2006, 22:49

damiano s.

Gentile Giorgio, vorrei solamente citare, in risposta al tuo contributo, alcune riflessioni di V. Gregotti, dal suo libro "L’architettura del realismo critico", Laterza, 2004.
"Naturalmente credo che nessuno discuta l’utilità strumentale, anche sul piano della rappresentazione, dei mezzi informatici, ma sarebbe interessante discutere della loro tendenza verso una autonoma produzione di immagini, addirittura di una "cybercultura". Esse dovrebbero essere "desunte dal mezzo utilizzato" e offrire all’architettura una dimensione in cui apparire fluida e virtuale, instabilità contro stabilità, addirittura "multiforme interattività". L’interattività è attività assai utile a raccogliere e selezionare i materiali progettuali e, naturalmente, anche a favorire la percezione delle opere, ma guai a dare retta nella progettazione alle opinioni, del tutto indotte dalle comunicazioni di massa, dei fruitori; si rischia di trasformarsi da progettisti in media, in operatori delle ricerche di mercato, in architetti della constatazione, anzichè offrire idee alla discussione collettiva.
Anche se si possono sollevare dubbi sui limiti di immagini che sono desunte dal mezzo utilizzato (noi non pensiamo affatto che la tecnologia debba divenire mezzo conformativo de pensiero: il mezzo non è il messaggio ma uno strumento, sia pure dotato di un senso storico specifico), non dubitiamo che uno strumento tanto flessibile come il mezzo informatico sia in grado di stimolare immagini e che un concetto come quello di "simulazione" possa costituirsi come connessione figurativa; ma offrire all’architettura la possibilità "di essere fluida e virtuale" è come offrire all’acqua di essere asciutta. Inoltre l’immagine non è il progetto ma il risultato della sua elaborazione costruttiva."

10 Aprile 2006, 11:30

Maria Antonietta Esposito

Gregotti e gli altri grandi architetti hanno le loro idee e vanno rispettate, ma io credo per mettere a fuoco questo problema bisogna proprio cambiare la cultura del progetto. Si continua ed equivocare disquisendo sulla smaterializzazione dell’architettura a questo si riferiscono le ovvie, lasciatemelo dire, perplessità degli architetti che restano in superficie, noi siamo i costruttori per eccellenza!.
Nè, mi raccomando, si stanno facendo discorsi di taglio puramente semiologico come ai bei tempi della Intellighenzia dei ’70. Chiariamo una volta per tutte che non e’ di questo che si sta parlando, bensì del fatto che la mano dell’architetto ha una protesi digitale. Apriamo una parentesi sulla mano, per capire meglio perchè sarebbe così importante tirare in ballo questo concetto che appassiona anche i filosofi teoretici che dibattono di ontologia sociale: la mano consente all’uomo la scrittura, ossia la possibilità di simbolizzare e comunicare agli altri l’intelligenza (intesa come comprensione/e-laborazione dei dati) della realtà.
Qui si parla di teoria della tecnica e quindi di tecnologia, dei sistemi di apparati dall’uomo stesso concepiti che lo coadiuvano nel raggiungere i suoi obiettivi. Sistemi che oggi sono così pervasivi e potenti,e soprattutto veloci, che certo, l’uomo conta, ma è proprio grazie ad un pugno di supporti che ci abilitano, ci offrono possibilità di accesso all’informazione ossia ad elaborazioni dei dati reali utili ai nostri scopi che possiamo incidere sulla realtà. Ma torniamo alla mano la mano non e’, dicono i filosofi da Anassagora ed Aristotele fino a Ferraris, solo uno strumento prensile, infatti la scimmia non ha mani ma solo abilità prensile, ma una macchina meravigliosa capace di esprimere il pensiero (accordo, violenza, amore, possesso, saluto…) e quindi, sostiene Haiddegger, “la mano traccia segni perchè probabilmente l’uomo è un segno”.
La caratteristica simbolica intrinseca nel comportamento intelligente rende, come dire, incredibilmente efficace la digitalizzaione delle attività di intelligenza-conoscenza cui appartiene tutta la creatività di cui il progettare è il simbolo per antonomasia: pro iecto, getto lontano, prefiguro ciò che sarà.
Ecco perchè stiamo parlando di tecnologia digitale che trasforma il progetto: la mano, la macchina più intelligente dell’architetto, del designer è dotata di una protesi che collega direttamente il cervello con il mondo fisico attraverso una incredibilmente banale serie di combinazioni binarie abilitandone la modifica…..ma il discorso si fa lungo e potrà continuare in seguito.

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